Quattro questioni e la riflessione di Zagrebelsky per capire la democrazia.
1. Quali sono i principi della democrazia?
La democrazia può avere principi assoluti in cui credere? La democrazia è basata sugli individui o sulla massa?
2. Un regime democratico dev’essere tollerante?
La democrazia è compatibile con la pena di morte? E con la guerra?
3. La maggioranza ha sempre ragione?
Le minoranze devono adattarsi al volere della maggioranza? E qual è il corretto atteggiamento democratico verso le persone più deboli?
4. Qual è il ruolo della scuola nella democrazia?
L’accesso all’istruzione è o no una condizione della democrazia? La diffusione della cultura ha a che fare con la sua realizzazione?
1. Quali sono i principi della democrazia?
1.1 La fede in qualcosa che vale
La democrazia è relativistica, non assolutistica. Come istituzione dʹinsieme, non ha fedi o valori assoluti da difendere, a eccezione di quelli su cui si basa. Deve cioè credere in se stessa e sapersi difendere, ma al di là di ciò è relativistica nel senso preciso della parola: fini e valori sono da considerare relativi a coloro che li propugnano e, nella loro varietà, ugualmente legittimi.
Democrazia e verità assoluta, democrazia e dogma, sono incompatibili. La verità assoluta e il dogma valgono nelle società autocratiche, non in quelle democratiche. Dal punto di vista dei singoli, invece, relativismo significa che ʺtutto è relativoʺ, che una cosa vale lʹaltra, cioè che nulla ha valore. In questo senso, cioè dal punto di vista dei singoli, relativismo equivale a nichilismo o scetticismo. Ora, mentre il relativismo dellʹinsieme è condizione della democrazia, nichilismo o scetticismo sociali sono una minaccia. Se non si ha fede in nulla, perché difendere una forma di governo come la democrazia che vale in quanto le proprie convinzioni possono essere fatte valere? Per lo scettico, democrazia o autocrazia pari sono.
Rallegriamoci dunque se la democrazia, come insieme, è relativistica. Solo così la società può essere libera; chi se ne duole, nasconde pensieri autocratici. Impegniamoci però in ogni luogo per scuotere lʹapatia, promuovere ideali, programmi e, perché no, utopie.
1.2 La cura delle individualità personali
La democrazia è fondata sugli individui, non sulla massa. Come Tocqueville ha antiveduto, la massificazione è un pericolo mortale. Proprio la democrazia, proclamando unʹuguaglianza media, può minacciare i valori personali annullando individui e libertà nella massa informe. E la massa informe può accontentarsi di un demagogo in cui identificarsi istintivamente. I regimi totalitari del secolo scorso sono la riprova: una democrazia senza qualità individuali si affida ai capipopolo e questi, a loro volta, hanno bisogno di uomini-massa, non di uomini-individui. Per questo, la democrazia deve curare lʹoriginalità di ciascuno dei suoi membri e combattere la passiva adesione alle mode. Dobbiamo vedere con preoccupazione lʹappiattimento di molti livelli dellʹesistenza, consumi e cultura, divertimenti e comunicazione: tutti ʺdi massaʺ. Chi non si adegua, nel migliore dei casi è un ʺoriginaleʺ, nel peggiore uno ʺspostatoʺ. Non è questa certo la prima volta che ci si rivolge proprio alla scuola perché alimenti, e non reprima, caratteri e vocazioni personali delle giovani vite con cui ha a che fare.
1.3 Lo spirito del dialogo
La democrazia è discussione, ragionare insieme; è, socraticamente, filologia. Chi odia discutere, il misologo, odia la democrazia, forma di governo discutidora. Alla persuasione preferisce lʹimposizione. Maestro insuperabile dellʹarte del dialogo, cioè della filologia, è certo Socrate, cui si deve la denuncia di due opposti pericoli. Vi sono – dice – ʺpersone affatto incolteʺ, che
amano spuntarla a ogni costo
e, insistendo, trascinano altri nellʹerrore. Vi sono poi però anche coloro che
passano il tempo nel disputare il pro e il contro, e finiscono per credersi i più sapienti per aver compreso, essi soli, che, sia nelle cose sia nei ragionamenti, non cʹè nulla di sano o di saldo, ma tutto va continuamente su e giù.
