Il mito di Prometeo come potente leva di comprensione non solo nelle epoche passate, ma anche nella nostra. Secondo Giorello, pubblicato oggi dal Rasoio di Occam, il senso di questo mito riemerge nel destino dei personaggi dei cicli di fumetti (manga) e dei film di animazione (anime). Ma, si chiede il filosofo, manga e anime del nuovo Giappone possono dare indicazioni efficaci nella ricerca di antidoti alla componente distruttiva del prometeismo dell’Occidente?
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Ricordate Genesi 1,26? «Poi Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, conforme alla nostra somiglianza, ed abbia dominio sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutta la terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”». Comunque si attenui nelle nuove versioni della Bibbia quell’allusione al dominio della creatura umana sulla natura, resta che quel mandato divino (basato sulla «immagine e somiglianza» con il Signore) separa Homo sapiens da ogni altro organismo vivente. E se gli odierni teologi tendono a interpretare quel dominio come un’assunzione di responsabilità piuttosto che un potere assoluto, ben strana appare quella divina provvidenza che ha affidato il nostro Globo alle mani dei discendenti di Eva e di Adamo, i quali si sono rivelati capaci nel corso della storia di tante e tali violenze sull’ambiente: è un po’ come voler affidare alla responsabilità del (Real) Collegio delle Fanciulle a… Jack lo Squartatore.
Le narrazioni della Bibbia sono miti, anch’essi pieni di fascino e di mistero non meno che i loro corrispondenti nella cultura greca e latina. In questo libro, Fabio Bartoli valorizza soprattutto la vicenda di Prometeo, il dio spodestato e condannato per aver troppo amato le creature umane, donando loro non solo il fuoco (cioè tecnica ed energia) ma anche l’arte dei numeri (ossia matematica e scienza) e «cieche aspettative» (ovvero l’ignoranza del giorno della propria morte). E chi sono i moderni Prometeo? Nella immaginosa rappresentazione di William Blake, quel ruolo è affidato a Isaac Newton, vero e proprio titano della scienza che quasi confonde le sue membra con le rocce di un’ardua montagna, mentre è intento a mettere su carta calcoli e schemi delle orbite dei pianeti; per Immanuel Kant toccava all’americano Benjamin Franklin il compito di controllare i fuochi venuti dal cielo (cioè i fulmini), non più saette di Zeus ma fisiche manifestazioni dell’elettricità; per Percy Bysshe Shelley le catene di Prometeo venivano spezzate ogni volta che tecnologia e scienza erano messe al servizio della libertà e dell’uguaglianza, mentre la sua consorte Mary già disegnava nel Frankenstein il ritratto di un creatore terrificato a tal punto dalla propria «creazione» da dimenticare qualsiasi responsabilità nei suoi confronti.
Basterebbero questi brevi accenni alle trasformazioni di Prometeo nella nostra cultura a indicare come il mito non si riduca a un residuo di epoche non ancora rischiarate dalla luce del progresso, ma costituisca ancor oggi una potente leva non solo di emozione ma di comprensione, soprattutto là ove Prometeo «scatenato» appare come un benefattore davvero bizzarro (il primo santo laico del calendario, come amava dire Karl Marx), giacché i suoi doni appaiono gravidi di minaccia. «Vivono nel terrore gli scienziati / e la mente europea s’arresta», leggiamo nel frammento dal CXV dei Cantos di Ezra Pound: il poeta vergò queste parole in quello stesso 1952 cui risalgono i primi test sulla bomba all’idrogeno, ovvero la «superbomba» la cui potenza distruttiva doveva – stando ai suoi stessi progettatori – far impallidire quella degli ordigni atomici scagliati dall’aviazione militare USA sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki. Si tende troppo spesso a dimenticare che la seconda Guerra Mondiale è stata pure la prima guerra atomica della storia. In uno dei più intelligenti film di Orson Welles, la trasposizione cinematografica del Processo di Kafka, alla grottesca uccisione del protagonista un fungo atomico si leva all’orizzonte.
Peraltro, quella colonna mortifera compare in modo ricorrente alla dipartita di questo o quel personaggio dei cicli di fumetti (manga) e film d’animazione (anime) citati in questo libro. Spesso suggella la fine di un «cattivo» quasi in senso etimologico: qualcuno che si è lasciato far prigioniero di una scienza o di una tecnologia impiegate in modo perverso. Altrove – è il caso, per esempio, della serie di Ken il Guerriero (Hokuto no Ken in giapponese, alla lettera ‘Il colpo dell’Orsa Maggiore’) o dello scanzonato Conan, il ragazzo del futuro del grande Hayao Miyazaki – uno scenario post-disastro fa da sfondo allo svolgersi della trama, e la catastrofe bellica ne è la premessa, che talvolta, quasi fosse stata «rimossa», viene soltanto accennata, riaffiorando nel corso di ossessivi flashback.
