La comunicazione

by gabriella

Comunicazione verbale e paraverbale

I canali della comunicazione, la comunicazione verbale, non verbale, paraverbale, le discrepanze comunicative e gli assiomi di Watzlawick, Beavin e Jackson.

Indice

1. I canali della comunicazione

1.1 Il non verbale

 

2. Le discrepanze comunicative
3. Gli studi della scuola di Palo Alto

3.1 Relazione e contesto
3.2 La prospettiva sistemico-relazionale
3.2 Scambi di informazioni
3.4 I bersagli polemici della scuola di Palo Alto

 

4. Gli assiomi della comunicazione

4.1 È impossibile non comunicare
4.2 Metacomunicazione
4.3 Punteggiatura
4.4 Comunichiamo sia con il modulo numerico che con il modulo analogico
4.5 Tutti gli scambi comunicativi sono simmetrici o complementari

 

5. Il paradosso pragmatico e il double bind

 

6. La prossemica

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La rilevanza dei diversi moduli comunicativi

La rilevanza dei diversi moduli comunicativi

1. I canali della comunicazione

Per comunicare non utilizziamo soltanto le parole, cioè il modulo «numerico», verbale, ma sfruttiamo ampiamente anche quello «analogico», non verbale

Gli esseri umani possono comunicare infatti sia parlando, secondo le regole della grammatica e del­la sintassi (modulo verbale), sia con il volume, il tono, ritmo della voce (comunicazione paraverbale), sia attraverso la comunicazione non verbale, che comprende la gestualità, la mimica, le posture, la gestione degli spazi, l’inflessione, la cadenza, il ritmo della voce e anche le pause e i silenzi.

Comunicazione non verbale

I due moduli differiscono per complessità e astrazione.

Il lin­guaggio «numerico», più complesso e astratto, è molto efficace per scambiare informazioni su contenuti diversi e trasmettere conoscenza, ma assolve anche ad altre funzioni come quella di consentire la socializzazione e di definire la rela­zione che esiste tra due persone.

 

1.1 Il non verbale

Tuttavia, la comunicazione «analogica» può essere, a volte, più efficace di quella «numerica» nella relazione interpersonale, nella comunicazione con bambini piccoli o nelle situazioni in cui non è possibile parlare.

Questo tipo di comunicazione si presta particolarmente all’espressione delle emozioni, come si evidenzia nei due cortometraggi Paperman, tutto giocato sulla comunicazione non verbale e Signs, sull’efficacia della comunicazione non verbale e della comunicazione verbale scritta.


L’insieme dei segnali verbali e non verbali può:

Italian Popular Gestures: accentuazione

Italian Popular Gestures: accentuazione

“sei stato tu”

1. Accentuare ciò che viene espresso a livello verbale, come si verifica quando per rendere più chiaro ed espressivo il nostro discorso lo accompagniamo con gesti e mimiche si­gnificative;

 

Paolo e Francesca

2. Fornire indicazioni parallele che hanno poco o nulla a che vedere con ciò che stiamo di­cendo a parole, come si verifica quando, per esempio, nel parlare diamo anche segni di disagio per la posizione scomoda in cui ci troviamo: oppure quando un compagno a compagna di studi che ci sta aiutando a svolgere un problema di matematica raggiunge una vicinanza «intima» eccessiva facendoci capire il suo interesse per noi;

 

“se non capite chiedete pure”

3. Comunicare informazioni che contrastano con quanto viene espresso a livello verbale o esplicito: per esempio un insegnante può dire ai suoi alunni che, se non capiscono, possono chiedere spiegazioni e chiarimenti, ma con il tono della voce o l’atteggiamento frettoloso può scoraggiare dal porre qualsiasi domanda (conflitto verbale/non verbale); può verificarsi anche che due diversi messaggi non verbali siano incongruenti tra loro.

