La lezione introduttiva del corso di antropologia, illustrativa dei concetti di indeterminatezza umana (neotenia), cultura, inculturazione.
Indice
1. L’animale indeterminato
2. La neotenia o infanzia cronica dell’uomo
3. L’importanza del gruppo d’appartenenza
[…] Prese pertanto l’uomo, fattura priva di un’immagine precisa e, postolo in mezzo al mondo, così parlò «Adamo, non ti diedi una stabile dimora, né un’immagine propria, né alcuna peculiare prerogativa, perché tu devi avere e possedere secondo il tuo voto e la tua volontà quella dimora, quell’immagine, quella prerogativa che avrai scelto da te stesso.
Una volta definita la natura alle restanti cose, sarà pure contenuta entro prescritte leggi. Ma tu senz’essere costretto da nessuna limitazione, potrai determinarla da te medesimo, secondo quell’arbitrio che ho posto nelle tue mani. Ti ho collocato al centro del mondo perché potessi così contemplare più comodamente tutto quanto è nel mondo. Non ti ho fatto del tutto né celeste né terreno, né mortale, né immortale perché tu possa plasmarti, libero artefice di te stesso, conforme a quel modello che ti sembrerà migliore. Potrai degenerare sino alle cose inferiori, i bruti, e potrai rigenerarti, se vuoi, sino alle creature superne, alle divine».
O somma liberalità di Dio Padre, somma e ammirabile felicità dell’uomo! Al quale è dato di poter avere ciò che desidera, ed essere ciò che vuole. I bruti nascendo, assorbono dal seno materno ciò che possederanno.
Gli spiriti superiori furono invece, sin dall’origine, o poco di poi, ciò che saranno eternamente. Il Padre infuse all’uomo, sin dalla nascita, ogni specie di semi e ogni germe di vita. Quali di questi saranno da lui coltivati cresceranno e daranno i loro frutti: se i vegetali, sarà come pianta, se i sensuali, diventerà simile a un bruto, se i razionali, da animale si trasformerà in celeste; se gl’intellettuali, diverrà angelo e figlio di Dio. E se di nessuna creatura rimarrà pago, rientrerà nel centro della sua unità, e lo spirito, fatto uno con Dio, verrà assunto nell’umbratile solitudine del Padre che s’aderge sempre al di sopra di ogni cosa. Chi ammira questo nostro camaleonte, o, anzi chi altri può ammirare di più?
Pico della Mirandola, Oratio de hominis dignitate, 1486
1. L’animale indeterminato
Esiste una tradizione di pensiero alimentata da biologi (Gould), paleontologi (Leroi-Gourham), antropologi e filosofi (Pico, Herder, Gehlen) che potrebbe essere definita «tradizione della modestia» perché ritiene che l’animale umano si distingua dagli altri non per un surplus di qualità (non originariamente, almeno), ma per un insieme di carenze e di lacune.
L’animale umano sarebbe più povero degli altri animali. Tale povertà consiste anzitutto in alcuni primitivismi organici e in deficit di istinti specializzati. L’uomo non ha istinti (se per istinto si intende un codice di comportamento complesso trasmesso alla specie con il DNA) e non sa quindi mai, a priori, cosa deve fare; deve invece deciderlo tra sé e con gli altri: a questo serve infatti il linguaggio.
Nel Saggio sull’origine del linguaggio (1772), Herder scrive in proposito:
Che l’uomo, quanto a forza e sicurezza di istinti, sia di gran lunga inferiore agli animali; che anzi non possegga affatto quelle che noi, riferendoci a tante specie animali, chiamiamo attitudini e istinti innati è un fatto assodato. […]
Ogni animale ha il suo ambiente al quale è destinato fin dalla nascita, nel quale subito entra, resta tutta la vita e muore. E’ però singolare il fatto che quanto più fini sono i sensi degli animali, forti e sicuri i loro istinti, prodigiosa la loro opera, tanto più limitato è il loro ambiente, tanto più specifica la loro produzione. […]
Invece:
– L’uomo non ha una sfera così uniforme e angusta dove lo attenda un solo lavoro: un mondo intero di occupazioni e di finalità lo circonda.
– I suoi sensi e la sua conformazione organica non sono appuntati su un solo obiettivo: egli ha sensi adatti a tutto e quindi, come è ovvio, sensi più deboli e torpidi per il singolo particolare.
– Le sue energie psichiche spaziano per l’universo, le sue rappresentazioni non seguono un indirizzo univoco e quindi egli non possiede né istinti, né maestria pratica e, cosa che qui più ci interessa, nemmeno un linguaggio animale.
L’uomo quale linguaggio possiede istintivamente, così come ogni specie animale, all’interno e in conformità della propria specie, possiede il proprio? La risposta è netta: nessuno.
Per ogni animale il linguaggio è innato e a lui immediatamente connaturale. L’ape ronza come sugge, l’uccello canta come nidifica, ma come parla l’uomo per natura? Non parla affatto. A parte i gridi del suo meccanismo sensitivo, il neonato è muto. Non esterna per mezzo di suoni, né rappresentazioni, né impulsi come invece fa, a modo suo, ogni animale. Esposto alle bestie feroci esso è, dunque, tra tutti i cuccioli della natura, proprio il più derelitto. Spoglio e indifeso, debole bisognoso, timido e inerme e, per colmo di sventura, defraudato di tutte le guide dell’esistenza [per approfondire].