Dobbiamo guardarci da entrambi i pericoli, lʹarroganza del partito preso e il tarlo che nel ragionare non vi sia nulla di integro. Per preservare lʹonestà del ragionare, deve essere prima di tutto rispettata la verità dei fatti.
Sono dittature ideologiche, quelle che li manipolano, travisano o addirittura creano o ricreano ad hoc. Sono regimi corruttori delle coscienze ʺfino al midolloʺ, quelli che trattano i fatti come opinioni e instaurano un ʺnichilismo della realtàʺ, mettendo sullo stesso piano verità e menzogna. Gli eventi della vita non sono più ʺfatti duri e inevitabiliʺ, bensì un
agglomerato di eventi e parole in costante mutamento (su e giù, per lʹappunto), nel quale oggi può essere vero ciò che domani è già falso, secondo lʹinteresse del momento (Hannah Arendt).
Perciò, la menzogna intenzionale – strumento ordinario della vita pubblica – dovrebbe trattarsi come crimine contro la democrazia. Né intestardirsi, dunque, né lasciar correre, secondo lʹinsegnamento socratico. Il quale ci indica anche la virtù massima di chi ama il dialogo: sapersi rallegrare di scoprirsi in errore. Chi, alla fine, è sulle posizioni iniziali, infatti, ne esce comʹera prima; ma chi si corregge ne esce migliorato, alleggerito dellʹerrore. Se, invece, si considera una sconfitta, addirittura unʹumiliazione, lʹessere colti in errore, lo spirito del dialogo è remoto e dominano orgoglio e vanità, sentimenti ostili alla democrazia.
1.4 Lo spirito dellʹuguaglianza
La democrazia è basata sullʹuguaglianza; è insidiata dal privilegio. Lʹuguaglianza è isonomia – ʺla più dolce delle paroleʺ -, lʹuguaglianza delle leggi, che, in Grecia, precedette il secolo glorioso della democrazia ateniese. Senza leggi uguali per tutti – pensiamo ai privilegi, alle leggi ad personas – la società si divide in caste e la vita collettiva diventa dominio di oligarchie. Il privilegio crea arrivismo e rincorse perverse. Se la mobilità e gli accessi in alto esistono, la società è sottoposta a stress dal carrierismo diffuso, con disagio, frustrazioni, perfino suicidi; se si chiudono, per insufficiente mobilità, si ingenera un terribile male distruttivo, lʹinvidia sociale. Tanto sono evidenti, non occorrono esempi della caduta attuale dello spirito di uguaglianza. Si tratta anzi di un rovesciamento: lʹammirazione sta al posto del disprezzo verso i privilegiati, esempi da imitare nel modo di pensare e nello stile di vita.
Cʹè un luogo di culto sociale che esprime lo spirito autentico del nostro tempo: lo stadio. Si faccia attenzione alle stratificazioni del pubblico. Alla tribuna volgarmente denominata dei vip, dove siedono i prominenti di politica, finanza, mondanità, si volgono gli occhi di decine di migliaia di potenziali clientes che, invece di avvertire lʹindecenza della situazione, farebbero di tutto per esservi ammessi.
2. Un regime democratico deve essere tollerante?
2.1 Il rispetto delle identità diverse
In democrazia le identità particolari sono ininfluenti sul diritto di stare in società. Non è stato così in passato; non è pienamente così neppure ora. Oggi, il problema della coesistenza di identità plurime è di natura etnico-culturale e religiosa; storicamente, è stato religioso, derivando dal distacco della Riforma dalla Chiesa di Roma. In nome dellʹordine interno, col principio cuius regio, eius et religio, a metà del ʹ500 si impose in Europa lʹidentità di religione agli abitanti le medesime terre, rendendo sì possibili le migrazioni da uno stato allʹaltro per difendere, insieme alla vita, la fede, ma permettendo la persecuzione religiosa entro ciascuno Stato. Lʹidea della tolleranza nacque per consentire di tenere insieme terra e fede, per non dover perdere lʹuna volendo conservare lʹaltra. Ma non alla tolleranza si rivolge la democrazia. Il contesto è diverso. Lʹassolutismo, quando si ammorbidisce, può parlare di tolleranza; non la democrazia, cui si addice invece il linguaggio della cittadinanza, uguale per tutti. Onde il concetto di identità, se deve valere per riconoscere e proteggere le culture diverse, è irrilevante per la partecipazione alla vita pubblica.
