Il nuovo accordo di libero scambio transatlantico. Le conseguenze sociali e ambientali del TTIP

by gabriella


La stipula del TTIP è imminente

protesta anti TTIP

La protesta contro l’accordo transatlantico del 19 febbraio 2015

Qui il punto della situazione di Mauro Poggi, mentre Monsanto fa causa alla California perché vuole inserire il glifosato tra le sostanze cancerogene.

Erbicida glifosato: Monsanto fa causa alla California perché le autorità vogliono inserirlo tra le sostanze cancerogene

Più del 97% degli intervistati di un sondaggio ufficiale dell’Unione Europea ha respinto l’accordo TTIP dopo che Barack Obama e 29 capi di governo dell’Unione europea l’avevano sostenuto lo scorso anno. TTIP under pressure from protesters as Brussels promises extra safeguards, titola il Guardian del 19 febbraio 2015. Tratto da Wazars.

I profitti della crescita economica vengono sempre più spesso captati da un ristrettissimo numero di personenel 2016 l’1% della popolazione mondiale possiederà più del restante 99%in grado di manipolare a proprio vantaggio i processi decisionali sempre meno trasparenti delle istituzioni internazionali.

Ciò di cui abbiamo bisogno è una società equa che prcameron-obamaomuova commercio, consumo, produzione, finanza socialmente sostenibili. Cioè esattamente il contrario dei principi che informano il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti, TTIP: accentramento, opacità, neoliberismo, oligarchismo, giustizia cooptata per tutelare i profitti delle multinazionali a discapito di nazioni e popoli, deregulation su ambiente, alimentazione, sicurezza, sfruttamento, ecc. (Commercio mondiale: il Ttip e la lotta di classe al contrario, Fatto Quotidiano, 19 agosto 2014; Trattato Usa-Ue su commercio, campagna dei gruppi d’acquisto contro il Ttip, Fatto Quotidiano, 31 gennaio 2015; Ue frena su accordo commerciale con Usa: troppi rischi, Repubblica, 12 settembre 2014; Trattato Usa-Ue, lo spauracchio del “pollo al cloro”, Linkiesta, 21 maggio 2014).

Dopo aver firmato un accordo del tutto analogo al TTIP, il North America Free Trade Agreement, entrato in vigore il 1 gennaio 1994, il Canada ha scoperto che nessuna delle promesse che potevano giustificare il suo assenso si è materializzata. Al contrario, le minacce di azione legale da parte delle multinazionali ai danni del governo canadese hanno bloccato misure legislative a tutela dei consumatori che regolamentavano o bandivano l’uso di certi agenti chimici per la biancheria, di certi farmaci e pesticidi o mettevano in discussione certi monopoli e brevetti (Corporate Sovereignty’s Chilling Effects, TechDirt, 21 novembre 2014)- Le dispute legali costerebbero ai contribuenti decine di miliardi di euro (The True Cost Of Corporate Sovereignty For The EU: €3.5bn Already Paid, €30bn Demanded – Even Before TAFTA/TTIP, TechDirt, 4 dicembre 2014), un ammontare superiore alla stima dei benefici economici generati in Europa da un tale accordo (che non include i costi sociali).

TTIP lobbistiAbbiamo dunque un precedente assolutamente negativo che, “stranamente”, non viene quasi mai citato (Did this historic trade deal help Canada? No, Globe & Mail, 6 ottobre 2012).

