La terza guerra messenica e la rivolta degli schiavi iloti.
A Sparta vigeva una rigida separazione tra gli spartiati, l’oligarchia nobile dei guerrieri proprietari della terra e le altre classi. All’ultimo posto della gerarchia sociale erano gli Iloti. Discendenti dalle antiche popolazioni che abitavano la Laconia e la Messenia prima dell’arrivo dei Dori, antenati degli Spartani. In particolare, secondo Eforo di Cuma, gli iloti sarebbero gli eredi di quegli autoctoni che non si erano voluti arrendere all’invasione dorica e che avevano resistito alla loro occupazione del Peloponneso.
Gli iloti divennero così schiavi di proprietà dello stato, obbligati ad occuparsi dei lavori più faticosi ed umilianti mentre i loro padroni si dedicavano alla guerra. E proprio in uno dei passaggi fondamentali nel percorso di formazione dei giovani spartiati, la Krypteia, gli schiavi erano vittime sacrificali. Ogni anno al loro insediamento, gli Efori, la suprema magistratura di Sparta, dichiaravano di nuovo formalmente guerra agli Iloti, legalizzandone l’uccisione. Gli spartiati che si erano distinti nell’agogé, erano mandati fuori della città, senza cibo né armi, per dare la caccia agli Iloti e mostrare la propria virilità.
Gli Iloti avevano tre sole possibilità di riscatto. L’affrancamento, molto raro, elargito per meriti militari quando gli schiavi accompagnavano gli spartiati in battaglia. La fuga, che si concludeva molto spesso con la cattura e la tortura e la morte.
Nel 464 a.c., molti schiavi iniziarono una ribellione dopo un forte terremoto. Dopo alcune vittorie in campo aperto, vista la sproporzione di uomini e mezzi, i rivoltosi si rifugiarono sul monte Itome, tornando ad occupare l’antica fortezza in cui i loro antenati si erano asserragliati durante la guerra di conquista della Messenia da parte degli Spartani. Più volte gli assedianti cercarono di far cadere la roccaforte, senza successo, spingendosi persino a chiedere l’aiuto degli ateniesi che inviarono 4.000 opliti per sedare la rivolta.
Sospettando degli ateniesi, gli sparitati chiesero agli uomini di Cimone di tornare in patria, dove Pericle ed Efialte sfruttarono il fallimento della spedizione e l’atteggiamento ostile degli Spartani, per ostracizzare Cimone, rompere l’alleanza con Sparta e stringere rapporti con la storica nemica dei lacedemoni, Argo. Erano i prodromi della Guerra del Peloponneso.
Intanto sul monte Itome, gli Iloti resistevano. Secondo Tucidide l’assedio durò dieci anni, secondo ricostruzioni moderne almeno più di tre.
Davanti alla prolungata resistenza degli schiavi, gli Spartani decisero di disimpegnare le truppe dall’assedio e negoziare con gli Iloti che stipularono un accordo non disonorevole: i ribelli, uomini, donne e bambini, lasciarono il Peloponneso, promettendo di non farvi ritorno pena la morte o la schiavitù. Scortati dagli Ateniesi, che rivaleggiavano con Sparta, gli Iloti si trasferirono in Etolia dove fondarono la città di Naupatto, oggi nota come Lepanto, realizzando il sogno leggendario di una città fatta dagli schiavi per gli schiavi, simile al luogo mitologico citato da Ecateo di Mileto in cui ogni uomo poteva diventare libero soltanto portandovi una pietra.
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