Carlo Michelstaedter
Si è detto di lui che si suicidò per ragioni filosofiche, nel 1910, all’età di 23 anni. Il giorno dopo doveva sostenere la sua tesi di laurea in filosofia all’Università di Firenze: la stanchezza, la depressione, la convinzione che nessuno l’avrebbe capito, lo sprofondarono nella vertigine. E’ stato il filosofo della mia giovinezza: la mia tesi di laurea trattava della sua.
Vladimir Majakovskij
Orfano a sette anni, con un’infanzia difficile alle spalle, il poeta era stato un appassionato sostenitore della rivoluzione russa e aveva messo la sua arte al servizio di questo ideale. Si suicidò nel 1930, uscendo da una rottura sentimentale. Nella sua lettera di commiato scrisse:
«A tutti. Se muoio, non incolpate nessuno. E, per favore, niente pettegolezzi. Il defunto non li poteva sopportare. Mamma, sorelle, compagni, perdonatemi. Non è una soluzione (non la consiglio a nessuno), ma io non ho altra scelta. Lilja, amami. Compagno governo, la mia famiglia e’ Lilja Brik, la mamma, le mie sorelle e Veronika Vitol’dovna Polonskaja. Se farai in modo che abbiano un’esistenza decorosa, ti ringrazio.[…] Come si dice, l’incidente è chiuso. La barca dell’amore si e’ spezzata contro il quotidiano. La vita e io siamo pari. Inutile elencare offese, dolori, torti reciproci. Voi che restate siate felici».
Virginia Woolf
Le sue frequenti crisi depressive si erano aggravate con la guerra. Temendo di impazzire, si tolse la vita nel 1941, lasciandosi cadere nel fiume vicino a casa, con le tasche piene di sassi. Lo spiegò al marito con queste parole:
«Sono certa di stare impazzendo di nuovo. Sento che non possiamo affrontare un altro di quei terribili momenti. E questa volta non guarirò. Inizio a sentire voci, e non riesco a concentrarmi. Perciò sto facendo quella che sembra la cosa migliore da fare. Tu mi hai dato la maggiore felicità possibile. Sei stato in ogni modo tutto ciò che chiunque avrebbe mai potuto essere. Non penso che due persone abbiano potuto essere più felici fino a quando è arrivata questa terribile malattia. Non posso più combattere. So che ti sto rovinando la vita, che senza di me potresti andare avanti. E lo farai lo so. Vedi non riesco neanche a scrivere questo come si deve. Non riesco a leggere. Quello che voglio dirti è che devo tutta la felicità della mia vita a te. Sei stato completamente paziente con me, e incredibilmente buono. Voglio dirlo – tutti lo sanno. Se chiunque avesse potuto salvarmi saresti stato tu. Tutto se n’è andato da me tranne la certezza della tua bontà. Non posso continuare a rovinarti la vita. Non credo che due persone possano essere state più felici di quanto lo siamo stati noi. V».
Cesare Pavese
Cesare Pavese si tolse la vita nel 1950 per problemi esistenziali. Al suo ultimo amore infelice dedicò la poesia Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. In una delle sue ultime lettere scrisse:
Posso dirti, amore, che non mi sono mai svegliato con una donna mia al fianco, che chi ho amato non mi ha mai preso sul serio, e che ignoro lo sguardo di riconoscenza che una donna rivolge a un uomo? E ricordarti che, per via del lavoro che ho fatto, ho avuto i nervi sempre tesi, e la fantasia pronta e precisa, e il gusto delle confidenze altrui? E che sono al mondo da quarantadue anni? Non si può bruciare la candela dalle due parti – nel mio caso l’ho bruciata da una parte sola e la cenere sono i libri che ho scritto. Tutto questo te lo dico non per impietosirti – so che cosa vale la pietà, in questi casi – ma per chiarezza, perché tu non creda che quando avevo il broncio lo facessi per sport o per rendermi interessante. Sono ormai di là dalla politica. L’amore è come la grazia di dio – l’astuzia non serve. Quanto a me, ti voglio bene, Pierina, ti voglio un falò di bene. Chiamiamolo l’ultimo guizzo della candela. Non so se ci vedremo ancora. Io lo vorrei – in fondo non voglio che questo – ma mi chiedo sovente che cosa ti consiglierei se fossi tuo fratello. Purtroppo non lo sono.
Walter Benjamin
Ebreo tedesco, nel tentativo di sfuggire ai nazisti che avevano già ucciso suo fratello nel campo di Mathausen, era fuggito in Spagna da dove voleva imbarcarsi per gli Stati Uniti. Braccato, il 25 settembre 1940 il filosofo decise di togliersi la vita con la morfina. Seppellito frettolosamente, dopo la guerra il suo corpo non fu mai più ritrovato, né la valigia nella quale conservava i suoi inediti.
Gilles Deleuze
Tra i massimi filosofi del nostro tempo, Gilles Deleuze è morto suicida nel 1995, dopo una lunga malattia, gettandosi dalla finestra del suo appartamento parigino.
André Gorz
(Pseudonimo di Gerard Horst) Filosofo austriaco, naturalizzato francese, nelle foto è ritratto con la moglie Dorine, in riva alla Senna negli anni ’50. Incapace di accettare la malattia della compagna di tutta una vita, il filosofo ormai novantenne si è suicidato il 22 settembre 2007 assumendo sonniferi insieme a Dorine nella loro casa di Vosnon.
Paul Celan
Ebreo rumeno di lingua tedesca, come Primo Levi, Celan conobbe la deportazione in un campo di concentramento. Si gettò da un ponte sulla Senna nel 1970.
Primo Levi
Ebreo torinese, partigiano, era sopravvissuto ad Auschwitz dove era stato deportato dopo essere stato catturato dai fascisti. Autore di Se questo è un uomo, I sommersi e i salvati, La tregua, nel lager aveva perso la fede:
«Devo dire che l’esperienza di Auschwitz è stata tale per me da spazzare qualsiasi resto di educazione religiosa che pure ho avuto. C’è Auschwitz, dunque non può esserci Dio. Non trovo una soluzione al dilemma. La cerco, ma non la trovo.
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