Da Voci dall’estero la traduzione di parte di A Brave New World Transatlantic Partnership: the social & environmental consequences of the proposed EU-US trade deal, un report di Corporate Europe Observatory (un sito indipendente che ha per scopo di illustrare l’influenza delle lobby industriali in Europa) sulle conseguenze sociali, economiche e ambientali del nuovo accordo di libero scambio in discussione tra UE e USA che dovrebbe essere concluso nel 2014. Il cuore del provvedimento è piuttosto elementare nella sua brutalità. Si tratta di accelerare la cessione di sovranità degli stati nazionali, questa volta non verso unità politiche sovranazionali (come l’UE), ma verso i grandi cartelli d’impresa. Una volta concluso l’accordo, i grandi soggetti economici potranno infatti opporre alle leggi ambientali e alle leggi sul lavoro i propri legittimi (sic) interessi, modificando decisioni prese dalle collettività nazionali sul cui territorio si trovano ad operare. Di fronte a questa prospettiva, viene da consigliare ai casalesi di avere un po’ di pazienza: basterà quotarsi in borsa ed esibire libri contabili e versamenti INPS per rovesciare legalmente liquami tossici nella terra dei fuochi.

[Aggiornamento dal blog di Mauro Poggi] «I negoziati, in corso da luglio 2013, dovrebbero concludersi entro la fine dell’anno. A gestirli, Karel de Gucht, Commissario Europeo per il Commercio, e Michael Froman, rappresentante per il commercio nell’Executive Office del Presidente statunitense. Il presidente USA nonché premio Nobel, Barack Obama, è un acceso sostenitore del trattato. In Europa le maggiori riserve vengono dalla Francia, al solito gelosa delle proprie prerogative nazionali, ma sembrano piuttosto tiepide. Martin Schulz, candidato della sinistra nominale alla presidenza della Commissione UE, pare favorevole. In Italia, Giorgio Napolitano, durante una visita al dear friend nel gennaio del 2013 aveva dichiarato la necessità e l’urgenza di avviare i negoziati; Letta, quando ancora “stava sereno” e pensava di rappresentare l’Italia nel semestre di presidenza europea aveva affermato a più riprese di voler arrivare alla firma del trattato entro la fine della presidenza italiana. L’approfondimento de Il Granello di sabbia.

 

A Brave New World: il commercio transatlantico & l’utopia delle multinazionali

 

“Il gruppo più impaziente è il settore imprenditoriale. Siamo franchi su questo.
Lo sapete, ovvio che intendo che la cosa è guidata politicamente, è guidata strategicamente.
La questione di fondo è che il business vuole che questo avvenga, il business da entrambi i lati dell’Atlantico”

Andras Simonyi, della Johns Hopkins University 2

Brave_new_transatlantic_partnershipIl 13 febbraio 2013 il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, e i leader dell’Unione Europea si sono impegnati ad avviare negoziati per un accordo transatlantico per il commercio e l’investimento (TTIP), noto anche come TAFTA (Accordo transatlantico per il libero commercio). Un primo round di negoziati si è tenuto a porte chiuse nel luglio 2013 ed entrambe le parti mirano a concludere le trattative entro la fine del 2014. Come con altri accordi commerciali, il TTIP viene venduto per i presunti benefici che dovrebbe portare alla gente, ad esempio prezzi più bassi grazie ad una maggiore competizione tra le aziende dei due lati dell’Atlantico e la creazione di nuovi posti di lavoro. In realtà, però, il patto transatlantico pone numerose e gravi minacce per la gente, l’ambiente e l’economia; esso mira a concentrare ancora più potere economico e politico nelle mani di una ristretta élite atlantica.

 

Qualcosa di più che rimuovere i dazi

Si va ben oltre il classico approccio che consiste nella sola rimozione dei dazi e nell’apertura dei mercati agli investitori esteri; i negoziati commerciali si stanno concentrando sulla rimozione delle regolamentazioni sociali e ambientali che proteggono i consumatori, i lavoratori e l’ambiente, e che attualmente sono d’intralcio ai profitti delle grandi imprese (vedi la tabella sotto).

