Le politiche d’austerità ci stanno spingendo verso una recessione a doppio minimo [double-dip], ammonisce l’economista statunitense Joseph Stiglitz. Egli si è seduto a un tavolo per discutere con Martin Eiermann del nuovo pensiero economico e dell’influenza del denaro sulla politica.
The European: Quattro anni dopo l’inizio della crisi finanziaria, sei incoraggiato dai modi in cui gli economisti hanno cercato di comprenderla e dai modi in cui tali idee sono state raccolte da chi decide le politiche?
Stiglitz: Consentimi di dividere la materia in un modo leggermente diverso. Gli economisti accademici hanno svolto un grande ruolo nel provocare la crisi. I loro modelli sono stati eccessivamente semplificati, distorti e hanno tralasciato gli aspetti più importanti. Tali modelli carenti hanno poi incoraggiato chi decide le politiche a ritenere che i mercati avrebbero risolto tutti i problemi. Prima della crisi, se fossi stato un economista di vedute ristrette, sarei stato molto lieto di costatare che gli accademici avevano un grande impatto sulla politica. Ma sfortunatamente ciò è stato un male per il mondo. Dopo la crisi si sarebbe sperato che la professione accademica fosse cambiata e che le decisioni politiche fossero cambiate con essa e fossero divenute più scettiche e prudenti. Ci si sarebbe aspettati che, dopo tutte le previsioni sbagliate del passato, la politica avrebbe richiesto alle accademie un ripensamento delle loro teorie. Sono molto deluso, da ogni punto di vista.
The European: Gli economisti hanno costatato le carenze dei propri modelli ma non si sono dati da fare per scartarli o migliorarli?
Stiglitz: Nel mondo accademico quelli che credevano nel libero mercato prima della crisi, oggi continuano a farlo. Alcuni hanno operato una svolta e voglio riconoscere loro il merito di aver detto: “Abbiamo sbagliato. Abbiamo sottostimato questo o quell’aspetto dei nostri modelli.” Ma per la maggior parte la reazione è stata diversa. I sostenitori del libero mercato non hanno rivisto le proprie convinzioni.The European: Assumiamo una prospettiva più ampia. Pensi che la crisi avrà un effetto sulle future generazioni di economisti e di decisori della politica, ad esempio modificando il modo in cui sono insegnati i fondamenti dell’economia?
Stiglitz: Penso che il cambiamento stia davvero avendo luogo presso i giovani. I miei giovani studenti, in larga maggioranza, non capiscono che si possa aver creduto ai vecchi modelli. Questo è un bene. Ma d’altro canto, molti di loro dicono che se vuoi essere un economista devi comunque avere a che fare anche con tutti i vecchi tizi che ci credono. E così scelgono di non addentrarsi in questi settori dell’economia. Ma quella che mi ha più deluso è stata la politica statunitense.
Ben Bernanke tiene un discorso e dice qualcosa del genere “non c’è stato nulla di sbagliato nella teoria economica, i problemi sono nati in alcuni dettagli dell’attuazione”. In realtà c’è stato un mucchio di cose sbagliate nella teoria economica e nel quadro politico di fondo che è stato derivato dalla teoria. Se uno pensa che non ci sia stato nulla di sbagliato, non chiederà nuovi modelli. Questa è una grande delusione [notare il candore antropologico di Stiglitz, NDR].
The European: Sembrano esserci state un bel po’ di divergenze tra i consiglieri economici di Obama a proposito del giusto corso d’azione. E in Europa principi economici fondamentali, quali l’assoluta concentrazione sulla crescita del PIL, alla fine sono finiti sotto attacco.
Stiglitz: Alcuni attori della politica statunitense hanno riconosciuto il pericolo del “troppo grande per fallire”, ma sono una minoranza. In Europa le cose vanno leggermente meglio dal punto di visto retorico. Economisti influenti, come Derek Turner e Mervyn King, hanno riconosciuto che qualcosa è sbagliato. La Commissione Vickers ha riesaminato attentamente l’economia politica. Non abbiamo nulla di simile negli Stati Uniti. In Germania e in Francia sono sul tavolo la tassa sulle transazioni finanziarie e i limiti ai compensi dei dirigenti. Sarkozy afferma che il capitalismo non ha funzionato, la Merkel afferma che siamo stati salvati dal modello sociale europeo e entrambi sono politici conservatori! I banchieri continuano a non capirlo, il che spiega perché vediamo tuttora il capo della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, sostenere che dobbiamo rinunciare al nostro sistema di assistenza sociale nel momento stesso in cui la Merkel afferma l’esatto contrario: che il modello sociale è quello che ci ha tenuto in piedi quando le banche hanno mancato di adempiere ai propri compiti statutari e hanno usato la politica per cambiare la natura delle nostre società.
