Nel 1812, allarmato dal dilagare degli episodi di luddismo, il governo inglese decise di emanare il famigerato Frame Breaking Bill che infliggeva la pena capitale a chi distruggeva i telai meccanici, reato fino ad allora punito con la deportazione da sette a quattordici anni. La legge venne approvata a grande maggioranza da un Parlamento preoccupato dall’estensione della rivolta popolare.
Alla Camera dei Lord l’unica voce contraria fu quella del poeta Lord Byron, che il 27 febbraio 1812 pronunciò uno storico discorso in cui si scagliava contro la crudeltà di una legge che trascurava di soccorrere un popolo allo stremo e ne inaspriva la condizione con la violenza degna di «una giuria di becchini e un giudice servo».
Il testo è tratto da Opere di Lord Byron voltate dall’originale inglese in prosa italiana da Carlo Rusconi [Padova, 1842, pp. 171-174] di cui ho riformulato la traduzione, ormai antiquata.
Signori,
Sarebbe superfluo l’entrare nei particolari dei disordini accaduti: la Camera sa già che, ad eccezione del sangue, sono stati commessi oltraggi ed atti ostili di ogni genere, e che l’insulto e la violenza hanno colpito i proprietari delle macchine detestate dai rivoltosi e tutti quelli che avevano con esse qualche relazione.
Nel breve tempo che ho passato nella provincia di Nottingham, non passavano dodici ore senza che venissero compiuti attentati; e il giorno in cui ho lasciato la contea, ho saputo che la sera prima quaranta macchine erano state distrutte senza resistenza e senza che i colpevoli fossero denunciati.
Tale politica, opera di grandi uomini che più non sono, è sopravvissuta agli estinti per flagello dei vivi fino alla terza e alla quarta generazione!
Gli insorti non hanno distrutto le macchine se non quando sono diventate inutili, peggio che inutili, se non quando sono diventate un ostacolo reale all’acquisto del loro pane quotidiano. Vi stupite, quindi, che in un tempo, come il nostro, in cui il fallimento, la frode, la delinquenza dilagano tra persone poco al disotto delle Signorie Vostre, la parte inferiore e tuttavia più utile della popolazione dimentichi i suoi doveri e si renda soltanto un po’ meno colpevole di qualcuno dei suoi rappresentanti?
Ma mentre i colpevoli di estrazione nobile trovano il modo di eludere la legge, nuove offese capitali devo essere create, nuove trappole vengono tese agli operai che la fame ha incitato al delitto. Quegli insorti non avrebbero chiesto nulla di più che di poter zappare la terra, ma la zappa era in altre mani. Essi non avrebbero arrossito di mendicare, ma nessuno voleva soccorrerli: i mezzi di sussistenza erano loro tolti, nessun altro lavoro si offriva, così i loro eccessi, sebbene condannabili e tristi, non possono sorprenderci.
Ora sebbene in un paese libero si possa desiderare che i nostri soldati non siano mai oggetto di spavento, almeno per noi, io non vedo perché si debbano mettere nella condizione di essere ridicoli. Siccome la spada è il peggiore strumento che si deva adoperare, deve essere l’ultimo. In questa circostanza è stato il primo, ma fortunatamente è rimasto nel fodero.
È vero che la misura attuale lo farà uscire, ma se opportune assemblee si fossero riunite all’inizio delle rivolte, se le proteste degli operai e dei loro padroni (perché anche loro avevano delle lamentele) fossero state pesate imparzialmente e discusse equamente, io credo che si sarebbe trovato il modo di riportare quegli uomini alle loro occupazioni e di ristabilire l’ordine nella contea.
In questo momento la contea soffre per il doppio flagello di eserciti oziosi e di una popolazione affamata. In quale stato di apatia siamo rimasti assorti, che la Camera si occupa ufficialmente per la prima volta di questi fatti? Essi avvenivano a 130 miglia da Londra, mentre noi, «buona gente, nella sicurezza della nostra grandezza», ci godevamo i nostri trionfi in terre straniere, in mezzo alle disgrazie domestiche. Ma le città che avete preso, gli eserciti che son fuggiti davanti ai vostri generali son tristi temi di rallegramento, se la discordia divide il paese, e se c’è il coraggio di inviare dragoni e carnefici contro i nostri concittadini.
Voi chiamate gli insorti un volgo sfrenato, ignorante e pericoloso, e sembrate credere che il solo mezzo di far tacere la bellua multorum capitum sia quello di abbattere alcune teste! Ma il volgo viene ancora più facilmente riportato alla ragione con la mitezza che col castigo.
Siamo consapevoli del debito che abbiamo verso il volgo? È il volgo che solca i vostri campi e serve nelle vostre case… che combatte sulle vostre navi e compone i vostri eserciti… che vi ha posti nella condizione di far fronte all’intero mondo, e farà fronte anche a voi, quando la vostra noncuranza e la sciagura l’avranno spinto alla disperazione. Voi potete dar al popolo il nome di plebe, ma non dimenticate che è spesso il popolo che parla con la voce della plebe; né mi astengo dal notare con quale sollecitudine voi correte in soccorso dei vostri alleati, abbandonando i bisognosi della vostra patria alle cure della Provvidenza o… della parrocchia.