Come spiega la Commissione Europea:

 «la più grossa barriera al commercio non è il dazio pagato alle frontiere, ma sono le cosiddette ‘barriere non tariffarie’, quali, per fare un esempio, i differenti standard di sicurezza o sull’ambiente per le automobili. […] L’obiettivo di questo patto commerciale è quello di ridurre i costi inutili ed i ritardi per le compagnie…». 3

A tale scopo, l’UE e gli USA mirano ad “armonizzare” e “riconoscere reciprocamente” i loro rispettivi approcci normativi al fine di creare la più grande zona di libero commercio del mondo. In pratica, però, “l’armonizzazione normativa” e il “reciproco riconoscimento” degli standard dev’essere inteso come un eufemismo, che in realtà significa una grave indietreggiamento delle norme sociali e ambientali in favore dell’interesse delle grandi imprese di poter muovere liberamente capitali, merci e lavoro in giro per il globo. Per esempio, le aziende statunitensi vorrebbero vedere l’Europa abbassare i suoi standard sul lavoro (si veda il capitolo 1) e farla finita col suo “principio di precauzione” – il cardine delle politiche di tutela dei consumatori e dell’ambiente su cui è basato il Regolamento REACH sulle sostanze chimiche e le sue severe norme sulla sicurezza alimentare e sulle etichette degli alimenti (si vedano i capitoli 2 e 3).

Le aziende europee, invece, puntano contro le più severe norme degli USA sui medicinali, i dispositivi medici e i test (si veda il capitolo 5), così come contro il loro più stretto regime di regolamentazione finanziaria (si veda il capitolo 6). Attraverso il TTIP, la UE e gli USA sperano anche di concedere alle aziende nuovo potere politico con cui contrapporsi ad una vasta gamma di regolamentazioni, sia interne sia estere, e questo porterà inevitabilmente ad una erosione delle politiche di protezione dell’interesse pubblico (si veda il capitolo 7). I negoziati potrebbero anche minacciare le libertà di Internet attraverso l’accordo sui nuovi Diritti sulla Proprietà Intellettuale, che sono simili a quelli proposti dall’ACTA – l’accordo commerciale anti-contraffazione che era stato respinto con successo dal Parlamento Europeo a seguito di una massiccia opposizione pubblica (si veda il capitolo 4) – questo avrebbe importanti conseguenze anche per agricoltori, consumatori e pazienti. Al tempo stesso, il patto UE-USA deve essere visto come parte di una più ampia strategia dell’UE e degli USA per preservare il ruolo della leadership atlantica negli affari globali, in un tempo in cui la loro egemonia economica è minacciata dall’ascesa di molte economie emergenti – come Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa (si veda il capitolo 8 di questo report).

 

Un programma transatlantico per le grandi aziende

Per più di due decenni, le grandi aziende europee e statunitensi hanno fatto pressioni per una zona di libero scambio transatlantico attraverso organizzazioni come il Trans-Atlantic Business Dialogue (TABD), ora ridenominato Trans-Atlantic Business Council (TBC).5 In vista dei negoziati per il TTIP, molte associazioni industriali hanno adottato prese di posizione comuni che indicano una più stretta collaborazione transatlantica. Questa è una strategia esplicita per parlare ai negoziatori dell’UE e degli USA con una sola voce ed un insieme ben definito  di interessi comuni 6. In una nota interna che è trapelata, la Commissione Europea ha già dichiarato che intende agire nell’interesse dell’industria, concentrandosi particolarmente sui

“settori che hanno espresso prese di posizione comuni (automobilistico, chimico, farmaceutico, della salute ed informatico)”– perché “possiamo contare sulla pressione congiunta dell’industria” 7.

Finora, la Commissione ha tenuto più di 100 riunioni riservate con i rappresentati delle lobby industriali, a porte chiuse, lasciando la società civile largamente all’oscuro dei fatti 8.