Quando nascono gli esseri umani non sanno cosa devono fare e neppure come farlo.
Non sanno come procurarsi il cibo, come costruirsi un riparo, come fare per scaldarsi. Dopo pochi giorni, o addirittura poche ore di vita gli animali sanno cosa devono fare e sono in grado di farlo grazie alle informazioni contenute nel loro corredo genetico (istinto), l’uomo non possiede invece nulla di simile: le informazioni su cosa fare e come farlo dovranno essergli comunicate, cioè insegnate.
2. La neotenia o infanzia cronica dell’uomo
La base filogenetica dell’indeterminatezza, potenzialità e non specializzazione umana è la neotenia, cioè la
persistenza di tratti giovanili anche in soggetti adulti, dovuta a un ritardo dello sviluppo somatico (Gould).
L’Homo sapiens è «un parto costitutivamente prematuro» (Portmann) e proprio per questo resta «un animale non definito» (Gehlen).
Alla nascita, il piccolo dell’uomo è quindi molto più immaturo delle altre specie, inclusi i primati, e ciò spiega il suo bisogno di apprendimento ininterrotto: a un’infanzia cronica corrisponde un cronico inadattamento a cui l’uomo risponde con strumenti sociali e culturali.
La cultura, nel senso più ampio del termine, è dunque una compensazione innata delle lacune della nostra specie: ecco perché per Gehlen (così come per Pascal) essa «è la prima natura dell’uomo».
Affrontando il tema del bisogno umano di educazione, lo psicopedagogista americano Jerome Bruner ha sostato sulle origini della nostra specie:
Gli esseri umani, a differenza degli altri primitivi, hanno un’infanzia prolungata e un più lungo rapporto di dipendenza dagli adulti.
L’opinione corrente sull’origine di questa condizione può essere sintetizzata in questo modo. A mano a mano che gli ominidi divennero sempre più bipedi con le mani libere necessarie per l’uso degli utensili, ci fu non solo un aumento delle dimensioni del cervello, ma anche la richiesta di una cintura pelvica più robusta per sostenere lo sforzo pressante di camminare eretti.
L’aumento della forza nella cintura pelvica si verificò attraverso una graduale chiusura del canale natale e si determinò così un paradosso ostetrico: un cervello più voluminoso in rapporto a un canale del parto più stretto per il passaggio del neonato.
La soluzione sembra essere stata raggiunta attraverso la immaturità cerebrale dell’infante umano che non solo permetteva al neonato di passare attraverso il canale ridotto, ma che assicurava un’infanzia prolungata, durante la quale potessero essere trasmessi i modi e le capacità della cultura.
Ci sono ragionevoli argomenti da avanzare in favore della tesi che la direzione di evoluzione del sistema nervoso dei primati nell’umile topo ragno attraverso il lemure e le scimmie fino ai primati e all’uomo, si è sviluppata non solo in ragione di una maggiore quantità di corteccia cerebrale e di tessuto per i ricettori sensitivi, ma anche verso la selezione evolutiva di forme immature.
Questa tendenza alla neotenia, come è chiamata, è particolarmente rilevante nell’uomo, tanto che il cervello umano assomiglia sotto certi aspetti, più da vicino al cervello fetale del gorilla che al cervello adulto di quel primate [Il significato dell’educazione (1971].
3. L’importanza del gruppo d’appartenenza
Diversamente dai piccoli degli altri animali che raggiungono l’autonomia molto presto, il “cucciolo” dell’uomo diventa, quindi, indipendente molto più tardi.
Lo sviluppo del cervello umano avviene soprattutto nei primi tre anni di vita e si completa entro i diciott’anni (restando malleabile e plastico per tutta la vita). È durante questa infanzia prolungata che il bambino impara cosa e come deve fare per sopravvivere.
Come tutti gli esseri viventi, l’uomo trascorre la sua esistenza in un ambiente naturale retto da leggi fisiche e biologiche ma, a differenza degli altri animali, risponde ai bisogni fisiologici con modalità culturali apprese.
Attraverso il linguaggio, la costruzione di strumenti e l’organizzazione sociale gli uomini hanno sviluppato ciò che gli antropologi chiamano cultura, vale a dire
quell’insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società [Edward B. Taylor, Primitive Culture -1871].
La cultura (nel senso – antropologico – attribuito al termine da Taylor) domina quindi l’esperienza di ogni essere umano, ma essa non è iscritta nel codice genetico: per essere conservata deve essere trasmessa attraverso il processo di inculturazione.
Ciò rende differenti i gruppi umani, sia all’interno della stessa cultura che, soprattutto, tra appartenenti a culture e società diverse.
In una stessa società esistono, infatti, spesso diverse subculture (quella giovanile, quella carceraria, quela delle periferie ecc.) che identificano e differenziano i loro appartenenti da quelli che non lo sono. Su queste differenze si giocano ruolo e prestigio sociale: cioè lo status di ognuno.
1. Che cos’è la neotenia?
2. Da quale osservazione pedagogica parte Bruner?
3. Metti nell’ordine giusto i cambiamenti che hanno generato le conseguenze a cascata che hanno portato alla neotenia
4. Perché il cervello umano somiglia più al cervello fetale del gorilla che al cervello adulto di quell’animale?
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