Traduco la recensione di Jean-Paul Galibert al libro di Bertrand Ogilvie, L’homme jetable. Essai sur l’exterminisme et la violence extrème, Paris, Éditions Amsterdam, 2012, prefazione di Étienne Balibar [L’uomo usa e getta. Saggio sullo sterminismo e la violenza estrema]. Ogilvie illustra il passaggio dalla biopolica del far vivere e lasciar morire (Foucault) ad una bioeconomia del far vivere a morte e far morire in massa (si veda il Colloquio di Belgrado dal minuto 9:00 al 10:34). L’originale francese è in coda. Qui una sintesi (in francese) del saggio.
Après le «faire mourir et laisser vivre» qui serait la formule de la souverainété, et le «faire vivre et laisser mourir» qui Foucault forge comme la formule de la biopolitique, on serait dans l’hypothèse d’un «faire vivre à mort et d’un laisser mourir en masse» qui serait celle de la bioéconomie.
Bertrand Ogilvie
Stagisti, precari. Contratti a tempo determinato. Flessibilità. Licenziamenti. Disoccupati «in fin di diritti», persone in fin di vita. Tutti questi termini dicono a quale punto, in fondo, si ha ben poco bisogno di noi. Quale sorte ci attende?
Bertrand Ogilvie ci pone una questione tanto terribile quanto inevitabile: come siamo diventati rottamabili? Come concepire, nella storia della violenza, questa nuova relazione di potere e questo nuovo statuto che, al di là dello sfruttamento del nostro lavoro, ci destina in anticipo a una sorta di liquidazione programmata?
Sotto il duro e bel titolo de l‘homme jetable (a perdere, rottamabile, da gettare, NDR) Ogilvie raccoglie una serie organica di saggi, una serie di tappe del cammino per pensare questa violenza estrema che é divenuta oggi il quotidiano spettacolare e al tempo stesso meglio dissimulato nella sua ordinarietà.Tutto comincia con un incubo di Spinoza. Il filosofo della ragione vive in questo porto olandese in cui i battelli partono e tornano senza posa dal nuovo mondo, in un traffico laborioso e incessante che si chiamerà «scoperta», commercio triangolare, tratta degli schiavi, colonizzazione e, talvolta, di già, massacro cioè sterminio (Las Casas non parlava già da subito di «Distruzione delle Indie»?). Ogilvie ci ricorda il terribile motto di queste compagnie marittime: «navigare è necessario, non vivere». Spinoza vede tutto questo. Sa tutto questo. Quale patto oscuro si annoda con gli orrori di una guerra che non é nemmeno più una guerra e con un certo sonno della ragione? Per pensarlo non abbiamo che un sintomo, nel quale Ogilvie, da buon psicanalista, propone di vedere un ritorno del rimosso: Spinoza racconta l’incubo in cui un selvaggio gli é apparso come uscito dritto dal Brasile della propria colpevolezza.
E’ troppo facile, troppo riduttivo e infine troppo illusorio opporre la violenza all’ordine o al diritto come una particolarità che si opporrebbe all’universale, perché qui c’è una violenza propria dell’universale che non può affermarsi senza imporsi alle particolarità, al prezzo di una riduzione radicale, cioè di una sparizione della loro particolarità. Hegel ha presentito e presentato la tendenza alla distruzione come una dimensione costitutiva di ogni passaggio all’universale. Il sapere potrebbe essere lui stesso silenzio sulla sofferenza di ciò che riduce? Diviene dunque pensabile che sia nella rappresentazione, nella violenza stessa della rappresentazione che si produce l’uomo «rottamabile». Il momento hegeliano della dialettica di servo e padrone é contemporaneo dell’esplosione della società civile. La rivoluzione industriale in gestazione l’incrina in partenza, opponendo una minoranza il cui capitale diviene considerevole e una moltitudine votata al denudamento, il volgo. Ogilvie basa su Lacan la propria rilettura di Hegel. La conoscenza di sé é un disconoscimento di sé che suppone nell’altro uno specchio ma non una persona, dunque una persona che non é persona. Se la società civile del capitalismo nascente riposa sul lasciar morire, la sua logica tacita é quella dello sterminio. Ciò che i nostri giornali chiamano oggi «violenza», non é spesso che una resistenza dei «particolari» a questo sterminio sordo, nascosto, troppo ordinario e quotidiano per restare visibile.
Il momento seguente é quello della Shoah. Ogilvie ricorda i dibattiti in corso, prende le necessarie precauzioni per un tema sensibile ed esemplare e propone di pensare la «soluzione finale» come un fantasma di purezza e d’autoesistenza che cercherebbe di sopprimere la propria condizione. In questa ipotesi, la scelta dell’ebreo come oggetto d’odio resta esemplare di un processo la cui logica delirante dovrebbe attaccare più l’operaio che l’omosessuale, per esempio. La pista della finitezza potrebbe esserne l’esito. L’opera si conclude con un crimine «senza destinatario», quello dormiente, latente delle mine «anti-uomo». La loro attesa indefinita potrebbe portarci a una nuova definizione della guerra, lontana dal combattimento e più vicina all’ordinario. Cinque saggi incisivi, talvolta allusivi, sempre suggestivi. Un libro da leggere per aprire gli occhi.
Nel video seguente Bertrand Ogilvie illustra il rischio permanente di un ritorno al fascismo attraverso la distruzione del lavoro e delle condizioni di lavoro che produce l’homme jetable al Colloquio internazionale De la terreur à l’extrème violence, tenutosi a Belgrado dall’8 al 10 dicembre 2011.
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Etes-vous jetables?
Stagiaires, précaires. Contrats à durée déterminée. Flexibilité. Licenciements. Chômeurs en fin de droits, personnes en fin de vie. Tous nos mots disent à quel point, au fond, on a bien peu besoin de nous. Quel est le sort qui nous attend ?
Bertrand Ogilvie nous pose cette rentrée une question aussi terrible qu’inévitable : comment sommes-nous devenus jetables ? Comment concevoir, dans l’histoire de la violence, cette nouvelle relation de pouvoir et ce nouveau statut, qui, au-delà de l’exploitation de notre travail, nous désigne d’avance pour une sorte de liquidation programmée ?
Sous le titre, superbe et tranchant, de « l’homme jetable », Ogilvie rassemble une série d’essais convergents, une série d’étapes d’un cheminement pour penser cette violence extrême qui est devenue aujourd’hui notre quotidien le plus spectaculaire et le mieux dissimulé, dans le fait même de son ordinaire.
Suite de l’article à lire sur Le littéraire.com.
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