Opporsi all’utopia delle multinazionali

Da entrambi i lati dell’Atlantico,huxley le associazioni dei consumatori, gli ambientalisti, gli attivisti della rete, i sindacati e gli agricoltori si stanno già preparando per opporsi a questo programma delle multinazionali. Non solo essi hanno sollevato preoccupazioni riguardo gli accordi commerciali tra UE ed USA, ma hanno anche sottolineato la necessità di un serio dibattito pubblico su come riformare il commercio internazionale e le sue regole più in generale – a cui speriamo che il presente report possa dare un contributo (si veda il capitolo 8).
Ispirandoci al titolo del romanzo distopico di Aldus Huxley,  The Brave New World, questo report ambisce ad impostare una prima vasta analisi dei rischi ambientali e socioeconomici a cui potremmo trovarci di fronte se i negoziati commerciali attualmente in corso dovessero riuscire a realizzare quell’“utopia delle multinazionali” che è il cuore del TTIP. Speriamo che le evidenze fornite qui possano incitare gli attivisti, così come i cittadini e i loro rappresentanti politici, a mobilitarsi contro il TTIP, con l’obiettivo di fermare un progetto dell’élite che con ogni probabilità peggiorerebbe le condizioni di vita di milioni di persone già gravemente colpite dalla crisi finanziaria e dalle paralizzanti conseguenze dell’austerità europea.

Capitolo 1

Divisi, indifesi e col divieto di sciopero

La riforma dei diritti del lavoro e delle politiche sociali nell’interesse delle aziende multinazionali

Si è versato parecchio inchiostro sui media mainstream per elogiare il ruolo che un accordo di libero scambio tra UE ed USA potrebbe avere nel portare le due economie fuori dalla crisi in cui sono tuttora intrappolate. Nel suo Discorso alla Nazione del 13 febbraio 2013, il presidente Barack Obama ha annunciato che
“avvieremo trattative per un vasto accordo transatlantico per il commercio e l’investimento (Transatlantic Trade and Investment Partnership; TTIP) con l’Unione Europea – perché il commercio libero ed equo tra i due lati dell’Atlantico favorisce milioni di posti di lavoro ben remunerati in America”,

 

– un’affermazione a cui ha fatto eco il commissario UE per il commercio, Karel De Gucht:
“[…] per l’Europa, l’effetto sul reddito dell’accordo che stiamo cercando di raggiungere  dovrebbe essere tra lo 0,5% e l’1% del PIL, il che significa centinaia di migliaia di posti di lavoro […]. Questo accordo porta ai nostri produttori nuovi clienti, minori costi dei componenti  e una maggiore competizione per rendere tutte le nostre imprese più efficienti” .

Tuttavia, se si guardano le cifre più da vicino, queste suggeriscono che le stime di ricchezza e creazione di posti di lavoro sono state con ogni probabilità grossolanamente esagerate. Di conseguenza le promesse che il TTIP crei posti di lavoro e porti al miglioramento del welfare molto probabilmente non si realizzeranno mai, mentre nel processo di smantellamento delle “barriere” al commercio transatlantico, i diritti del lavoro e le garanzie sociali potrebbero invece finire seriamente erosi.