 

 

2. Le discrepanze comunicative

Un gesto di accordo e di saluto contraddetto dalle espressioni e dalla postura

Un gesto di accordo e di saluto contraddetto dalle espressioni e dalla postura

Quando i messaggi inviati dai due diversi «canali» comuni­cativi (verbale e non verbale, «numerico» e «analogico») sono in conflitto, la discrepanza comunicativa può dar luogo a fraintendimenti: ciò che viene comunicato a un livello (il non verbale) è negato, infatti, a un altro: quello verbale.

Ad esempio, A si avvicina a B con un gesto affettuoso, B resta freddo o si ritrae con un movimento quasi impercettibile.

A coglie il messaggio e non tenta più di avvicinarsi a B.

In seguito B si lamenterà asserendo che A non è affettuoso e così facendo non solo nega con le parole la propria comunicazione analogica, ma attribuisce ad A quella freddezza che lui per primo ha manifestato.

A è sconcertato e, se non riflette sul tipo di scambio comunicativo che si è verificato in precedenza, può alla fine far proprio il rimprovero di B e convincersi di essersi sbagliato nell’interpretare il comportamento scostante di B.

Questo e altri tipi di transazioni che avvengono quotidianamente tra le persone sono stati studiati dagli psicologi della scuola sistemico-relazionale di Palo Alto (California).

 

3. Gli studi della scuola di Palo Alto

Le regole del gioco comunicativo

Le regole del gioco comunicativo: ogni mossa si spiega nel suo contesto

3.1 La prospettiva sistemico-relazionale

Watzlawick, Beavin, Jackson, Bateson e altri studiosi dei processi comunicativi sostengono che per comprendere un’interazione o transazione è fondamentale individuare le regole del gioco sottese agli scambi comunicativi.

Per comprendere quali sono le regole del gioco implicite in una determinata transazione comunicativa è sufficiente una osservazione attenta dei messaggi che si inviano sia a livello verbale sia non verbale.

L’individuo va inoltre considerato all’interno del suo sistema di relazioni (famiglia, amici, classe, colleghi di lavoro, programmi televisivi ecc.) con cui entra in risonanza e al quale reagisce. Il contesto in cui avvengono gli scambi comunicativi è fondamentale.

Nasce così, agli inizi degli anni ’50, la prospettiva sistemico-relazionale il cui obiettivo è quello di studiare l’individuo non come una monade autosufficiente e separata dal proprio ambiente, ma nel «sistema» dei suoi rapporti con gli altri.

 

3.2 Relazione e contesto

la comunicazione è un processo interattivo

Gli psicologi di Palo Alto sostengono che la comunicazione non è un fenomeno unidirezionale di cui interessa soltanto l’effetto sul ricevente, ma un processo interattivo (o circolare) dove ha importanza anche l’effetto (feedback) che la reazione del ricevente ha sull’emittente del messaggio.

Y è funzione di X: al variare di X varia Y

Si evidenzia, in tal modo, il concetto psicologico di relazione, nozione af­fine al concetto matematico di funzione, intesa come rapporto tra variabili.

L’altra dimensione che influenza la comunicazione è il contesto, inteso come insieme di regole implicite che inquadrano, delimitano e regolano la situazione interpersonale e da cui non si può prescindere se si vogliono capire le azioni e le scelte delle singole persone o dei gruppi: :

«Un fenomeno resta inspiegabile finché il campo di osservazione non è abbastanza ampio da includere il contesto in cui il fenomeno si verifica, ossia: se l’osservatore non si rende conto del viluppo di relazioni tra un evento e la matrice in cui esso si verifica, tra un organismo e il suo ambiente, o si convince di essere posto di fronte a qualcosa di «misterioso», oppure è indotto ad attribuire al suo oggetto di studio certe proprietà che l’oggetto non può avere.

Se si studia una persona dal comportamento disturbato (psicopatologia) isolandola, allora l’indagine deve occuparsi della natura di tale condizione e – in senso esteso – della natura della mente umana; se invece si estende l’indagine fino a includere gli effetti che tale comportamento ha sugli altri, le reazioni degli altri a questo comportamento, e il contesto in cui tutto ciò accade, il centro dell’interesse si sposta dalia monade isolata artificialmente alla relazione tra le parti di un sistema più vasto.