The European: Che impatto ha avuto la crisi sulle tue convinzioni?
Stiglitz: Non penso che ci siano stati cambiamenti fondamentali nel mio pensiero. La crisi ha rafforzato certe cose che ho detto in precedenza e mi ha dimostrato quanto esse erano importanti. Nel 2003 ho scritto a proposito del rischio di interdipendenza, in cui il crollo di una banca può portare al collasso di altre banche e accrescere la fragilità del sistema bancario. Pensavo fosse importante, ma all’epoca l’idea non è stata raccolta. In quello stesso anno abbiamo assistito a conflitti d’interesse nella finanza. Ora riconosciamo quanto siano importanti tali temi. Ho sostenuto che il problema vero dell’economia monetaria sta nel credito, non nella disponibilità di liquidità. Ora tutti riconoscono che il collasso del sistema del credito ha messo a terra le banche. Dunque la crisi ha concretamente confermato e rafforzato diversi filoni della teoria che io avevo esplorato in precedenza. Un argomento che ora considero molto più importante di quanto lo ritenessi prima è la questione dell’aggiustamento e del ruolo di sistemi di rapporti di cambio, come l’Euro, nel prevenire gli aggiustamenti economici. Un tema correlato è il collegamento tra gli aggiustamenti strutturali e l’attività macroeconomica. Gli eventi della crisi mi hanno davvero indotto a riflettere più a fondo al riguardo.
The European: La tassa sulle transazioni finanziarie sembra essere morte di una morte politica in Europa. Ora la politica economica in Europa sembra dominata in larga misura dalla logica dell’austerità e dal costringere i paesi europei a diventare più simili alla Germania.
Stiglitz: L’austerità, in sé stessa, sarà quasi certamente disastrosa. Porterà a una recessione a doppio minimo che potrebbe essere molto grave. Probabilmente peggiorerà la crisi europea. Le conseguenze a breve termine saranno molto brutte per l’Europa. Ma il problema più vasto riguarda il “modello tedesco”. Ci sono diversi aspetti di esso – tra i quali il modello sociale – che consentono alla Germania di superare una caduta molto forte del PIL offrendo alti livelli di protezione sociale. Il modello tedesco di addestramento al lavoro è anch’esso molto riuscito. Ma ci sono altre caratteristiche che non sono così buone. La Germania è un’economia esportatrice, ma ciò non può valere per tutti i paesi. Se alcuni paesi hanno dei surplus di esportazioni, costringono altri paesi ad avere dei deficit di esportazioni. La Germania ha intrapreso una politica che altri paesi non possono imitare e ha cercato di imporla all’Europa in un modo che contribuisce ai problemi europei. Il fatto che alcuni aspetti del modello tedesco siano buoni non significa che tutti gli aspetti possano essere applicati a tutta l’Europa.
The European: E non significa che la crescita economica abbia soddisfatto il criterio dell’equità sociale.
Stiglitz: Sì, e dunque c’è un’altra cosa di cui dobbiamo tener conto. Cosa sta succedendo alla maggior parte dei cittadini di un paese? Se si guarda agli Stati Uniti bisogno ammettere che abbiamo fallito. La maggior parte degli statunitensi sta oggi peggio di come stava quindici anni fa. Un lavoratore a tempo pieno negli Stati Uniti sta peggio di come stava 44 anni fa. E’ sbalorditivo: mezzo secolo di stagnazione. Il sistema economico non mantiene le promesse. Non importa che alcune persone al vertice si avvantaggino in misura straordinaria; quando la maggioranza dei cittadini non sta meglio il sistema economico non funziona. Ci si deve anche chiedere se abbia funzionato il sistema tedesco. Non ho studiato tutti i dati, ma la mia impressione è negativa.
The European: Cosa dici a qualcuno che ragiona così: “Il cambiamento demografico alla fine dell’era industriale ha reso lo stato assistenziale finanziariamente insostenibile. Non possiamo aspettarci di ridurre il nostro debito senza ridurre fondamentalmente i costi dell’assistenza nel lungo termine” ?
Stiglitz: E’ un’assurdità. La questione della protezione sociale non ha nulla a che fare con la struttura della produzione. Ha a che fare con la coesione o la solidarietà sociali. E’ per questo che io sono anche molto critico della tesi di Draghi alla Banca Centrale Europea sul fatto che la protezione sociale deve essere demolita. Non ci sono basi a sostegno di una tesi simile. I paesi che vanno molto bene in Europa sono i paesi scandinavi. La Danimarca è diversa dalla Svezia, la Svezia è diversa dalla Norvegia, ma hanno tutte una protezione sociale forte e stanno tutte crescendo. La tesi che la risposta alla crisi attuale deve essere una riduzione della protezione sociale è davvero una tesi dell’1% per dire: “Dobbiamo agguantare una fetta più grande della torta.” Ma la maggioranza della gente non beneficia della torta economica, il sistema è un fallimento. Non voglio più parlare del PIL, voglio parlare di quel che succede alla maggior parte dei cittadini.