Metafore di un’apocalisse prossima ventura o di una genesi maligna, quelle narrazioni prendono atto del fallimento dei figli di Adamo o dei protetti di Prometeo. Bartoli ci propone nel libro una continuazione del viaggio «verso il Cipango», inaugurato da Cristoforo Colombo, la cui rotta verso ovest era stato interrotta… dal continente americano! Facendo proprio lo spirito della frontiera e spingendosi sempre più a occidente, il colono USA sarebbe poi giunto al vero Giappone, come mostra il successo della spedizione (1853) del commodoro Matthew Calbraith Perry. Doveva così cominciare «il tramonto del Sol Levante». Non è solo un paradosso linguistico (e non dimentichiamo che i due ideogrammi che formano il nome Nihon, Giappone, significano appunto ‘la radice o l’origine del Sole’), ma la constatazione del dramma di una civiltà. Bartoli cita Mishima:
«Essi contavano sull’ausilio divino, mentre il loro scopo era quello di sfidare con la semplice sciabola le armi occidentali aborrite dagli dei».
D’altra parte, basterebbe ricordare che Perry convinse i rappresentanti dello Shôgun a gettare le premesse per un’intesa commerciale alla guida di convincenti cannoniere!
Non è ovviamente il caso di ripercorrere qui la complessa vicenda della modernizzazione forzata del Giappone, inclusi l’esito – a un tempo tragico e demitizzante per la figura dell’Imperatore, (ex) discendente della dea del sole Amaterasu – dell’intervento nipponico a fianco della Germania di Hitler e dell’Italia di Mussolini e la conseguente occupazione americana. Nel corso del Novecento, il Sol Levante non si è limitato a portare all’estremo l’apertura all’Occidente (secondo meccanismi che sono stati ampiamente indagati dalla sociologia), ma ha pure incorporato i miti occidentali, dandone, con grande successo di pubblico, un’originale versione nei manga e negli anime. Ha spaziato dalla Divina Commedia riletta da Gô Nagai alle citazioni dal Paradiso perduto di Milton (come nel capolavoro di Yukinobu Hoshino 2001 Nights o nel popolarissimo Angel Sanctuary di Kaori Yuki), fino alla recente rilettura di episodi del Nuovo Testamento nel Gesù di Yoshikazu Yasuhiko.
Resta ovviamente aperta la questione sollevata da Bartoli in tutto il suo libro: se manga e anime del nuovo Giappone possano dare indicazioni efficaci nella ricerca di «antidoti» alla componente distruttiva del prometeismo dell’Occidente. Forse non c’è più mandato divino ad assoggettare la Terra, e la fantascienza giapponese può costituire un interessante repertorio di esempi in cui, per dirla ancora con Pound (Canto CXIV), «la verità sta nella tenerezza», ovvero – fuor di metafora – l’approccio alle conquiste dell’impresa tecnico-scientifica non prescinde più dall’abbinamento virtuoso di ricerca e solidarietà. Anche tenendo conto di quella che potremmo definire l’altra faccia dell’ecologia: quella di un ambiente da cui dobbiamo proteggerci prima ancora di pensare di doverlo proteggere noi. Pensiamo al Dialogo della natura e di un islandese di Giacomo Leopardi. Dice l’islandese:
«Io sono stato arso dal caldo fra i tropici, rappreso dal freddo verso i poli, afflitto nei climi temperati dall’incostanza dell’aria, infestato dalle commozioni degli elementi in ogni dove. Più luoghi ho veduto, nei quali non passa un dì senza temporale: che è quanto dire che tu dai ciascun giorno un assalto e una battaglia formata a quegli abitanti, non rei verso te di nessun’ingiuria. In altri luoghi la serenità ordinaria del cielo è compensata dalla frequenza dei terremoti, dalla moltitudine e dalla furia dei vulcani, dal ribollimento sotterraneo di tutto il paese». Imperturbabile, la natura ribatte: «Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra?».
L’ambiente non si cura della felicità degli esseri umani. Opportunamente Bartoli conclude con una battuta del biologo evoluzionista Stephen Jay Gould: viviamo «in un universo che è indifferente alla nostra sofferenza», ma che proprio per questo «ci offre la massima libertà di avere successo o di fallire nella via che abbiamo scelto».
* il testo è la prefazione al libro di Fabio Bartoli “Mangascienza. Messaggi filosofici ed ecologici nell’animazione fantascientifica giapponese per ragazzi”, Latina, Tunué, 2011
Giulio Giorello è Professore ordinario di Filosofia della scienza all’Università di Milano. Fra i suoi libri più recenti Lussuria. La passione della conoscenza (il Mulino, 2010) e Senza Dio. Del buon uso dell’ateismo (Longanesi, 2010).
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