Il commediografo Aristofane è il quarto commensale a parlare nel Simposio platonico [189 d 5 -193 a 1]: presenta l’amore come simbolo e ricomposizione di un intero.
Bisogna innanzi tutto che sappiate qual è la natura dell’uomo e quali prove ha sofferto; perché l’antichissima nostra natura non era come l’attuale, ma diversa. In primo luogo l’umanità comprendeva tre sessi, non due come ora, maschio e femmina, ma se ne aggiungeva un terzo partecipe di entrambi e di cui ora è rimasto il nome, mentre la cosa si è perduta. Era allora l’androgino, un sesso a sé, la cui forma e nome partecipavano del maschio e della femmina: ora non è rimasto che il nome che suona vergogna.
In secondo luogo, la forma degli umani era un tutto pieno: la schiena e i fianchi a cerchio, quattro bracci e quattro gambe, due volti del tutto uguali sul collo cilindrico, e una sola testa sui due volti, rivolti in senso opposto; e così quattro orecchie, due sessi, e tutto il resto analogamente, come è facile immaginare da quanto se detto. […] Possedevano forza e vigore terribili, e straordinaria superbia; e attentavano agli dèi. Pertanto Zeus e gli altri dèi andavano arrovellandosi che dovessero fare ed erano in grave dubbio perché non se la sentivano di ucciderli e farli sparire fulminandoli come i giganti, né potevano lasciarli insolentire. Ma finalmente Zeus, pensa e ripensa:
“Se non erro, dice, ce l’ho l’espediente perché gli uomini, pur continuando a esistere ma divenuti più deboli, smettano questa tracotanza. Ora li taglierò in due e così saranno più deboli, e nello stesso tempo più utili a noi per via che saranno aumentati di numero. E cammineranno ritti su due gambe; ma se ancora gli salterà di fare gli arroganti, e non vorranno vivere quieti, li taglierò in due una seconda volta: così cammineranno su una gamba zoppa a balzelloni”.
Ciò detto prese a spaccare gli uomini in due. […] Quando dunque la natura umana fu tagliata in due, ogni parte, vogliosa della propria metà le si attaccava, e gettandosi le braccia attorno, avviticchiandosi l’un l’altra, nella brama di fondersi insieme morivano di fame e in generale di inazione, perché nulla volevano fare l’una staccata dall’altra. E ogni volta che una parte moriva e l’altra restava sola, questa superstite andava cercando un’altra metà […].
Ecco dunque da quanto tempo l’amore reciproco è connaturato negli uomini: esso ci restaura l’antico nostro essere perché tenta di fare di due una creatura sola e di risanare così la natura umana.
Ognuno di noi è dunque la metà (symbolon) di un umano resecato a mezzo come al modo delle sogliole: due pezzi da uno solo; e però sempre è in cerca della propria metà. E quando ad alcuno di questi avvenga di incontrare la propria metà, allora restano entrambi così impetuosamente soggiogati dall’amicizia e dall’intimo amore che soffrono di restare staccati l’uno dall’altro per così dire nemmeno per poco tempo. E se ad essi, mentre insieme giacciono, apparisse Efesto con i suoi strumenti e chiedesse: “Cos’è che volete o uomini, voi, l’uno dall’altro?”. E rimanendo quelli dubbiosi, di nuovo chiedesse:
“Forse che desiderate soprattutto essere sempre quanto più possibile una cosa sola l’uno con l’altro, affinché notte e giorno mai dobbiate lasciarvi? Se questo desiderate voglio fondervi e plasmarvi in un essere solo, affinché, di due divenuti uno, possiate vivere entrambi così uniti come un essere solo, e quando vi colga la morte, anche laggiù nell’Ade siate uno, invece di due, in un’unica morte. Orsù vedete se è questo che volete e se vi farebbe lieti ottenerlo”.
A queste parole, sappiamo bene che nessuno contraddirebbe, né mostrerebbe di desiderare altra cosa, ma semplicemente avrebbe l’impressione di aver udito proprio quello che da sempre desiderava, di congiungersi cioè e di fondersi con l’amato per formare, di due, un essere solo. E la spiegazione di questo sta qui, che tale era l’antica nostra natura, e noi eravamo tutti interi: a questa brama di interezza, al proseguirla, diamo il nome di amore».
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