Chi studia il comportamento umano passa allora dall’analisi deduttiva della mente all’analisi delle manifestazioni osservabili nella relazione: il veicolo di tali manifestazioni è la comunicazione» [Watzlawich, Helmick, Beavin e Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma 1971, p. 14].

Quindi, gli psicologi di Palo Alto criticano le teorie e i metodi terapeutici che cercano l’origine dei disturbi psichici nella mente del paziente, ricercandola invece nel contesto relazionale e nelle patologie della comunicazione in cui è immerso quotidianamente.

Facendo questo innovano anche potentemente ciò che sappiamo della comunicazione umana, integrando in modo significativo il modello informazionale (o matematico) della comunicazione elaborato da Shannon e Weaver, due ingegneri della Bell Corporation, la compagnia telefonica americana, che avevano formalizzato la comunicazione umana evidenziando solo gli elementi base di uno scambio di messaggi che corre su un filo (quello del telefono, appunto) e che può essere disturbato da interferenze (rumore).

Ma, come mostrano Watzlawich, Beavin, Jackson e Bateson, c’è molto di più. Non si può comprendere nulla di ciò che accade nella comunicazione se non si osservano risposta (feedback) e contesto.

 

Il modello matematico della comunicazione criticato da Palo Alto

 

3.3 Scambi di informazioni

il comportamento verbale o non verbale assume diverso significato in base al contesto

Se dunque consideriamo una persona non come una monade ma come un individuo inserito in uno o più sistemi relazionali all’interno dei quali interagisce con altri individui, il comportamento verbale e non verbale di questa persona assume significati diversi a seconda del sistema (o sottosistema) in cui in quel momento è inserita.

All’interno di ogni sistema di relazioni, avvengono «scambi di informazioni» che producono dei cambiamenti.

 

4. Gli assiomi della comunicazione

PragmaticaComunicazionePragmatica della comunicazione umana, scritto nel 1967 da Watzlawick, Beavin e Jackson, ricercatori e psichiatri della scuola di Palo Alto, è un testo ormai classico che ha finito per identificare tutto ciò che nella comunicazione interpersonale ha a che fare con la relazione tra i parlanti indipendentemente dai contenuti scambiati (cioè dal “cosa” viene detto).

Tesi fondamentali del libro sono la circolarità della comunicazione – la comunicazione è una partita a scacchi in cui ogni parlante muove e contemporaneamente risponde alle mosse dell’altro così che è impossibile reperirne l’inizio – e l’indecidibilità della consapevolezza – le persone si interrogano costantemente sull’intenzionalità o meno dei comportamenti che è però impossibile decifrare in modo oggettivo.

«Se a qualcuno viene pestato un piede, per lui è molto importante sapere se il comportamento dell’altro è stato intenzionale o involontario. Ma l’opinione che si fa in proposito si basa necessariamente sulla sua valutazione dei motivi dell’altro e quindi su una ipotesi di ciò che passa dentro la testa dell’altro», ipotesi che si dimostra essere «una nozione oggettivamente indecidibile» sia nell’attribuzione di significato ai comportamenti nella vita quotidiana, sia nello studio scientifico della mente [p. 36].

Nel definire i cinque assiomi della comunicazione [l’assioma è un principio che non ha bisogno di essere dimostrato essendo di per sé evi­dente] gli studiosi fornirono così molti esempi di litigi, incomprensioni e trappole comunicative, illuminando con ironico disincanto le dinamiche del conflitto relazionale e della reciproca accusa, cioè gli inganni nei quali cadiamo ricercando la responsabilità o l’origine di un dissidio. L’assioma cruciale, in questo caso, è quello della punteggiatura.

Unodeglie sempi più celebri è l’analisi della comunicazione patologica del dramma Chi ha paura di Virginia Woolf?