Le pretese esagerate sulla creazione di lavoro e ricchezza

Sulla base dei risultati prodotti dai think tank finanziati dalle multinazionali, la Commissione Europea ha affermato che il TTIP potrebbe creare due milioni di posti di lavoro ed incentivare il commercio tra UE ed USA per oltre 120 miliardi di dollari nel corso di cinque anni 10. Con il finanziamento di alcune delle più grandi società finanziarie globali, che hanno tutto da guadagnare dal TTIP – incluse Deutsche Bank, BNP Paribas, Citigroup, Santander, Barclays, JP Morgan – il Centro per la Ricerca sulle Politiche Economiche, con sede a Londra, ha affermato che un patto transatlantico per il commercio porterebbe guadagni all’economia dell’UE per 119 miliardi di euro l’anno, il che si tradurrebbe in una media di 545 euro all’anno di reddito in più a disposizione per ogni famiglia di quattro persone.11
Tuttavia, il prof. Clive George, un economista senior dell’Università di Manchester che fino a poco tempo fa conduceva parecchie delle valutazioni d’impatto dei negoziati commerciali per conto della Commissione Europea, ha avvertito che tali affermazioni devono essere prese con cautela, perché
“i modelli economici su cui tali stime si basano … sono stati descritti da alcuni dei loro stessi principali ideatori come ‘altamente speculativi’”.12
Il prof. George fa notare che molte delle affermazioni entusiastiche sui benefici economici del TTIP si basano su un aumento atteso della crescita economica dello 0,5%, che persino la stessa Commissione Europea definisce “ottimistico”. Lo scenario più probabile stima invece una aumento del PIL di poco più dello 0,1% (cioè un aumento della crescita economica di poco più dello 0,01% ogni anno per dieci anni), il che, come dice il prof. George,
“è insignificante, e [la Commissione Europea] lo sa.”13
Con simili toni l’Unità di Valutazione d’Impatto facente capo al Parlamento Europeo ha criticato la metodologia dello studio della Commissione per la sua mancanza di “un’informazione  sufficientemente di qualità”, che sarebbe necessaria al lettore per capire come i risultati sono stati ottenuti, per
“la mancanza di un’adeguata valutazione dei rischi e degli svantaggi” e per “non aver controllato la credibilità dei modelli, che si basano su un gran numero di ipotesi idilliache”.14
Come aveva detto il giornalista Jens Berger,
“i ‘crimini’ commessi sotto l’etichetta della ‘econometria’ hanno tanto a che vedere con la scienza quanto una previsione meteorologica ha a che vedere con le frattaglie di pollo al cloro. Modelli matematici sempre più complicati sostituiscono la semplice logica e rimpiazzano i risultati scientifici, ma non sono né logici né scientifici. Con l’istituto ‘giusto’ a disposizione, i risultati desiderati possono sempre essere prodotti attraverso questi modelli.”15
Piuttosto, argomenta il prof. George, se uno vuole prevedere i possibili impatti dei nuovi accordi per il commercio, farebbe meglio a guardare all’esperienza avuta con i passati accordi 16. E tuttavia, se dovessimo prendere il Trattato per il libero commercio del Nord America (NAFTA) come indicazione di ciò che porterà il TTIP , non possiamo aspettarci né ricchezza né creazione di lavoro (vedi paragrafo sottostante).

Il NAFTA (Trattato per il Libero Commercio del Nord America) costò quasi un milione di posti di lavoro negli Stati Uniti

Quando il NAFTA entrò in vigore nel 1993, il presidente USA Clinton promise la creazione di milioni di nuovi posti di lavoro come conseguenza dell’aumentato commercio con Canada e Messico. La Camera di Commercio USA vanta che il NAFTA ha infatti aumentato il flusso commerciale all’interno della regione di tre volte e mezza (per un valore di 1200 miliardi di dollari) ma riconosce che in effetti la promessa di creazione di posti di lavoro non si è affatto materializzata 17. Secondo un’analisi dell’Istituto per le Politiche Economiche, il numero di posti di lavoro creati dall’aumento delle esportazioni in relazione al numero di posti di lavoro persi per l’aumento delle importazioni dovuto al NAFTA risulta in una perdita netta di quasi un milione di posti di lavoro (879.280 per la precisione) – e non nella creazione di 20 milioni di posti di lavoro come originariamente promesso 18.
E tutto ciò senza parlare della pressione al ribasso sui salari dei lavoratori USA che il NAFTA ha generato, la quale ha contribuito alla loro stagnazione relativa che dura dalla metà degli anni ’70. Secondo il Centro per la Ricerca sulla Globalizzazione, il NAFTA ha permesso alle imprese USA di spostare i loro fondi d’investimento più facilmente attraverso la frontiera messicana, così da installare nuovi impianti di produzione in Messico (convenienti per via dei più bassi livelli salariali del Messico e di standard lavorativi ed ambientali più bassi), e di chiudere i relativi impianti di produzione negli USA 19. Tutto ciò ha creato enormi profitti per l’élite economica, ma ha portato ad un deterioramento delle condizioni dei lavoratori da entrambi i lati della frontiera. Di conseguenza i lavoratori USA sono stati costretti a scegliere tra riduzione del salario o licenziamento, mentre i lavoratori messicani hanno perso i loro mestieri tradizionali e sono stati costretti a lavorare in condizioni di quasi schiavitù negli impianti costruiti dalle aziende statunitensi in Messico 20. Secondo Jeff Faux, presidente dell’Istituto per le Politiche Economiche a Washington,
“l’esperienza del NAFTA suggerisce che qualsiasi ampio accordo di libero scambio … che non dia tanta priorità allo sviluppo sociale e delle condizioni dei lavoratori quanta ne dà alla protezione degli investitori e della finanza, non è sostenibile.”21