The European: La sinistra politica è stata capace di articolare questa critica?
Stiglitz: Paul Krugman è stato molto duro nell’articolare la critica delle tesi dell’austerità. L’attacco più forte è stato compiuto, ma non sono sicuro che sia stato ascoltato appieno. La questione critica in questo momento è come valutare i sistemi economici. Non è stata ancora articolata completamente ma penso che al riguardo vinceremo. Persino la Destra sta cominciando a dirsi d’accordo sul fatto che il PIL non è una buona misura del progresso economico. La nozione del sussidio alla maggior parte dei cittadini è praticamente una stupidaggine.
The European: A me pare che molto del dibattito verta ancora su misurazioni statistiche; se non misuriamo il PIL, misuriamo qualcos’altro, come la felicità o la differenza di reddito. Ma c’è un elemento in queste discussioni che non può essere tradotto in termini numerici, qualcosa riguardo ai valori che implicitamente accogliamo nel nostro sistema economico?
Stiglitz: Alla lunga dovremmo avere queste discussioni etiche. Ma io sto cominciando da una base molto più ristretta. Sappiamo che il reddito non riflette molte cose che ci stanno a cuore. Ma anche con un indicatore imperfetto come il reddito, dovremmo curarci di quello che succede alla maggior parte dei cittadini. E’ bello che Bill Gates se la passi bene. Ma se tutto il denaro andasse a Bill Gates, il sistema non potrebbe essere considerato efficace.
The European: Se la Sinistra politica non è stata in grado di articolare a fondo tale idea, la società civile è riuscita a colmare il vuoto?
Stiglitz: Sì, il movimento Occupy è riuscito molto bene a portare queste idee in prima linea nel dibattito politico. Ho scritto su articolo su Vanity Fair nel 2011 – “Dell’1%, ad opera dell’1% e a per l’1%” – che davvero toccato corde profonde in molte persone perché parlava delle nostre preoccupazioni. Proteste come quelle di Occupy Wall Street riescono soltanto quando raccolgono queste preoccupazioni condivise. C’è stato un articolo di giornale che ha descritto le dure tattiche della polizia ad Oakland. Sono state intervistate molte persone, compresi ufficiali di polizia, che hanno detto: “Sono d’accordo con i dimostranti”. Se si chiede del messaggio, la reazione predominante è stata di sostegno, e la questione grossa è stata che il movimento Occupy non è stato efficace abbastanza nel far circolare tale messaggio.
The European: Come passiamo dal parlare della disuguaglianza economica al cambiamento tangibile? Come hai detto in precedenza, il riconoscimento teorico dei problemi economici spesso non è stato tradotto in politica.
Stiglitz: Se la mia previsione a proposito delle conseguenze dell’austerità è corretta, allora assisteremo a un’altra tornata di movimenti di protesta. Abbiamo avuto una crisi nel 2008. Siamo ora nel quinto anno della crisi e non l’abbiamo risolta. Non c’è neppure una luce in fondo al tunnel. Quando arriveremo a tale finale, il dibattito cambierà.
The European: La situazione deve diventare davvero brutta prima di migliorare?
Stiglitz: Temo di sì.
The European: Hai recentemente scritto del “decadimento irreversibile” del Midwest statunitense. Questa crisi è un segnale che gli USA hanno iniziato un declino economico irreversibile anche se continuiamo a considerare il paese come un protagonista politico potente?
Stiglitz: Siamo di fronte a una transizione molto difficile da un’economia manifatturiera a un’economia di servizi. Non siamo riusciti a gestire tale transizione in modo dolce. Se non correggiamo tale errore, pagheremo un prezzo molto alto. Già ora il cittadino statunitense medio soffre per la transizione fallita. La mia preoccupazione è che abbiamo messo in moto un’economia negativa e una politica negativa. Molta della disuguaglianza statunitense è causata dalla ricerca della rendita: monopoli, spesa militare, approvvigionamenti, industrie estrattive, farmaci. Abbiamo alcuni settori economici che vanno molto bene, ma abbiamo anche una quantità di parassiti. La prospettiva che può dare speranza è che l’economia possa crescere se ci liberiamo dei parassiti e ci concentriamo sui settori produttivi. Ma in ogni patologia c’è sempre il rischio che i parassiti divorino la parti sane del corpo. La giuria deve ancora pronunciarsi al riguardo.
