Le Fake news tornano al centro dell’attenzione e soprattutto del dibattito politico. Dopo la pubblicazione di un’inchiesta sul New York Times, che ipotizza rapporti tra siti italiani e russi, e dunque un possibile pericolo per le elezioni italiane, è scoppiata la polemica tra partiti e stampa sull’uso e l’abuso delle notizie, vere, false o pilotate.
Il filo diretto di Prima Pagina del 28 novembre 2017, la puntata di Tutta la città ne parla del 27 novembre 2017, gli articoli di Marco Gervasoni sul Messaggero del 28 novembre e di Gianantonio Stella sul Corriere della Sera di oggi.
1. Fake News e politica
Ne discutono con Pietro del Soldà e i radioascoltatori di Tutta la città ne parla, Juan Carlos de Martin (Politecnico di Torino), Oreste Pollicino (Università Bocconi di Milano), Arianna Ciccone (Fondatrice del Festival di giornalismo di Perugia, Valigia Blu), Andrew Spannaus (Transatlantico.info).
Gli approfondimenti del sito della trasmissione:
Il Post.it, Perché tutti parlano di nuovo di “fake news”: l’articolo del New York Times che ipotizza un collegamento tra siti della Lega Nord, del M5S e filorussi
Bruno Saetta su ValigiaBlu, Perché le soluzioni al problema ‘fake news’ sono a loro volta un problema
Flavia Perina su L’inkiesta, Le fake news sono le nuove scie chimiche. L’idea che qualche haker stia influenzando la nostra campagna elettorale è francamente risibile. E mostra tutta la debolezza dell’Occidente.
Affaritaliani.it, Fake news, allarme dagli USA, Italia a rischio. Renzi: Facebook agisca
2. Marco Gervasoni, Il caso Fake news/false notizie. La cultura come antidoto al male antico
Nulla di solito ha l’aria più falsa del vero, mentre il falso ha sempre una grande apparenza di probabilità».
Con questa battuta dello scrittore francese Theophile Gautier si potrebbe chiudere la polemica sulle cosiddette «false notizie» (usiamola, la lingua italiana!) Nonostante l’età media del nostro paese sia piuttosto alta, sembra infatti che tutti abbiano smarrito la memoria anche recente, novelli Alice nel paese della meraviglie. E allora, per rinfrescarla un po’, ricordiamo che… [l’articolo letto a Prima pagina].
3. Gianantonio Stella, 500 anni fa lo smascheramento della più grande bugia storica.
Nel 1517 veniva dato alle stampe il testo che smascherava la Donazione di Costantino. Da Napoleone ucciso dai cosacchi ai Savi di Sion, la lunga tradizione dei falsi storici. Tratto dal Corriere della Sera, 29 novembre 2017.
Non c’è gara: la bufala più grande di tutti i tempi, per quanto si sforzino i russi e tutti gli altri fabbricanti di menzogne stranieri e nostrani, è già stata pubblicata. Tredici secoli fa. E cambiò la storia del mondo. Finché non sbucò fuori Lorenzo Valla che nel 1440, mettendo a frutto gli studi di filologia e di retorica ma più ancora esercitando lo spirito di uomo libero, scrisse Il Discorso sulla falsa e menzognera donazione di Costantino.
Il documento, scrive Carlo Ginzburg, aveva avuto una «circolazione larghissima» per tutto il Medioevo. E
«certificava che l’imperatore Costantino, in segno di gratitudine verso papa Silvestro che lo aveva guarito miracolosamente dalla lebbra, si era convertito al cristianesimo, donando alla Chiesa di Roma un terzo dell’impero».
In realtà, continua lo storico, è opinione oggi condivisa
«che il constitutum sia stato redatto verso la metà del secolo VIII per fornire una base pseudo-legale alle pretese papali al potere temporale», ma per molto tempo la donazione «non venne assolutamente messa in dubbio». Nemmeno da Dante, convinto che quel potere temporale avesse gettato le premesse della corruzione della Chiesa: «Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,/ non la tua conversion, ma quella dote/ che da te prese il primo ricco patre».
Certo è che quando Valla provò in modo inequivocabile e con parole aspre l’impossibilità che il testo fosse autentico
(«si può parlare di Costantinopoli come di una delle sedi patriarcali, quando ancora non era né patriarcale né una sede né una città cristiana né si chiamava così, né era stata fondata, né la sua fondazione era stata decisa?»),
questa prova del falso, per quanto preceduta da opinioni simili come quella del filosofo Nicolò Cusano, sollevò uno scandalo. Sopito per decenni dalla difficoltà con cui circolavano i venticinque manoscritti. Ma esploso quando il tedesco Ulrich von Hutten, nella scia di Lutero e delle tesi affisse sul portale della cattedrale di Wittenberg, riprese il testo e decise di stamparlo. Era il 1517: esattamente mezzo millennio fa.
Eppure, come ricorda Luciano Canfora nel suo La storia falsa, la donazione di Costantino non è la bufala più antica. Ben prima, infatti, sarebbe falsa una lettera attribuita a Pausania, nella quale l’allora potentissimo «reggente» spartano avrebbe scritto a Serse, il re dei Persiani appena sconfitto:
«Ti restituisco questi prigionieri catturati in battaglia volendoti fare cosa gradita e ti propongo, se piace anche a te, di sposare tua figlia e di sottomettere al tuo potere Sparta e tutta la Grecia. Ritengo di essere in grado di realizzare questo piano se mi metto d’accordo con te. Se dunque qualcosa di questa proposta ti piace, manda qualcuno fidato con cui possa proseguire la trattativa».
