La recensione del Sole24Ore de La société du hold-up di Paul Vacca: quando la rapina diventa il paradigma dominante, la finanza elettronica gioca al crash, la politica diventa indistinguibile dagli affari dei clientes, la giovinezza avvizzisce nella depressione o nell’euforia.
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C’è un piccolo libro francese che non parla dell’Italia, eppure descrive bene il clima nel quale viviamo. Si chiama La société du hold-up e la tesi del suo autore, Paul Vacca, è che l’assalto alla diligenza sia diventato il paradigma economico dominante del nostro tempo. Al centro della dimostrazione, tre esempi. Primo, il caso dei prodotti finanziari derivati e delle colossali scommesse da essi consentite. Secondo, il modello delle start up tecnologiche, che destrutturano interi mercati riconfigurandoli in proprio favore (Amazon e i libri, Apple e la musica, ecc.). Terzo, il predominio dei blockbuster cinematografici, una strategia di marketing iperaggressiva centrata sul brevissimo periodo: il film che non sfonda in sala nel primo weekend è già fuori dai giochi.
All’opera in ciascuno di questi casi lo stesso schema mentale: tutto subito o niente. L’idea è che la finestra di opportunità sia brevissima e che ci si debba assolutamente infilare al momento giusto per mettere a segno il proprio colpo grosso. A nessuno importa più di tanto ciò che accadrà nel medio periodo: il punto è racimolare il bottino e mettersi in salvo prima che venga giù il diluvio universale. Così hanno fatto i fondi che hanno prima scommesso sui subprime e poi sul loro crollo. Così le aziende della Silicon Valley che catturano un effimero monopolio e cercano di sfruttarlo il più possibile fino alla prossima innovazione che le metterà fuori gioco (appena consolidato iTunes è già arrivato Spotify…). Così i distributori che inondano le sale di sequel inguardabili e passano all’incasso prima che il pubblico si renda conto di quanto mediocre sia il prodotto.
In pratica se in passato il mercato era un campo di battaglia, sul quale gli eserciti si disponevano in vista di una lunga guerra di posizione, oggi, secondo l’autore, la competizione economica assomiglia molto di più ad una sorta di Chicago anni Trenta: una successione di grossi colpi che fanno saltare il banco a ripetizione in un clima sempre più incerto e precario. La tesi non è particolarmente originale – e forse neppure del tutto convincente. Eppure genera curiose assonanze con la realtà italiana. Non tanto perché abbondino, da noi, finanzieri innovativi, start up tecnologiche o anche solo produttori capaci di puntare al blockbuster. Quanto piuttosto perché la mentalità dell’ultimo giro di giostra, del colpaccio da mettere a segno prima del diluvio sembra essere diventata dominante su tutti i piani. In un paese rassegnato al declino, dove gli ottimisti sono quelli che pensano che esso avrà luogo dolcemente, mentre quasi tutti gli altri si aspettano, prima o poi, un crollo repentino, l’unica speranza è mettere a segno l’ultimo colpo prima che venga giù tutto.
È vero in politica, con Berlusconi da una parte e i maggiorenti del Pd dall’altra, un’intera generazione politica condannata all’estinzione, ma forsennatamente impegnata a rinviare l’ora della resa dei conti. È vero tra i cosiddetti poteri forti, che raschiano ormai da anni il fondo del barile, contendendosi con crescente livore le ultime spoglie di un sistema finito. È vero un po’ a tutti i livelli di una società sempre più depressa e cattiva, nella quale i padri divorano i figli e i figli crescono ancor più cinici e disillusi dei padri. Gli zoologi hanno scoperto da tempo che più si riduce la dimensione della gabbia e più aumenta l’aggressività degli animali intrappolati all’interno di essa. È il contrario della decrescita felice e virtuosa che qualche anima bella continua a preconizzare: un’età feroce nella quale i giochi a somma negativa risvegliano gli istinti peggiori e il mors tua vita mea diventa la regola aurea di ogni interazione sociale. Come nelle zone di guerra, dove conta solo il cash e il lungo periodo si misura in ore e minuti. Come tra gli oligarchi che puntano tutto sull’oggi, perché ieri non c’erano e domani chissà. Così da noi il colpo grosso è diventato l’unica via d’uscita razionale: far saltare il banco prima che il banco cessi di esistere, spremere l’ennesima rendita di posizione per garantirsi l’ultimo giro di giostra: un posto in prima fila per gli Hunger Games, più che un innocuo Truman Show.
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