A tutti gli studenti, delle mie o di altre classi, con cui sto parlando in questi giorni, dopo il nostro rientro a scuola. Vi lascio le parole di Epicuro che mi avete sentito pronunciare, a volte senza citarlo:
Siamo nati una sola volta, e non potremo essere nati una seconda volta; dovremo non essere più per l’eternità. Ma tu, benché non abbia padronanza del domani, stai rinviando la tua felicità. La vita si perde nei rinvii, ed ognuno di noi muore senza aver goduto una sola giornata [Massime vaticane, 14].
Nel caso di altri tipi di attività, se ne coglie il frutto solo dopo di essere riusciti, dopo molta fatica, a diventare padroni della materia. Nel caso della filosofia però, la conoscenza ed il diletto vanno insieme; visto che il godimento non si raggiunge dopo gli studi, ma gli studi ed il godimento vanno avanti insieme [Mv, 27].
Da ogni altra cosa è possibile metterci al sicuro, ma rispetto alla morte noi tutti abitiamo una città senza mura [Mv, 31].
Ti ho prevenuta, o sorte, e da ogni tua insidia mi sono premunito. Non a te né ad alcun’altra circostanza ci arrenderemo: ma quando sia necessario andarcene, sputando ampiamente sulla vita e su quelli che vanamente ci si attaccano, ce ne andremo con un bel canto proclamando quanto bene abbiamo vissuto [Mv, 47]
Niente basta a quell’uomo per il quale ciò che basta sembra poco [Mv, 68]
Il supremo frutto dell’autosufficienza è la libertà [Mv, 77].
Quando dunque diciamo che il piacere è un bene, non alludiamo affatto al piacere dei dissipati che consistono in bagordi, come credono alcuni che ignorano il nostro insegnamento o lo interpretano male, ma alludiamo all’assenza di dolore nel corpo, all’assenza di perturbazione nell’anima. Non dunque le libagioni e le feste ininterrotte, né il godersi fanciulli e donne, né il mangiar pesci e tutto il resto che una ricca mensa può offrire è fonte di vita felice; ma quel sobrio ragionare che scruta a fondo le cause di ogni atto di scelta e di rifiuto, e che scaccia le false opinioni, per via delle quali grande turbamento si impadronisce dell’anima. (Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, X, 127-132).
[124] Abituati a pensare che la morte non è nulla per noi, perché ogni bene e ogni male risiede nella facoltà di sentire, di cui la morte è appunto privazione. Perciò la retta conoscenza che la morte non è nulla per noi rende gioiosa la stessa condizione mortale della nostra vita, non prolungando indefinitamente il tempo, ma sopprimendo il desiderio di immortalità. [125] Nulla c’è di temibile nel vivere per chi sia veracemente convinto che nulla di temibile c’è nel non vivere più. E così anche stolto è chi afferma di temere la morte non perché gli arrecherà dolore sopravvenendo, ma perché arreca dolore il fatto di sapere che verrà: ciò che non fa soffrire quando sopravviene, è vano che ci addolori nell’attesa. Il più terribile dei mali dunque, la morte, non è niente per noi, perché quando noi ci siamo, la morte non c’è, e quando essa sopravviene noi non siamo più. Essa non ha alcun significato, né per i viventi, né per i morti, perché per gli uni non è niente, e quanto agli altri, essi non sono più. Ma il volgo ora fugge la morte come il più grande dei mali, ora invece [la cerca] come cessazione [dei mali] della vita. [Il saggio, al contrario, non chiede di vivere] né teme il non vivere: non è contrario alla vita, ma neanche ritiene che la morte sia un male [dalla Lettera a Meneceo].
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