4.1 Primo assioma. E’ impossibile non comunicare

primo assioma

Ogni comportamento ha valore di messaggio

Se si considera che in una situazione di interazione è impossibile non avere un qualche comportamento e che ogni comportamento ha valore di messaggio (è comunicazione), ne segue che è impossibile non comunicare. Anche l’inattività, l’indifferenza e lo stesso silenzio, infatti, costituiscono dei messaggi che influenzano gli altri, i quali, con il loro comportamento risponderanno comunicando a loro volta qualcosa (curiosità, fastidio, indifferenza, disinteresse ecc.).

 

4.2 Secondo assioma. Metacomunicazione

Discrepanza comunicativa: "Chiedete pure, se non avete capito"

In ogni comunicazione c’è un aspetto di contenuto e uno di relazione, e adesso chiedete pure se non avete capito .. 😉

In ogni comunicazione c’è un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione, di modo che il secondo codifica il primo, cioè comunica sulla comunicazione informando su come deve essere interpretata (metacomunicazione).

Ciò significa che in ogni comunicazione c’è un aspetto di «notizia», in quanto il messaggio trasmette un’informazione che rappresenta il contenuto e, contemporaneamente, un aspetto di «comando», in quanto trasmette il modo in cui il messaggio deve essere assunto definendo, in pratica (pragmaticamente), la relazione tra i comunicanti.

Immaginiamo, per esempio, che un insegnante inviti gli alunni a chiedere chiarimenti su quanto ha appena spiegato, ma se lo dice con tono affrettato, oppure autoritario, difficilmente gli alunni accoglieranno l’invito perché avvertono che al di là delle parole non c’è una vera disponibilità: il contenuto esplicito della comunicazione («notizia») in questo caso risulta in contrasto con un sottostante «comando» la cui forza espressiva è tale da ridefinire il significato letterale delle parole. L’aspetto di relazione («comando») è comunicazione sulla comunicazione, cioè metacomunicazione.

 

4.3 Terzo assioma. Punteggiatura

La credenza che la realtà che ognuno vede sia l’unica realtà è la più pericolosa di tutte le illusioni.

Paul Watzlawick, La realtà della realtà

La natura di una relazione dipende dalla «punteggiatura» delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti.

Nelle sequenze comunicative, il succedersi degli scambi costituisce una catena di anelli in cui ogni anello (scambio) è contemporaneamen­te stimolo, risposta e rinforzo.

Punteggiare una sequenza comunicativa significa assumere un anello della catena come punto di partenza, ponendosi in una prospettiva determini­stica di causalità lineare e non in termini di causalità circolare; significa cioè affermare che il nostro comportamento comunicativo è la risposta a quello dell’altro e non anche causa del suo.

Ricercatore e cavia

«Sto ammaestrando il mio sperimentatore. Ogni volta che premo la leva mi dà da mangiare»

Nei casi di discrepanza di punteggiatura vi è, infatti, un conflitto su ciò che è causa e ciò che è effetto, mentre ogni comportamento è contemporaneamente causa ed effetto degli altri con cui è in relazione.

Dire che il proprio comportamento è causato o è causa del comportamento dell’altro può essere giusto, ma può anche essere un errore dovuto a una punteggiatura arbitraria, oppure può essere un tentativo di imporre la propria punteggiatura come in questo esempio spiritoso riportato dai ricercatori della scuola di Palo Alto:

Il topo che ha detto: «Sto ammaestrando il mio sperimentatore. Ogni volta che premo la leva mi dà da mangiare» stava cortesemente rifiutando di accettare la punteggiatura della sequenza che lo sperimentatone cercava di imporgli…».

Ciò significa che il topo non era d’accordo con la «punteggiatura» degli eventi data dallo sperimentatore, poiché, se­condo il suo punto di vista, era lui che fungeva da stimolo e non lo sperimentatore.

Relativamente alla punteggiatura è interessante il fenomeno della «profezia che si autoavvera», un fenomeno che si realizza quando un determinato comportamento costringe gli altri ad assumere, come reazione, certi atteggiamenti considerati adeguati.

la comunicazione dello studente svogliato

il non verbale della bruttina

Per esempio, una persona convinta di non piacere a nessuno si comporta in modo tale da provocare negli altri una reazione che conferma il presupposto di partenza.