Quando i portoghesi si videro agli estremi, dopo la ritirata dei Francesi, tutte le braccia vennero allungate, tutte le mani si aprirono; dagli splendidi doni del ricco fino all’obolo della vedova, tutto fu prodigato per metterli in condizione di riedificare i loro villaggi e di risarcire i loro granai; e in questi momenti in cui migliaia dei vostri compatrioti traviati, ma in preda alla più orrenda miseria, lottano contro tutto ciò che la sciagura e la fame hanno di più spaventoso, la vostra carità, che si è manifestata per i paesi lontani, deve esser muta fra di voi? Una somma assai minore, la decima parte di quei benefici che furono prodigati al Portogallo, quand’anche questi insorti non potessero ritornare alle loro officine (ammesso e non concesso), avrebbe reso inutile il caritatevole ufficio della baionetta e del patibolo. Ma senza dubbio i nostri amici stranieri hanno titoli più numerosi alla nostra benevolenza perché si ammetta la possibilità di soccorsi domestici; e mai necessità più incalzanti li hanno reclamati.
Ho attraversato il teatro della guerra nella Penisola, ho visitato alcune delle più oppresse provincie della Turchia, ma sotto il più dispotico dei governi infedeli non ho visto una miseria così nera, come dopo il mio ritorno nel cuore medesimo di un paese cristiano. E quale riparo recate voi ad un tale stato di cose?
Dopo mesi interi di inazione, o di un’azione anche peggiore, arriva infine il grande rimedio, la ricetta infallibile di tutti i medici dello Stato dai giorni di Dracone fino a noi. Dopo che si saranno tastati i polsi agli infermi scrollando la testa, dopo che si sarà ordinata l’acqua calda e la sanguisuga di consuetudine, l’acqua calda della vostra polizia e la lancetta dei vostri soldati, queste convulsioni devono terminare colla morte, risultato inevitabile di tutti i Sangradi politici. Senza parlare dell’ingiustizia palese e della vanità certa della legge, la pena capitale non è abbastanza applicata nei vostri statuti?
Non c’è sangue sufficiente nel vostro codice penale? Se ne deve spargere altro perché salga al Cielo e testimoni contro di voi? Come farete eseguire questa legge? Metterete in prigione tutta una contea? Innalzerete un patibolo in ogni campo per appendervi uomini come spauracchi? Vale a dire (e sarà necessario) che per realizzare questa misura procederete per via di decimazione? Metterete il paese sotto la legge marziale? Spopolerete tutta una terra per trasformarla in una vasta solitudine?
Volete offrire in dono alla corona la foresta di Sherwood, e ristabilirla nella sua prima condizione di caccia reale e di asilo per malfattori? Sono questi i vostri rimedi ai mali di un popolo affamato e furioso? Credete che il disgraziato che per fame ha saputo affrontare le vostre baionette, si lascerà atterrire da una forca? Quando la morte è un sollievo, il solo, pare, che voi gli concediate, li ricondurranno all’ordine i vostri dragoni? Ciò che non poterono i vostri granatieri, lo faranno i vostri carnefici? Se volete seguire le forme legali, dove saranno le vostre prove? Quelli che hanno rifiutato di accusare i loro complici, quando la pena minacciata non era che la deportazione, non acconsentiranno certo a deporre contro di loro quando la pena è la morte.
Con tutto il rispetto e la deferenza ch’io debbo ai nobili lord del lato opposto, credo che alcune indagini, qualche esame, muterebbero le loro risoluzioni. Quel ritrovato così caro ai diplomatici, tanto efficace in molte circostanze recenti, il temporeggiare, non sarebbe qui senza utilità. Quando una misura di emancipazione o di risarcimento vi è proposta, voi esitate, deliberate per anni ed anni; tenete a bada, ricorrete a mille stratagemmi, a mille vie impacciate; ma una legge di morte deve essere votata liberamente e senza pensare alle conseguenze!
Io sono certo, da quello che ho visto e sentito, che nelle circostanze attuali far passare questa legge senza esame, senza deliberazioni, sarebbe unire l’ingiustizia allo sdegno, la barbarie all’indifferenza. Gli autori di una tale legge devono rassegnarsi agli onori di quel legislatore di Atene le cui leggi erano, come si diceva, scritte non con l’inchiostro, ma col sangue.
Ma supponiamo che una tale legge sia adottata; supponiamo uno di quegli uomini, quali io ne ho visti … smunti dalla fame, immersi in una cupa disperazione, incuranti di una vita che le Signorie Vostre apprezzano forse meno di un telaio… supponiamo quell’uomo circondato dai figli ai quali non può dare pane neppure a rischio della vita, in procinto di vedersi strappato per sempre da una famiglia che la sua pacifica industria aveva fino allora sostenuta, e per la quale non può più far nulla… immaginiamo un tal uomo, e ce ne sono delle migliaia in questa situazione fra i quali potete scegliere le vostre vittime; immaginiamolo trascinato dinanzi a un tribunale per esservi giudicato per questo nuovo misfatto in virtù di questa nuova legge; ebbene, mancheranno ancora due cose, secondo me, per giudicarlo e condannarlo, cioè… dodici becchini per giurì, e un Jefferies per giudice! [il giudice Jefferies, attivo sotto Giacomo II, nel XVII secolo, passò alla storia per la sua spietatezza unita al servilismo verso il sovrano, NDR].
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