I disoccupati lasciati privi di tutele

A dispetto delle sue ottimistiche metodologie di creazione di modelli, la Valutazione d’impatto fatta dalla Commissione Europea per il TTIP riconosce che, come risultato dell’aumento del commercio con gli USA,
“ci si aspetta un iniziale shock nei settori coinvolti, che porterà ad una ristrutturazione degli stessi settori interessati …”. Per esempio, settori come “la produzione di carne, fertilizzanti, bioetanolo e zucchero” sentiranno il fiato sul collo del “vantaggio competitivo dell’industria USA rispetto alla sua controparte Europea, e ci saranno dei conseguenti impatti negativi sull’industria della UE” 22.
Secondo lo studio, anche la produzione di macchinari elettrici, mezzi di trasporto ed il settore metallurgico vedrebbero un declino, così come
“altri settori fondamentali”, inclusi “la produzione di legname e carta, i servizi alle imprese, e i settori della comunicazione e dei servizi alla persona”.23
La Valutazione d’impatto conclude che
“ci potrebbero essere consistenti e prolungati costi d’aggiustamento. È chiaro che anche se il fattore lavoro viene lasciato fluire verso i settori in crescita, ci saranno settori che perderanno posti di lavoro ed il reimpiego dei lavoratori nei settori in espansione non è automatico, in particolare a causa di possibili discordanze in termini di capacità dei lavoratori stessi e della necessità di riconversione professionale.”24
Per mitigare tali impatti, specifiche misure preventive dovrebbero diventare parte integrale del TTIP. Tuttavia, né nella valutazione d’impatto, né nel suo mandato di negoziazione la Commissione Europea si preoccupa della necessità di introdurre tali misure preventive come parte del negoziato. Al contrario, la Commissione presuppone che i singoli governi abbiano essi stessi risorse sufficienti per mitigare i danni causati dall’accordo 25. C’è il rischio che intere regioni dell’UE finiscano per portare tutto il peso dei costi d’aggiustamento di questo progetto transatlantico, ed il risultato di tutto ciò potrebbe essere solo un allargamento del divario tra i membri ricchi e  poveri d’Europa – cioè, tra il centro economico e politico d’Europa e la sua periferia 26. L’adesione all’Unione Europea (e l’adozione dell’Euro) ha già portato ad una parziale deindustrializzazione dei paesi mediterranei 27. Poiché gli interessi dell’esportazione USA si rivolgerebbero, attraverso il TTIP, principalmente verso quei settori dove i paesi periferici dell’Europa hanno degli interessi da difendere – come l’agricoltura – l’apertura dell’UE a forze di mercato transatlantiche può probabilmente esacerbare la differenza tra membri ricchi e poveri dell’UE in un periodo in cui le politiche macroeconomiche dovrebbero invece concentrarsi a difendere i cittadini europei anziché esporli alla competizione estera.