The European: Abbiamo almeno compreso la malattia quanto basta per prescrivere la terapia corretta? Specialmente a proposito delle scelte politiche e della crisi dell’Euro, sembrano esserci un mucchio di sparate a casaccio.
Stiglitz: Penso che il problema non sia la mancanza di comprensione da parte degli studiosi spassionati di scienze sociali. Conosciamo il dilemma di fondo e sappiamo qual è l’effetto dei contributi alle campagne elettorali sui legislatori. Siamo così di fronte a un circolo vizioso: poiché il denaro conta in politica, ciò porta a risultati in cui il denaro conta nella società, il che accresce il ruolo del denaro nella politica. Ci sono sempre più brogli e delusioni quanto alla politica parlamentare.
The European: La politica è diventata troppo concentrata sui risultati e non è abbastanza sensibile ai processi che portano a tali risultati? Le fondamenta della democrazia sembrano dipendere, per la partecipazione, dalle strade, non dall’efficacia di particolari politiche.
Stiglitz: Mettiamola così: alcuni criticano affermando che siamo divenuti troppo concentrati sulla disuguaglianza e non interessati abbastanza alle opportunità. Ma negli Stati Uniti siamo anche il paese con la maggiore disuguaglianza di opportunità. La maggior parte degli statunitensi capisce che processi politici truffaldini producono risultati truffaldini. Ma non sappiamo come fare irruzione in tale sistema. La nostra Corte Suprema è stata nominata da interessi finanziari e – non sorprendentemente – ha concluso che gli interessi dei finanziari possono avere un’influenza illimitata sulla politica. Nel breve termine stiamo esacerbando l’influenza del denaro, con conseguenze negative per l’economia e per la società.
The European: Dove è radicato il cambiamento? Nel parlamento? Nel mondo accademico? Nelle strade?
Stiglitz: Guarda nelle strade e anche un po’ nel mondo accademico. Quando dico che la tendenza principale della professione economica mi ha deluso, devo precisare tale dichiarazione. Ci sono stati gruppi che hanno portato avanti un nuovo pensiero economico e hanno sfidato i vecchi modelli.
The European: Hai scritto che la sfida sta nel rispondere alle idee cattive non con il rifiuto bensì con idee migliori. Dove sta la leva più lunga e più forte per introdurre il nuovo pensiero economico nel regno della politica?
Stiglitz: La diagnosi è che la politica è alla radice del problema: è lì che vengono stabilite le regole del gioco, è lì che si decide su politiche che favoriscono i ricchi e che hanno consentito al settore finanziario di ammassare un vasto potere economico e politico. Il primo passo deve essere una riforma politica: cambiare le leggi sul finanziamento delle elezioni. Rendere più facile alla gente votare; in Australia il voto è addirittura obbligatorio. Affrontare il problema della manipolazione dei collegi. Manipolare i collegi fa sì che il tuo voto non conti. Se non conta, stai lasciando agli interessi finanziari la promozione della propria agenda. Intervenire sull’ostruzionismo che è passato dall’essere un tattica parlamentare scarsamente utilizzata a diventare una caratteristica ordinaria della politica. Priva gli statunitensi del potere. Anche se disponi del voto della maggioranza, non riesci a vincere.
The European: Ci aspettano sei mesi di campagna elettorale. Il ruolo del denaro è stato abbracciato da entrambi i partiti. La riforma del finanziamento delle campagne elettorali sembra piuttosto improbabile.
Stiglitz: Persino i Repubblicani sono diventati più consapevoli del potere del denaro constatando come esso ha influenzato e distorto le primarie. I risultati non sono quelli che la dirigenza del Partito Repubblicano aveva sperato. Il disastro sta diventando chiaro, ma ciò non porterà a rimedi immediati. Chi sarà eletto dipenderà da quel denaro. Ci vorrà un terzo partito forte o una forte società civile per fare qualcosa al riguardo.
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Joseph Stiglitz ha vinto il Premio Nobel per l’economia nel 2001 per il suo lavoro sull’asimmetria informativa nei mercati finanziari. Stiglitz è stato economista capo presso la Banca Mondiale e, dal 1993 al 1997, consigliere economico del presidente Clinton. Nel 2009 è stato cofondatore dell’Institute for New Economic Thinking (INET) [Istituto per il Nuovo Pensiero Economico]. Insegna alla Columbia University.
Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: http://www.zcommunications.org/politics-is-at-the-root-of-the-problem-by-joseph-stiglitz
Originale: The European
traduzione di Giuseppe Volpe su http://znetitaly.altervista.org/art/5199
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