Originariamente pubblicato da Le Monde e tradotto da Repubblica il 4 dicembre 2015.
I cambiamenti climatici globali sono una delle forze che condizioneranno maggiormente la vita di tutti gli esseri umani che vivranno nei prossimi decenni. Quasi tutti ne hanno sentito parlare, ma è una materia così complicata e ricca di paradossi che poche persone, al di fuori degli addetti ai lavori, la capiscono davvero. Cercherò di spiegarla nel modo più chiaro possibile, con l’aiuto di un diagramma di flusso della catena di causa/effetto, che può essere usato per seguire la mia spiegazione.
Il punto di partenza è la popolazione mondiale di esseri umani e l’impatto medio di ciascun essere umano (cioè la quantità media di risorse consumate e scarti prodotti per persona e per anno). Tutte queste quantità stanno aumentando, anno dopo anno, e di conseguenza sta aumentando l’impatto umano complessivo sul pianeta: l’impatto pro capite, moltiplicato per il numero di persone che ci sono al mondo, dà come risultato l’impatto complessivo.
Uno scarto importante è il biossido di carbonio o anidride carbonica (abbreviato in CO2), che provoca i cambiamenti climatici quando viene rilasciato nell’atmosfera, principalmente a causa del nostro consumo di combustibili fossili. Il secondo gas più importante all’origine dei cambiamenti climatici è il metano, che esiste in quantità molto più ridotte e al momento rappresenta un problema meno grave della CO2, ma che potrebbe diventare importante per effetto di un anello di retroazione positiva: il riscaldamento globale scioglie il permafrost, che rilascia metano, che provoca ancora più riscaldamento, che rilascia ancora più metano e così via.
L’effetto primario della CO2, quello di cui più si discute, è la sua azione di gas a effetto serra. Significa che la CO2 assorbe una parte delle radiazioni a infrarossi della Terra, facendo crescere la temperatura dell’atmosfera. Ma ci sono altri due effetti primari del rilascio di CO2 nell’atmosfera. Uno è che la CO2 che produciamo viene immagazzinata anche dagli oceani, non solo dall’atmosfera. L’acido carbonico che ne risulta fa aumentare l’acidità degli oceani, che già adesso è al livello più alto negli ultimi 15 milioni di anni. Questo processo scioglie lo scheletro dei coralli uccidendo le barriere coralline, che sono un vivaio di riproduzione per i pesci dell’oceano e proteggono le coste delle regioni tropicali e subtropicali da onde e tsunami. Attualmente, le barriere coralline del mondo si stanno riducendo dell’1-2 per cento ogni anno, il che significa che alla fine di questo secolo saranno in gran parte scomparse. L’altro effetto primario del rilascio di CO2 è che influenza direttamente (in modo positivo o negativo) la crescita delle piante.
L’effetto del rilascio di CO2 di cui più si discute, in ogni caso, è quello che ho citato per primo: il riscaldamento dell’atmosfera. È quello che chiamiamo «riscaldamento globale», ma l’effetto è talmente complesso che questa definizione è inadeguata: è preferibile «cambiamenti climatici globali». Innanzitutto, le catene di causa ed effetto fanno sì che il riscaldamento atmosferico finirà, paradossalmente, per rendere alcune aree di terre emerse (fra cui il Sudovest degli Stati Uniti) più fredde, anche se la maggior parte delle regioni (fra cui quasi tutto il resto degli Stati Uniti) diventerà più calda.
In secondo luogo, un’altra tendenza è l’incremento della variabilità del clima: tempeste e inondazioni sono in aumento, i picchi di caldo stanno diventando più caldi e i picchi di freddo più freddi; questo spinge quei politici scettici che non capiscono nulla dei cambiamenti climatici a pensare che tali fenomeni siano la prova che i cambiamenti climatici non esistono.
In terzo luogo, c’è l’aspetto dello sfasamento temporale: gli oceani immagazzinano e rilasciano CO2 molto lentamente, tanto che se stanotte tutti gli esseri umani sulla Terra morissero o smettessero di bruciare combustibili fossili, l’atmosfera continuerebbe comunque a riscaldarsi ancora per molti decenni. Infine, c’è il rischio di effetti amplificatori non lineari di vasta portata, che potrebbero provocare un riscaldamento del pianeta molto più rapido delle attuali, prudenti proiezioni. Fra questi effetti amplificatori c’è lo scioglimento del permafrost e il possibile collasso delle calotte di ghiaccio dell’Antartide e della Groenlandia.