Oppure, uno studente convinto di non riuscire negli studi, si comporterà in modo tale (non impegnandosi, mostrando disinteresse a scuola) da causare comportamenti di risposta a lui sfavorevoli da parte degli insegnanti.

Quindi la «punteggiatura» è una forma di interpretazione che può indurci a vedere solo una parte dello scambio comunicativo. Un disaccordo su come «punteggiare» le sequenze di eventi è spesso all’origine dei conflitti di relazione, cioè dei litigi.

«Supponiamo una coppia che abbia un problema coniugale di cui ciascun coniuge è responsabile al 50%: lui chiudendosi passivamente in se stesso e Lei brontolando e criticando. Quando spiegano le loro frustrazioni, l’uomo dichiara che chiudersi in se stesso è la sua unica difesa contro il brontolare della moglie, mentre lei etichetta questa spiegazione come una distorsione grossolana e volontaria di quanto “realmente” accade nel loro matrimonio: vale a dire che lei critica il marito a causa della sua passività.

Se li sfrondiamo di tutti gli elementi effimeri e fortuiti, i loro litigi si riducono allo scambio monotono dei messaggi “Io mi chiudo in me stesso perché tu brontoli” e “Io brontolo perché tu ti chiudi in te stesso”» [Ivi, p. 49].

In generale, un fenomeno resta inspiegabile finché il campo di osservazione non è abbastanza ampio da includere il contesto in cui il fenomeno si verifica, ossia: se l’osservatore non si rende conto del viluppo di relazioni tra un evento e la matrice in cui esso si verifica, tra un organismo e il suo ambiente, o se si convince di essere posto di fronte a qualcosa di «misterioso», oppure se è indotto ad attribuire al suo oggetto di studio certe proprietà che l’oggetto non può avere.

Se si studia una persona dal comportamento disturbato (psicopatologia) isolandola, allora l’indagine deve occuparsi della natura di tale condizione e – in senso esteso – della natura della mente umana; se invece si estende l’indagine fino a includere gli effetti che tale comportamento ha sugli altri, le reazioni degli altri a questo comportamento, e il contesto in cui tutto ciò accade, il centro dell’interesse si sposta dalla monade isolata artificialmente alla relazione tra le parti di un sistema più vasto. Chi studia il comportamento umano passa allora dall’analisi deduttiva della mente all’analisi delle manifestazioni osservabili nella relazione: il veicolo di tali manifestazioni è la comunicazione [p. 14].

 

Litigare con intelligenza

 

4.4 Quarto assioma. Comunichiamo sia con il modulo numerico che con il modulo analogico

Gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico, verbale che con quello analogico, non verbale. La disponibilità di due canali comunicativi paralleli e continuamente interagenti rende più ricca ed efficace la comunicazione, ma può anche originare trappole, «imbrogli», paradossi.

Nel saggio I giochi psicotici nella famiglia, la terapeuta familiare Mara Selvini Palazzoli riferisce un esempio di «imbroglio» o «gioco sporco» familiare in cui una madre invia dei messaggi contrastanti al proprio figlio partito per il servizio militare e ancora molto dipendente da lei.

Ecco lo schema sintetico degli eventi o transazioni:

imbroglio

Riflettendo su questo schema possiamo vedere come l’eccessiva dipendenza del ragazzo dalla madre (e la sua gelosia nei confronti della sorella) dipenda anche dal fatto che lei non lo aiuta a rendersi autonomo, ma al contrario lo ostacola: infatti, invece di mostrarsi serena quando va a trovarlo e contenta perché lui si trova bene fuori casa, si mostra triste creando nel figlio un senso di colpa per il fatto di trovarsi ì bene senza di lei; tale senso di colpa viene poi successivamente aggravato dalla «minaccia» implicita nella sua partenza subito dopo Natale.