Una corsa verso il basso: standard di lavoro – più obblighi e meno diritti per i lavoratori

Gli stessi diritti del lavoro potrebbero essere minati dall’armonizzazione di leggi e regolamentazioni tra le due superpotenze transatlantiche. Gli USA hanno categoricamente rifiutato di ratificare alcuni fondamentali standard e convenzioni sul lavoro dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), tra cui le convenzioni sulla libertà di associazione e la libertà sindacale. Nel frattempo, il recente attacco della Commissione Europea ai salari dei lavoratori nel contesto dell’euro-crisi ha iniziato a spostare l’UE verso un approccio agli standard di lavoro “più aperto e flessibile”.28 Alla luce di queste tendenze, il TTIP potrebbe servire allo scopo di riformare sempre di più la legislazione del lavoro Europea mettendola in linea con gli standard USA, compresa la sua famigerata legislazione anti-sindacale che, ingannevolmente chiamata “diritto al lavoro”, ha sistematicamente ristretto la libertà di associazione dei dipendenti – con conseguenze deleterie sui diritti dei lavoratori 29. Secondo la Federazione del Lavoro e il Congresso delle Organizzazioni Industriali (AFL-CIO), quella legislazione ha generato una corsa verso il basso in termini di salari e di standard di salute e sicurezza, in quanto gli Stati competono gli uni contro gli altri per paura delle fughe di capitali 30. Quando la Commissione Europea sostiene che l’UE deve rivedere la sua legislazione sul lavoro al fine di
“ridurre i rischi di una diminuzione degli investimenti USA in Europa e di una loro conseguente deviazione verso altre parti del mondo”,
c’è motivo di temere che gli Stati membri dell’UE finiranno presto per trovarsi gli uni contro gli altri in una simile competizione 31. Dopotutto, le legislazioni Europee sul lavoro sono nella lista delle “barriere non-tariffarie” che vengono attualmente identificate come un intralcio per il flusso commerciale transatlantico 32.
Perciò, non solo verranno persi posti di lavoro perché interi settori dovranno ristrutturarsi in conseguenza dell’abbassamento dei dazi tra UE ed USA, ma anche – riformando gli standard del lavoro – il TTIP potrebbe rimettere in discussione i diritti dei lavoratori europei di auto-organizzarsi di fronte alla crescente disoccupazione in un’Europa colpita dall’austerità.
[Il report prosegue con una serie di ulteriori capitoli. Chi è interessato trova l’originale in inglese a questo link, ndt.]

