Tratto, con modifiche e integrazioni, da Abbagnano-Fornero, La ricerca del pensiero, Paravia.
Con il concetto di rivoluzione scientifica ci si riferisce alla profonda trasformazione della visione della natura e del metodo di acquisizione delle conoscenze impostosi tra il XVI e il XVII secolo, tra la pubblicazione del De revolutionibus orbium coelestium di Copernico (1543) e quella dei Principi matematici di filosofia naturale (Philosophiae naturalis principia mathematica) (1687).
Ciò che emerge dalla rivoluzione scientifica, in generale, e dal metodo galileiano, in particolare, è una concezione della natura come ordine oggettivo, strutturato da precise cause e relazioni rette da leggi, e della scienza come sapere sperimentale, matematico e intersoggettivamente valido che ha per scopo la conoscenza del mondo circostante e il suo dominio da parte dell’uomo.
1. La nuova visione della natura
La natura è intesa come un ordine oggettivo poiché essa è vista come una realtà separata e indipendente dall’uomo. In questo senso, mentre la magia e il mondo dei bambini vede il mondo come pieno di spiriti e anime dotate di una volontà che agisce sul mondo, in base a rapporti di simpatia o antipatia con gli altri esseri, il mondo che è oggetto della scienza è del tutto privo di qualità o valori umani.
La natura è inoltre intesa come un ordine causale, perché in essa nulla avviene per caso, ma tutto è il risultato di cause precise. Per causalità, si intende infatti, un rapporto costante e univoco tra due fatti (o insiemi di fatti) dei quali dato l’uno è dato anche l’altro, e tolto l’uno è tolto anche l’altro.
Ad esempio, data la temperatura di 100° (causa), l’acqua bolle necessariamente (effetto), tolta la temperatura di 100° l’acqua smette necessariamente di bollire.
Delle quattro cause riconosciute da Aristotele (materiale, formale, efficiente, finale) solo la causa efficiente è ammessa. Alla scienza infatti non interessa (o non può conoscere) il “perché” finale o lo scopo di un fatto (ad esempio, perché nell’economia generale della natura esistano le malattie), ma solo la sua causa efficiente, cioè l’insieme delle forze che producono quel fatto (ad esempio, i meccanismi delle infezioni batteriche).
La natura è un insieme di relazioni e non un sistema di essenze, perché lo sguardo del ricercatore è puntato non su presunti principi sostanziali occulti e inverificabili posti alla base della realtà, ma sulle relazioni causali riconoscibili che legano i fatti tra loro. Ad esempio, allo scienziato non interessa indagare la sostanza del fulmine, ma solo chiarire i rapporti di causa ed effetto che lo pongono in relazione ad altri fenomeni e lo rendono comprensibile, come la luce solare, le gocce d’acqua, ecc..
I fatti sono governati da leggi, perché essendo causalmente legati tra loro, obbediscono a regole uniformi che rappresentano i modi necessari e i principi invarianti attraverso cui la natura opera. Di conseguenza, dal punto di vista scientifico, la natura consiste in un insieme di leggi che regolano i fenomeni e li rendono prevedibili.
2. La nuova visione della scienza
La scienza moderna è un sapere sperimentale, perché si fonda sull’osservazione dei fatti e perché le ipotesi vengono verificate (da verum facere, fare il vero, accertare la verità) empiricamente e non soltanto attraverso dimostrazione razionale.
La scienza, tuttavia, non è una semplice registrazione dei fatti, inquadrata in una teoria generale, ma una costruzione complessa, su base matematica, che si conclude con l’esperimento, cioè una procedura appositamente costruita per la verifica delle ipotesi.
La scienza è un sapere quantitativo che si fonda sul calcolo e la misura, perché matematizza i propri dati, esprimendoli in formule precise. Pertanto, la quantificazione diviene una delle condizioni imprescindibili dello studi della natura.
«La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto» [Galileo Galilei, Il Saggiatore, Cap. VI].
La scienza è un sapere intersoggettivo, perché i suoi procedimenti vogliono essere pubblici, cioè accessibili a tutti, e le sue scoperte pretendono di essere universalmente valide, cioè controllabili, in via di principio da tutti.
Galilei apre il Sidereus nuncius, il primo rapporto scientifico della tradizione occidentale, con uno schema che permette di costruire il cannocchiale con cui ha prodotto le osservazioni celesti descritte nel testo. Così facendo, la scienza moderna si stacca dalla magia e delle discipline occulte, le quali presuppongono una concezione iniziatica o sacerdotale del sapere, appannaggio di un gruppo ristretto di persone.
Il fine della scienza è la conoscenza oggettiva del mondo e delle sue leggi, ma quanto più si libera da schemi antropomorfici e da interrogativi estranei alla loro scoperta, tanto più si lega al punto di vista altrettanto antropocentrico, della volontà di dominio sulla natura.
Infatti, conoscere la natura vuol dire poterla controllare e dirigere a nostro vantaggio. Di qui il
« Sapere è potere»
baconiano.
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