Venendo alle conseguenze della tendenza al riscaldamento medio del pianeta, ne citerò quattro. La più evidente per molte parti del mondo è la siccità. Per esempio nella mia città, Los Angeles, questo è l’anno più secco della storia da quando si sono cominciati a raccogliere i dati meteorologici, nel primo decennio dell’Ottocento. La siccità è un problema per l’agricoltura. Le siccità causate dai cambiamenti climatici globali sono distribuite in modo disuguale nel pianeta: le aree più colpite sono il Nordamerica, il Mediterraneo e il Medio Oriente, l’Africa, le terre agricole dell’Australia meridionale e l’Himalaya.
Una seconda conseguenza della tendenza al riscaldamento medio del pianeta è il calo della produzione alimentare, per la siccità e paradossalmente per l’aumento delle temperature sulla terraferma, che può favorire più la crescita delle erbe infestanti che la crescita di prodotti destinati al consumo alimentare. Il calo della produzione alimentare è un problema perché la popolazione umana e il tenore di vita del pianeta, e di conseguenza il consumo di cibo, stanno aumentando (del 50 per cento nei prossimi decenni secondo le previsioni): ma già adesso abbiamo un problema di cibo, con miliardi di persone denutrite.
Una terza conseguenza del riscaldamento del pianeta è che gli insetti portatori di malattie tropicali si stanno spostando nelle zone temperate. Fra i problemi sanitari conseguenza di questo fenomeno al momento possiamo citare la trasmissione della febbre dengue e la diffusione di malattie portate dalle zecche negli Stati Uniti, lo sbarco della febbre tropicale Chikungunya in Europa e la diffusione della malaria e dell’encefalite virale.
L’ultima conseguenza del riscaldamento medio globale che voglio citare è l’innalzamento del livello dei mari. Stime prudenti al riguardo prevedono che il livello dei mari salirà nel corso di questo secolo di circa un metro, ma in passato i mari sono saliti anche di dieci metri: la principale incertezza in questo momento riguarda il possibile collasso e scioglimento delle calotte di ghiaccio dell’Antartide e della Groenlandia. Ma anche un aumento medio di solo un metro, amplificato da tempeste e maree, sarebbe sufficiente a compromettere la vivibilità della Florida, dei Paesi Bassi, dei bassopiani del Bangladesh e di molti altri luoghi densamente popolati. Gli amici a volte mi chiedono se i cambiamenti climatici stiano avendo qualche effetto positivo per le società umane. Sì, qualche effetto positivo c’è, per esempio la prospettiva di aprire rotte navali sgombre dai ghiacci nell’estremo Nord, per lo scioglimento dei ghiacci artici, e forse l’incremento della produzione di grano nella wheat belt del Canada meridionale e in qualche altra area. Ma la stragrande maggioranza degli effetti sono enormemente negativi per noi.
Ci sono rimedi tecnologici rapidi per questi problemi? Forse avrete sentito parlare di ipotesi di geoingegneria, per esempio iniettare particelle nell’atmosfera o estrarre CO2 dall’atmosfera per raffreddarla. Ma non esiste nessun approccio geoingegneristico già sperimentato e che funzioni con certezza; inoltre gli approcci proposti sono molto costosi e sicuramente richiederanno molto tempo e provocheranno effetti collaterali negativi imprevisti, tanto che dovremmo distruggere la Terra sperimentalmente dieci volte prima di poter sperare che la geoingegneria, all’undicesimo tentativo, produca esattamente gli effetti positivi desiderati. È per questo la maggior parte degli scienziati considera gli esperimenti geoingegneristici qualcosa di pericolosissimo, da evitare a tutti i costi.
Significa che il futuro della civiltà umana è segnato e che i nostri figli vivranno certamente in un mondo in cui non vale la pena di vivere? No, naturalmente no. I cambiamenti climatici sono provocati principalmente dalle attività umane, perciò tutto quello che dobbiamo fare per ridurli è ridurre queste attività. Vuol dire bruciare meno combustibili fossili e ricavare una fetta maggiore della nostra energia da fonti rinnovabili come il nucleare, il vento e il sole. Se anche solo Stati Uniti e Cina raggiungessero un accordo bilaterale sulle emissioni di CO2, coprirebbe il 41 per cento delle emissioni attuali. Se l’accordo diventasse pentalaterale, con l’adesione dell’Unione Europea, dell’India e del Giappone, coprirebbe il 60 per cento delle emissioni mondiali. L’ostacolo è solo uno: la mancanza di volontà politica.
Il premio Pulitzer Jared Diamond è professore di geografia all’Università della California. Ha scritto, tra gli altri, “Da te solo a tutto il mondo”, “ Collasso” e “ Armi, acciaio e malattie” (Einaudi). Questo articolo è uscito su Le Monde (traduzione di Fabio Galimberti).
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