Un’offerta di tradimento da prender con le pinze, scrive Erodoto («Sempre che sia vero ciò che si dice…»), ma che Pausania pagò cara: condannato a morte, si rifugiò in un tempio dove non potevano toccarlo. E lì, senza toccarlo, lo murarono vivo. A morire di fame e di sete. Per un messaggio probabilmente falso scritto da altri.
La lettera del resto, insiste Canfora,
«è in qualunque epoca il genere falsificabile per eccellenza».
E racconta di
«una lettera di Cicerone che descrive, con accenti quasi trionfali, come egli avesse smascherato, per semplice analisi “interna”, un dispaccio giunto in Senato mentre si era in seduta, e falsamente attribuito a Bruto, il cesaricida, allora impegnato a organizzare le forze repubblicane in Oriente».
Per non dire della misteriosissima missiva che nel 1165, secondo il cronista Alberico delle Tre Fontane, arrivò a papa Alessandro III, all’imperatore bizantino Manuele I Comneno e a Federico Barbarossa da «Gianni il Presbitero, per la grazia di Dio e la potenza di nostro Signore Gesù Cristo, re dei re e sovrano dei sovrani». Il quale si offriva di mettere le sue ricchezze e i suoi eserciti a disposizione per muover guerra agli islamici e difendere la Terra Santa. Era il mitico «Prete Gianni», inventato a quanto pare da un monaco tedesco, ma destinato a diventare una leggenda e spasmodicamente atteso per decenni e decenni…
E come dimenticare la clamorosa notizia arrivata a Londra il 21 febbraio 1814? La portò, fingendo d’esser appena sbarcato a Dover, uno spossato «ufficiale» in divisa rossa:
«Napoleone è stato ucciso dai cosacchi! L’hanno fatto a pezzi. Letteralmente».
La Borsa schizzò all’insù. E poi più su, su, su… Finché scoppiò il panico: era tutto falso! L’inchiesta puntò diritto su Thomas Cochrane, ammiraglio, politico, finanziere: arrestato, condannato, degradato per aggiotaggio. E destinato a fornire lo spunto ad Alexandre Dumas per una delle vendette del conte di Montecristo.
Ancora più sensazionale, per la sua diffusione, fu la news sparata dai principali giornali del mondo il 23 maggio 1871: i difensori della Comune di Parigi, e più precisamente le pétroleuses, le donne incendiarie, avevano «incenerito il Louvre». L’eco fu enorme: ecco cosa sono i comunardi! Barbari! Friedrich Nietzsche e Jacob Burckhardt, racconta lo storico Manfred Posani Loewenstein che sta lavorando al tema per farne un libro,
«si incontrano e piangono insieme l’“autunno della civiltà”»
e «in Italia, mentre in Parlamento si discute dei fatti di Parigi e un deputato ricorda che “una parte del suo patrimonio artistico (…) forse in questo momento è rovinata sotto le bombe a petrolio degli odiatori dell’umanità”,
un articolo della “Gazzetta dell’università” (un giornale studentesco pisano) cerca di giustificare le ragioni degli incendiari». Il cattolico «Lo Trovatore» va oltre e
«celebra nella distruzione del Louvre una punizione divina per le conquiste (e i saccheggi) dell’era napoleonica».
Troppo ghiotta, la notizia, per non sfruttarla. Al punto che, perfino dopo la smentita ufficiale (già il 24 maggio sui giornali inglesi), c’è chi insiste:
«Ci sono quotidiani che riportano la falsa notizia ancora il 13 giugno, come l’italiano (e ultracattolico) “La frusta”, altri che mettono in discussione le smentite»…
Un classico, il rifiuto delle smentite. Che si ripeterà ad esempio coi Protocolli dei Savi di Sion. Sono passati 97 anni dall’inchiesta del «Times» del 1921 che dimostrò come il fantomatico piano segreto ordito dagli ebrei nel cimitero di Praga per impossessarsi di tutte le ricchezze del mondo fosse un documento falso frutto di diverse scopiazzature e «prodotto» nel 1903 del Novecento dall’Okhrana, la polizia segreta zarista. Eppure ancora oggi, ricordava Umberto Eco,
«il parere dominante è sempre quello dell’antisemita britannica Nesta Webster: “Sarà un falso, ma è un libro che dice esattamente ciò che gli ebrei pensano, quindi è vero”».
I risultati sono noti: i lager, le camere a gas, la Shoah…
E Orson Welles? La cronaca in diretta dello sbarco dei marziani sul suolo americano trasmessa il 30 ottobre 1938 dalla rete radiofonica Cbs resterà memorabile. Sembrò così «vera» che non solo il giorno dopo era su tutte le prime pagine, ma che un’ascoltatrice fece causa al geniale conduttore per averle fatto avere uno choc.
Più spiritosa era stata due anni prima la reazione di Stalin all’Associated Press che chiedeva conferme alla notizia che fosse morto:
«Egregio signore, per quel che mi risulta dalle notizie della stampa estera, io ho già da tempo lasciato questa valle di lacrime (…). Poiché alle notizie della stampa estera non si può non accordare fiducia, a meno che non si voglia venir cancellati dal novero delle persone civili, La prego di credere a queste notizie e di non violare la mia pace nel silenzio dell’aldilà. Con stima I. Stalin».
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