Il rischio viene ora da un nuovo richiamo allʹunione tra potere civile e religione. Storicamente, essa ha posto la vita religiosa sotto la potenza degli Stati. Oggi, ʺatei-clericaliʺ, o come li si possa chiamare, mirano al rovescio: cuius religio, eius et regio, in un ambiguo intreccio di potere civile e religioso in cui lʹuno si appoggia sullʹaltro (Stefano Levi della Torre). Una nuova alleanza tra trono e altare, una minaccia di rinnovate intolleranze su ampia scala. Questi problemi sono particolarmente vivi nel riflesso che hanno con riguardo ai simboli, velo islamico o crocifisso cistiano. La democrazia non ne può impedire lʹesposizione a nessuno in particolare, ma nessuno, a sua volta, può farne uso aggressivo. Se e quando prevarrà il reciproco rispetto, un problema che oggi appare tanto acuto, allʹidentità associandosi lʹesclusione, si supererà da sè, senza bisogno di soluzioni giuridiche. Molto può la scuola nel promuovere la reciproca accettazione e con ciò abbassare lʹinsolenza dei segni distintivi.
2.2 La diffidenza verso le decisioni irrimediabili
La democrazia implica la rivedibilità di ogni decisione (sempre esclusa quella sulla democrazia stessa). Le soluzioni definitive ai problemi, senza possibili ripensamenti e correzioni, sono dei regimi della giustizia e verità assolute. In quanto perennemente dialogica, la democrazia non ha e non può volere verità nè a priori, come frutto per esempio di mandati divini, nè a posteriori, come conseguenza di decisioni popolari, anche se unanimi. La strada per dire: ʺci siamo sbagliatiʺ deve restare sempre aperta.
Non è privo di significato che le democrazie siano prevalentemente orientate contro la pena di morte e contro la guerra, due decisioni dagli effetti irreversibili. Le autocrazie, invece, non hanno scrupoli. Possono fondarsi, come in de Maistre, sullʹelogio congiunto della forza armata e del boia, naturali prosecuzioni della verità assoluta. Tutti comprendiamo quanto le decisioni irreversibili possano pregiudicare la discussione in materie oggi divenute cruciali, come la bioetica, la tecnologia applicata ai temi della vita, della morte e della salute o il rapporto tra lʹessere umano e la natura – tutte esposte al rischio di scelte senza ritorno.
2.3 Lʹatteggiamento sperimentale
La democrazia è orientata da principi ma deve imparare quotidianamente dalle conseguenze dei propri atti. È scontata la citazione della weberiana etica della responsabilità, accanto allʹetica della convinzione. Non è così per i regimi della verità assoluta. Essi non temono le conseguenze.
Fiat veritas, fiat iustitia, pereat mundus. Lo spirito democratico è invece quello in cui convinzioni e conseguenze formano il campo di tensione che determina le norme dellʹagire responsabile. Ogni progetto realizzato apre problemi che rimettono in discussione il progetto. Lʹesperienza è il banco di prova della teoria. Immergersi in questa tensione forma il carattere, rende accettabili le sconfitte e promuove nuove energie. Sotto questo aspetto, lʹistituzione scolastica da noi è particolarmente carente, orientata comʹè allʹastrattezza che genera distacco dal mondo, induce alla rinuncia e invita allʹindividualismo chiuso in se stesso.