Si è dunque creata, tra questa madre e questo figlio, una comunicazione paradossale e disfunzionale dove, attraverso i comportamenti, gli atteggiamenti e le espressioni non verbali, si veicolano sentimenti e messaggi che non vengono riconosciuti a livello esplicito, anzi vengono negati a parole. L’impossibilità di chiarire l’«imbroglio» scatena così nel giovane a una crisi di nervi.

 

4.5 Quinto assioma. Tutti gli scambi comunicativi sono simmetrici o complementari

Relazione simmetrica

Relazione simmetrica

Tutti gli scambi comunicativi (dunque tutti i rapporti interpersonali) sono simmetrici o complementari a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza.

La relazione simmetrica è caratterizzata dall’uguaglianza, in quanto a un comportamento dell’uno l’altro risponde con un comportamento simile. Per esempio A può presentarsi nella comunicazione sicuro di sé, autoritario, polemico: B risponderà con altrettanta sicurezza, autorità, polemica, ponendosi sullo stesso piano di parità con A.

woman

Relazione complementare

La relazione basata sulla differenza invece è definita complementare perché nel suo ambito c’è qualcuno che assume una posizione di superiorità, di one-up e un altro che si pone su un piano di inferiorità, dipendenza, di one-down.

Questo tipo di relazione può essere il risultato di un gioco di forze all’interno della relazione interpersonale o delle regole del contesto sociale, come i rappor­ti genitori-figlio, insegnante-allievo, medico-paziente e, nei contesti familiari tradizionali, quelli tra marito-moglie, uomo-donna.

È possibile avere comunicazione efficace sia all’insegna della simmetria sia della com­plementarità, così come in entrambi i casi vi sono elementi potenziali di disturbo.

La rela­zione simmetrica rimane efficace e «sana» fintanto che i due partner si accettano come sono, confermando reciprocamente i rispettivi Sé.

Il rischio che più comunemente si corre in una relazione comunicativa di tipo simmetrico è l’escalation competitiva, cioè l’evoluzione verso la competizione in quanto si cerca di essere sempre e comunque allo stesso livello dell’altro, così se l’altro si mostra aggressivo o ironico, si cercherà di essere un po’ più aggressivi e ironici di lui, provocando la stessa reazione e dando luogo, appun­to, a un‘escalation che può fermarsi solo quando gli avversari sono fisicamente o moralmente spossati.

Se invece i due sono determinati ad andare avanti, l’escalation competitiva si arresta solo con la rottura della relazione. In tal caso c’è la tendenza a rifiutare più che a disconfermare il Sé dell’altro, possibilità emotivamente dolorosa, ma non pericolosa quando la disconferma che, secondo Beavin, Watzlawick e Jackson è presente nella comunicazione patologica e può innescare dinamiche alienanti.

conferma disconferma

Nelle relazioni complementari sane c’è altrettanta possibilità di conferma reciproca che in quelle simmetriche sane.

Nelle relazioni complementari patologiche possono avviarsi dinamiche di disconferma del partner in posizione onte-down da parte di quello one-up. Il problema tipico di questo tipo di relazione è la rigidità della differenza di ruoli per cui chi è one-down per status, deve es­serlo sempre così da permettere all’altro di essere sempre one-up.

Una moglie tradizionale, ad esempio, avrà sempre «torto» rispetto al proprio marito anche quan­do ha ragione, oppure dovrà tacere in pubblico e lasciare a lui la parola e così via.

Analo­gamente, un genitore può continuare a pretendere dal figlio un comportamento di dipen­denza anche quando il figlio è ormai cresciuto, fino al punto di disconfermarlo se non reci­ta il suo ruolo: quel genitore può ignorare i comportamenti adulti del figlio con le possibili conseguenze o di un distacco drastico del figlio (che può andarsene di casa, liti­gare, chiudersi in un mutismo ostile ecc.) o di un’accondiscendenza da parte sua a recitare un ruolo infantile anche quando è ormai adulto.

 

5. Il paradosso pragmatico e il double bind

watzlawick

Paul Watzlawick (1921 – 2007)

Il paradosso pragmatico è una delle patologie della comunicazione più gravi e rischiose di conseguenze psichiche. Gli psicologi di Palo Alto lo definiscono come

«una contrad­dizione logica che deriva da una deduzione corretta da premesse coerenti».