Note

2. Transcript from a high level meeting organised by The Brookings Institution on ‘A European Union-United States Free Trade Agreement’, in Washington, D.C. Wednesday, February 27, 2013.
3. European Commission. European Union and United States to launch negotiations for a Transatlantic Trade and Investment
Partnership. Press Release. 13 February 2013. http://europa.eu/rapid/press-release_MEMO-13-95_en.htm.
4. FTI Consulting. EU-US free trade agreement: is it in the air?Briefing. 16 July 2012. http://www.fticonsulting.com/global2/criticalthinking/articles/eu-us-free-trade-agreement.aspx
5. See, for example, http://archive.corporateeurope.org/tabd/
6. See the join position papers submitted as part of the European Commission’s public consultation: http://trade.ec.europa.eu/consultations/documents/consul_146.pdf
7. European Commission. Note For The Attention Of The Trade Policy Committee. Brussels, April 2013 TRADE/E.1/ D (2013).
8. Corporate Europe Observatory. European Commission preparing for EU-US trade talks: 119 meetings with industry lobbyists.
4 September 2013, http://corporateeurope.org/trade/2013/09/european-commission-preparing-eu-us-trade-talks-119-meetingsindustry-lobbyists.
9. De Gucht, K. A European Perspective on Transatlantic Free Trade. SPEECH/13/178, delivered at the European Conference at Harvard Kennedy School. 2 March 2013. http://europa.eu/rapid/pressrelease_SPEECH-13-178_en.htm#PR_metaPressRelease_bottom
10. European Commission. Independent study outlines benefits of EUUS trade agreement. Memo/13/211. 12 March 2013. http://europa.eu/rapid/press-release_MEMO-13-211_en.htm
11. Centre for Economic Policy Research (2013). Reducing Transatlantic Barriers to Trade and Investment – An Economic Assessment. Final Project Report. London. http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2013/march/tradoc_150737.pdf
12. George, C. and Kirkpatrick, C. (2006) Methodological issues in the impact assessment of trade policy: experience from the European Commission’s Sustainability Impact Assessment (SIA) programme. Impact Assessment and Project Appraisal. 24 (4). pp. 325-334.
13. George, C. What’s really driving the EU-US trade deal? 8th July 2013. http://www.opendemocracy.net/ourkingdom/clive-george/whats-really-driving-eu-us-trade-deal
14. European Parliament Impact Assessment Unit (2013). Initial appraisal of a European commission Impact Assessment. European Commission proposal to authorise the opening of negotiations on a Transatlantic Trade and Investment Partnership between the European Union and United States of America. http://www.europarl.europa.eu/delegations/en/studiesdownload.html?languageDocument=EN&file=92710
15. Berger, J. Freihandelsstudie – Scharlatanerie im pseudowissenschaftlichen Gewand, 18 June 2013 (Translated from German). http://www.nachdenkseiten.de/?p=17671
16. George, C. and Kirkpatrick, C. (2006). Op Cit.
17. The US Chamber of Commerce (2013). NAFTA Triumphant – Assessing Two Decades of Gains in Trade, Growth and Jobs. p. 9. http://www.uschamber.com/sites/default/files/reports/1112_INTL_NAFTA_20Years.pdf
18. Economic Policy Institute (EPI) (2003). NAFTA – Related Job Losses Have Piled Up Since 1993. http://www.epi.org/economic_snapshots/entry/webfeatures_snapshots_archive_12102003/
19. Centre for Research on Globalization (2010) The North American Free Trade Agreement (NAFTA) Resulted in Increasing Unemployment in the US. Montreal. Canada. http://www.globalresearch.ca/the-north-american-free-trade-agreement-naftaresulted-in-increasing-unemployment-in-the-u-s/20444
20. Ibid.
21. Faux J. (2011) NAFTA at Seven: Its Impact on Workers in All Three Nations. Washington D.C. http://www.policyalternatives.ca/sites/default/files/uploads/publications/National_Office_Pubs/nafta_at_7.pdf
22. European Commission (2013) Impact Assessment Report on the future of EU-US trade relations. pp 37-38. http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2013/march/tradoc_150759.pdf
23. Ibid.
24. Ibid. p. 53.
25. Ibid. p. 47.
26. EuroMemo Group (2013). The deepening crisis in the European Union: The need for a fundamental change. http://www2.euromemorandum.eu/uploads/euromemorandum_2013.pdf
27. Ibid.
28. For an overview of the attacks on social rights in the context of the European review of economic and fiscal policy, see for example: http://euobserver.com/news/32462 and http://euobserver.com/opinion/120319.
29. Greenhouse, S. ‘States seek laws to curb power of unions’. The New York Times. 3 January, 2011.
30. See AFL-CIO’s page: http://www.aflcio.org/Legislation-and-Politics/State-Legislative-Battles/Ongoing-State-Legislative-Attacks/Right-to-Work-for-Less; and Deakin, S. and Reed, H. (2000). ‘The contested meaning of labour market flexibility’. Social Law and Policy. Oxford.
31. European Commission (2013). Impact Assessment of TTIP. p. 52. http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2013/march/tradoc_150759.pdf
32. Ecorys (2012). ANNEXES – Non-tariff measures in EU-US trade and investment – An economic analysis. Final Report. The Netherlands. p. 45. http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2009/december/tradoc_145614.pdf
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