Il minuto di silenzio

by gabriella

Ieri, nella mia scuola, si è tenuta l’assemblea sindacale sui temi del momento: la ripartizione del Fondo scolastico tra i progetti, i nuovi compiti del consiglio di classe, i progressi legislativi del famigerato “Liceo” del Made in Italy.

Inaspettatamente, il collega che la presiedeva ha proposto all’assemblea di far precedere la discussione da un minuto di silenzio in memoria delle ultime vittime israeliane e palestinesi.

Nessuno ha obiettato, me compresa, ma non si era mai aperta in questo modo un’assemblea sindacale. In altri tempi mi sarei alzata a spiegare perché non si fa e non è giusto che si cambi ma, invecchiando, sono diventata più sensibile alle ragioni individuali e non ho voluto fare un intervento che sarebbe suonato come la stroncatura della conduzione del giovane collega eletto, una persona troppo amabile che mi dispiaceva offendere.

Ho sempre detestato i minuti di silenzio, soprattuto da quando il Ministero dell’Istruzione li ha resi una pratica odiosa di condizionamento, prescrivendoli in ogni occasione in cui fosse necessario rafforzare l’ordine del discorso e ricordare alla scuola come si deve pensare e cosa si deve dire.

Li boicotto, perciò, fieramente, da anni, sostituendoli con minuti di parola in cui apro la discussione con gli studenti sul tema in questione, certa che far crescere la riflessione e l’informazione su quanto accade sia più facile con le parole che coi silenzi, con il ragionamento piuttosto che con la commozione e con il dia-logos invece che con l’ascolto obbediente delle superiori disposizioni.

Spesso una commozione non educata si traduce in pura educazione alla conformità, cioè in una semplice diseducazione: una misura controproducente, contraria agli obiettivi che vuole perseguire.

Ma, in un’assemblea sindacale che si apre con un minuto di silenzio accade qualcos’altro. Far iniziare un’iniziativa collettiva con un gesto individuale pubblico, trasforma un luogo di discussione e di mobilitazione in un oratorio. Non ci riuniamo per rivolgersi insieme a un’entità trascendente, per sentire insieme come un unico cuore, ma per dividerci, ragionare imperfettamente e prendere decisioni necessariamente umane.

Ci sono senz’altro sensibilità culturali e politiche diverse tra noi, ma mettere mano al rituale per innestarvi pratiche che hanno origine in storie diverse non resta senza conseguenze nei minuti successivi al primo.

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