Il paradosso pragmatico è, infatti, una comunicazione caratterizzata da un’ambiguità sistematica e da una contraddizione che, producendo un cir­colo vizioso, determina uno stato di indecidibilità e di stallo che finisce per bloccare la scelta tra alternative diverse.

Il prototipo del messaggio paradossale è l’ingiunzione «sii spontaneo»

«Chiunque ri­ceva questa ingiunzione si trova in una situazione insostenibile, perché per accondiscendervi dovrebbe essere spontaneo entro uno schema di condiscendenza e non di spontanei­tà» – ha spiegato Watzlawick.

Gregory Bateson

Gregory Bateson (1904 – 1980)

Gregory Bateson, psicologo, antropologo e filosofo della scuola di Palo Alto ha descritto gli ef­fetti del paradosso pragmatico con il concetto di double bind (doppio legame).

Si costituisce una situazione di doppio legame quando le persone sono coinvolte in una relazione intensa, con valore di sopravvivenza fisica o psicologica per almeno una di esse (come nella relazione genitore-bambino), nella quale viene inviato un messaggio che asserisce qualcosa e, contemporaneamente, asserisce qualcosa sulla propria asserzione (per lo più attraverso il modulo analogico) che esclude la precedente.

Ciò può accadere ad esempio, quando il messaggio contiene un’ingiunzione che per essere obbedita deve essere disobbeditacome nel caso del “sii spontaneo” o di un padre che inviti il figlio a non avere paura del buio per poi minacciarlo di chiuderlo in una stanza al buio se non smette di fare i capricci: in questo caso, se il bambino smette di fare i capricci, disobbedisce all’ingiunzione di non avere paura del buio.

La comunicazione paradossale può avere conseguenze patologiche perché il ricevente non ha la possibilità di comunicarne l’incongruità metacomunicando (cioè commentando una comunicazione che lo mette a disagio, spesso senza capirne il perché) né uscendo dallo schema stabilito, perché il messaggio stesso è paradossale (se obbedisci disobbedisci e se disobbedisci obbedisci); il double bind è infatti una trappola comunicativa.

Si ha poi, doppio legame scisso quando le due asserzioni che si escludono a vicenda sono inviate da persone di­verse all’interno dello stesso contesto significativo, per esempio un padre e una madre (papà afferma che dopo le 9 di sera non si esce, mamma chiede al figlio di portare fuori il cane alle 22.30 ecc.). Un caso del genere può verificarsi nella relazione di un sequestrato con i suoi sequestratori, in quanto il se­questrato si trova in una posizione di forte dipendenza («relazione intensa») nei confronti dei suoi carcerieri.

In un caso di sequestro realmente verificatosi, una bambina di nove anni fu tenuta prigioniera per un periodo abbastanza lungo da con­sentire a uno dei carcerieri di coinvolgerla in una relazione intensa. Dopo la liberazione, la bambina diceva alla madre di essere stata fortunata perché c’era il suo amico a difen­derla. Il sentimento di amicizia per il suo carceriere (noto come Sindrome di Stoccolma, dalla località del primo caso, un sequestro in una banca, descritto nel 1973) era stato ottenuto con una comunicazione che metteva in scena protezione ed affetto, mentre manteneva prigioniera la bambina che si trattasse di un solo sequestratore o di due che si ripartivano il ruolo di buono e cattivo in presenza della vittima.

 

6. La prossemica

Saluto giapponese

Saluto giapponese

Una delle informazioni fondamentali sul rapporto esistente tra gli individui è data dallo spazio occupato e dalla reciproca distanza. La distanza che teniamo dagli altri segnala infatti il tipo di relazione che intratteniamo con loro.

Ogni cultura codifica in modo diverso queste distanze; in alcune culture è necessario «tenere le distanze» tra gli individui, mentre in altre la vicinanza tra le persone è massima e può essere tollerato persino il contatto tra estranei.