4. La maggioranza ha sempre ragione?
4.1 Coscienza di maggioranza e coscienza di minoranza
In democrazia, nessuna deliberazione si interpreta nel segno della ragione e del torto. Non vale la massima terroristica: vox populi, vox dei. Essa solo apparentemente è democratica poiché nega il diritto della minoranza, la cui opinione, per opposizione, si direbbe vox diaboli. Vox populi, vox hominum, invece; voce di esseri fallibili ma disposti a riconoscere i propri errori. Il motore di questo movimento sta non nella maggioranza, ma nelle minoranze che fanno loro il motto “distinguiti dalla maggioranza nel compiere ciò che ritieni giustoʺ. La loro ragione dʹessere è la sfida alla deliberazione presa, in previsione di unʹaltra migliore. Per questo, la prevalenza di una maggioranza su una minoranza non è la vittoria della prima e la sconfitta della seconda ma lʹassegnazione di un duplice onere: alla maggioranza, dimostrare nel tempo a venire la validità della decisione presa; alla minoranza, insistere su ragioni migliori. Ondʹè che nessuna votazione, in democrazia (salvo quelle che instaurano la democrazia stessa) chiude definitivamente la partita, perché il terreno per la sfida di ritorno è sempre aperto.
4.2. Lʹatteggiamento altruistico
La democrazia è forma di vita di esseri umani solidali. La virtù repubblicana di Montesquieu è questo: amore per la cosa pubblica e disponibilità a mettere in comune qualcosa, anzi il meglio di sé: tempo, capacità, risorse materiali. Ciò costituisce la respublica come risorsa comune cui tutti possono attingere. Lʹemarginazione sociale è dunque contro la democrazia e lʹidea che nessuno possa essere lasciato a se stesso non è elemento accidentale della democrazia. Lʹalternativa è il darwinismo sociale, lʹideologia crudele che legittima la fortuna dei forti e abbandona i deboli alla loro sorte. Dire queste cose a un pubblico di insegnanti che quotidianamente hanno a che fare con studenti che eccellono e con altri che faticano a tenere il passo significa evocare problemi che essi conoscono bene e solidarizzare con la loro fatica.
Qual è il ruolo della scuola nella democrazia?
5.1 La cura delle parole
Essendo la democrazia dialogo, gli strumenti del dialogo, le parole, devono essere oggetto di cura particolare, come non è in nessunʹaltra forma di governo. Cura duplice: quanto al numero e alla qualità.
a) Il numero di parole conosciute e usate è proporzionale al grado di sviluppo della democrazia. Poche parole, poche idee, poche possibilità, poca democrazia. Quando il nostro linguaggio politico si fosse rattrappito al solo sì e no, saremo pronti per i plebisciti; e quando conoscessimo solo più i sì, saremmo ridotti a gregge. Il numero delle parole conosciute, inoltre, assegna i posti nella scala sociale. Ricordiamo ancora la scuola di Barbiana? Comanda chi conosce più parole. Il dialogo, per essere tale, deve essere paritario. Se uno solo sa parlare, o conosce la parola meglio di altri, la vittoria non andrà al logos migliore, ma al più abile con le parole, come al tempo dei sofisti. Ecco perché la democrazia esige una certa uguaglianza nella distribuzione delle parole.
È solo la lingua che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende lʹespressione altrui. Che sia ricco o povero importa di meno.
Ed ecco perché una scuola ugualitaria è condizione di democrazia.
b) La qualità delle parole. Per lʹonestà del dialogo, le parole non devono essere ingannatrici. Parole precise e dirette; basso tenore emotivo, poche metafore; lasciar parlar le cose attraverso le parole, non far crescere parole su parole. Le parole, poi, devono rispettare, non corrompere il concetto. Altrimenti, il dialogo diventa un modo di trascinare gli altri dalla tua parte con la frode. Ancora impariamo dal Socrate del Fedone:
il concetto vuole appropriarsi del suo nome per tutti i tempi.
Il mondo della politica è dove questo tradimento si consuma più che altrove, a incominciare per lʹappunto dalla parola ʺpoliticaʺ. Politica viene da polis e politeia, due concetti che indicano arte, scienza e attività dedicate alla convivenza. Ma oggi si parla di politica di guerra, segregazionista, espansionista, coloniale, ecc.
Questa è unʹepoca politica – ha scritto Orwell. La guerra, il fascismo, i campi di concentramento, i manganelli, le bombe atomiche sono ciò a cui pensare.
Altro inganno: la libertà, da protezione degli inermi contro gli abusi del potere è diventata, nellʹuso ʺpoliticoʺ, scudo dietro il quale i potenti nascondono la loro prepotenza. Inganni, dunque. A chi pronuncia parole come queste siamo autorizzati a chiedere: da che parte stai? Degli inermi o dei potenti?
Commenti recenti