La filosofia è come il calcio

by gabriella

I filosofi sono come i giocatori, ci sono quelli che vedono ciò che gli altri vedono e li aiutano ad esprimerlo e ci sono quelli che vedono ciò che gli altri non vedono e cambiano il mondo. La seconda questione posta da Filosofia. Corso di sopravvivenza [Milano, Ponte alle grazie, 2001, pp. 9-13] di Girolamo De Michele.

Eric Cantona

Eric Cantona

Il filosofo che elabora un concetto è un po’ come il calciatore che fa una giocata. I calciatori (o i cestisti, ecc.) possono essere divisi in tre categorie. Ci sono quelli che fanno ciò che noi che siamo sugli spalti faremmo (così crediamo, almeno), al posto loro: vedono un buco che vediamo anche noi e lo attraversano, o ci fanno passare il pallone. Poi ci sono quelli che vedono un buco che a noi sfuggiva, un buco che noi gente comune vediamo solo al ralenti, in televisione, o addirittura con la moviola, ma che a occhio nudo non si vedeva. Poi ci sono i geni: quelli che il buco lo creano.

Maradona o Baggio che partono da cen­trocampo contro la difesa schierata e hanno già visto dove passeranno, Platini che ha capito come si muoveranno compagni e avversari prima di impostare l’azione, Johan Cruijff che si lancia contro gli avversari e sembra attraversarli o sorvolare le loro gambe tese, il pallonetto di Pelé nella finale del 1958.

CroceI concetti filosofici sono come le giocate dei giocatori. Ci so­no quelli che esprimono ciò che l’opinione corrente pensa, che aiutano la pubblica opinione a trovare le parole per esprimere il senso comune: nel primo Novecento Croce e Gentile in Italia dicevano ciò che tutto sommato l’opinione corrente voleva sen­tirsi dire, e questo faceva di loro filosofi di fama; la loro arretra­tezza, rispetto al panorama filosofico europeo, esprimeva l’arre­tratezza dell’Italia del primo Novecento. Lo stesso vale, nell’età vittoriana, per Herbert Spencer, con il suo “darwinismo socia­le”: una lettura scorretta di Darwin, che esprimeva bene la mentalità imperialista britannica. Erano filosofi che non aggiungevano nulla di nuovo a ciò che del mondo si sapeva, e non a caso oggi non li si considera più importanti (anche se c’è chi, senza rendersene conto, continua a pensare come loro).

Poi ci sono quelli che esprimono qualcosa di nuovo, di mai visto o concepito. Per effetto dei loro concetti il mondo cam­bia, perché del mondo vediamo e comprendiamo qualcosa che fino ad allora ci era ignoto. I loro concetti durano finché hanno qualcosa di nuovo da dire, ma prima o poi (parliamo di secoli, beninteso) smettono di stimolare la nostra mente.E infine, ecco i grandi filosofi, i cui concetti continuano a produrre novità, conoscenza, comprensione: ci sono concetti (le Plato-raphael“idee” di Platone, l’“intelletto produttivo” di Aristotele, la “gioia” di Spinoza, il “divenire” di. Eraclito, gli “atomi” di Lu­crezio, il “nichilismo” di Nietzsche, la “ragione riflettente” di Kant, L’arido vero” di Leopardi, la “dignità umana” di Pico della Mirandola, la “sincerità” di Montaigne, la “merce” di Marx) che sono uno scrigno del tesoro che sembra non esaurir­si mai. Nei libri di filosofia si parla soprattutto di loro, e a giu­sta ragione: ma non dovremmo mai dimenticare che ciascuno di loro aveva intorno a sé filosofi del primo e secondo tipo – e scienziati, e artisti, e uomini di Chiesa e di Stato, e gente comu­ne – con i quali si confrontava, discuteva, affinava i propri con­cetti. Non a caso la filosofia occidentale nasce nelle città, cioè nella polis greca; e le città erano fatte non di luoghi chiusi e pri­vati, ma di spazi aperti e pubblici: piazze, porticati, giardini, ac­cademie, licei. Spazi abitati talvolta persino da donne (persino da prostitute!): la filosofia nasce pubblica.

I grandi filosofi sono come i monumenti del passato: costrui­ti nel passato, sono ancora davanti a noi. Attraversano il tempo in un eterno presente, come il Colosseo che costringe l’autobus (che non esisteva quando fu costruito) a girarci intorno: è con­temporaneo degli imperatori come della Roma odierna.[…] I monumenti filosofici, come quelli reali, hanno dunque un tempo tutto loro: erano presenti nel passato, ma lo sono anco­ra, e probabilmente saranno ancora presenti quando noi non ci saremo più. Ogni filosofo si confronta col proprio tempo, e in qualche modo lo esprime: ma anche, e forse ancor di più, si confronta con i grandi del passato. Non c:è filosofo che non sia costretto a fare i conti con Platone e Aristotele, in qualche mo­do a scegliere tra i due; sembra quasi che Platone e Aristotele abbiano determinato alcune alternative basilari, rispetto alle quali si è platonici o aristotelici: ad esempio, se la filosofia deb­ba spiegare perché il mondo è così com’è (Aristotele, ma anche Hegel) o debba pensare la possibilità di un mondo diverso da quello presente (Platone e Deleuze, ma anche Kant e Marx). Non c’è filosofo serio che non abbia attraversato, non importa se per allontanarsene o piantarvi la tenda, quei territori ancora non del tutto esplorati che sono i cosiddetti “classici”.

Il passa­to non svanisce, ma coesiste col presente, come quegli strati geologici che troviamo sotto lo strato del presente: il tempo fi­losofico è un tempo non storico, ma stratiforme. Questo vuol dire che la filosofia è una cosa molto diversa dalla storia della filosofia, nella quale i filosofi sono infilati come grani di un ro­sario e la conoscenza si svolge dal più antico al più recente: col risultato di rendere inspiegabile il perché alcuni tra i più grandi (e secondo molti i due più grandi) sono stati i primi. La storia della filosofia è un’aberrazione che rischia di uccidere la filoso­fia, a meno che non sia una semplice scala che consente di su­perare il muro dell’ignoranza: una volta conosciuti i filosofi e i loro concetti, questa scala va gettata via. […]

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