Come osservato dal sociologico americano Edward T. Hall negli anni ’60 (The hidden dimension, 1966), esistono delle leggi implicite che stabiliscono gradi di intimità tra gli individui basati sulla prossimità fisica.

Per esempio, c’è una distanza intima, che implica contatti ravvicinati o di­retti con il corpo di una persona familiare o di un amico.

Esiste poi una distanza personale, che va da circa mezzo metro a poco più di un metro, e permette a due persone di parlarsi ma di es­sere anche a portata delle braccia dell’altro.

Nella distanza sociale (tra un metro e mezzo e tre metri e mezzo) gli unici contatti possibili sono quelli che passano attraverso lo sguardo e la voce, mentre nella distanza pubblica lo spazio è superiore ai tre metri come avviene nelle riu­nioni pubbliche, nelle conferenze, nei tribunali ecc.

Uovo prossemico

Uovo prossemico

Le distanze pubbliche sono fortemente codificate, per esempio è raro che un semplice cittadino possa avvicinarsi al Presidente della Repubblica senza un motivo plausibile o un permesso.

Analogamente, tra esaminato ed esaminatore c’è sempre una «barriera» (un tavolo) che delimita i reciproci spazi e lo stesso accade negli uffici pubblici, tant’è che il superamen­to di una di queste barriere in un ufficio o in un negozio può essere interpretato come improprio (cioè scortese, maleducato) o minaccioso, da chi sta dall’altra parte del banco, che tende a viverlo come un’invasione del proprio territorio.

In altri contesti, invece, come in autobus, in ascensore, nella coda di un cinema o a un concerto, nei quali è impossibile tenere la corretta distanza pubblica, si può stare vicinissimi gli uni agli altri, condividendo gli «spazi intimi» con persone che non si conoscono.

Il sociologo canadese Erving Goffman (interazionismo simbolico) ha studiato queste regole implicite, non dette, della vita quotidiana, descrivendo la cosiddetta «disattenzione civile», cioè il distogliere lo sguardo e l’ostentare disinteresse per gli sconosciuti che ci sono vicinissimi in ascensore o in altri contesti pubblici per segnalare che la riduzione delle distanze non è evitabile e non implica intimità.

 

6. Paul Watzlawick, La realtà della realtà

realtà della realtàIn questo testo del 1976, How Real is Real? Communication-Disinformation-Confusion, Watzlawick illustra come la comunicazione (parole, gesti, immagini) modelli ciò che chiamiamo “realtà”, una condizione sempre relativa, storica, costruita.

[Dall’introduzione] Quest’opera si occupa del modo in cui la comunicazione crea quella che noi chiamiamo realtà. Quest’asserzione può sembrare a prima vista davvero strana: certamente la realtà è quella che è, e la comunicazione è semplicemente un modo di esprimerla o spiegarla.

Nient’affatto. Come dimostreremo, le nostre idee tradizionali sulla realtà sono illusioni che andiamo accumulando per la maggior parte della nostra vita quotidiana, anche al rischio notevole di cercar di costringere i fatti ad adattarsi alla nostra definizione della realtà, e non viceversa.

Ma l’illusione più pericolosa è che esista soltanto un’unica realtà. In effetti, esistono molte versioni diverse della realtà, alcune contraddittorie, ma tutte risultanti dalla comunicazione e non riflessi di verità oggettive, eterne.

Lo stretto nesso tra realtà e comunicazione è un’idea relativamente nuova. Sebbene fisici e ingegneri abbiano già da molto tempo risolto i problemi della trasmissione efficace dell’informazione, sebbene i linguisti siano da secoli dediti all’esplorazione dell’origine e della struttura del linguaggio, e i semantici si siano addentrati nello studio dei significati, dei segni, e dei simboli, la pragmatica della comunicazione, cioè i modi in cui gli uomini possono spingersi a vicenda verso la pazzia, e le concezioni del mondo, diversissime, che possono insorgere a causa della comunicazione, sono diventati un campo di ricerca solo negli ultimi decenni.

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