Il mercato come ordine naturale
Il mercato è così strettamente associato alle economie moderne da sembrare un modo d’organizzazione spontaneo e naturale dell’attività economica. Molti esempi mostrano, al contrario, che le relazioni di mercatonon sono sempre esistite, contraddicendo così l’idea del carattere naturale, dunque universale, del mercato stesso.
Adam Smith era convinto che gli uomini avessero una naturale inclinazione allo scambio e fossero guidati da una mano invisibile che, incitandoli ad arricchirsi liberamente e ad operare per il proprio interesse, li spingeva naturalmente ad agire per il benessere della nazione. Questo ordine naturale aveva come esito l’equilibrio sociale, perché il libero perseguimento dei propri scopi da parte di ciascuno concorreva inconsapevolmente al bene comune. In questo modo, benessere individuale e benessere collettivo erano raggiunti simultaneamente senza azioni dirette di regolazione collettiva [il testo filosofico esemplare di questa visione è The Fable of the Bees, or Private Vices, Public Benefits di Bernard de Mandeville, 1705].
Si tratta di una visione economica che poggia su una particolare antropologia, nota come homo œconomicus che considera il mercato il sistema più efficiente per assicurare la circolazione dell’informazione e il coordinamento di molteplici decisioni economiche. I sostenitori più convinti di questa visione, si spingono ad affermare che i meccanismi di mercato forniscono risposte anche a problemi distanti dalla sfera economica e che sia sufficiente affrontare da una prospettiva economica un problema sociale per condurlo a “razionalità”: ad esempio, si potrebbe calcolare il numero ottimale di figli per famiglia costruendo un modello che integri i vantaggi e i costi del fatto di avere più o meno figli ..
Affermazioni che fanno sorridere tutti quelli che pensano che la sfera economica ha dei limiti perché l’uomo reale non è un semplice homo œconomicus. Ma se il mercato è invadente è spesso perché alcuni ricavano vantaggi dal fatto che lo sia e ciò non è né naturale, né vantaggioso per la collettività.
Gli economisti non sono i soli ad interessarsi al mercato e alle relazioni di mercato e l’utilizzo di sguardi disciplinari differenti può essere molto utile per comprendere ciò che è in questione.
Lo sguardo antropologico
Alcuni antropologi ed etnologi hanno mostrato che l’economia di mercato, contrariamente a quanto lascino intendere gli economisti liberali, non è naturale perché non esiste in certe società tradizionali, o primitive, nelle quali dominaun sistema di scambio non di mercato, talvolta fondato sul dono. Allo stesso modo, l’idea di una natura umana fondamentalmente egoistica e volta all’accumulazione è messa in discussione dagli antropologi che hanno studiato delle società nelle quali la durata del lavoro è ridotta a ciò che è strettamente indispensabile alla produzione di beni utili per il gruppo, o ancora, che sono caratterizzate dall’assenza di gerarchia economica e politica.
Ne L’economia dell’età della pietra (1972) [1], l’antropologo Marshall Sahlins ha mostrato che le popolazioni Boscimane del deserto di Kalahari (particolarmente arido e inospitale), lavorano una piccola parte della giornata che è loro sufficiente per garantirne il sostentamento. Come ha osservato Pierre Clastres nella Prefazione all’edizione francese :
Invece di passare tutta la vita alla ricerca febbrile di un cibo aleatorio, questi supposti miserabili dedicano al lavoro al massimo cinque ore al giorno come media, e spesso tra le tre e le quattro ore. Ne risulta dunque che in un lasso di tempo relativamente breve aborigeni australiani e Boscimani si assicurano in modo adeguato la propria sussistenza. Bisogna inoltre osservare che questo impegno quotidiano non è intenso, se non raramente, bensì inframmezzato di frequenti soste per riposarsi, e che non coinvolge mai la totalità del gruppo: oltre al fatto che bambini e giovani partecipano poco o nulla alle attività economiche, non è neanche l’insieme degli adulti che si dedica simultaneamente alla ricerca del cibo. […] se in tempi brevi e a intensità debole la macchina produttiva primitiva assicura la soddisfazione dei bisogni materiali delle persone significa, come scrive Sahlins, che funziona al di sotto delle sue possibilità oggettive, significa che potrebbe, se lo volesse, funzionare più a lungo e a maggiore intensità, produrre surplus, produrre scorte. Di conseguenza, si capisce che se le società primitive non lo fanno anche potendolo, vuol dire che non vogliono farlo.
Ne La società contro lo stato (1974) [3], Pierre Clastres ha mostrato inoltre che gli indiani Guayaki e molti altri gruppi della foresta amazzonica vivono con regole sociali che spingono i capi guerrieri ad essere sempre più arditi ed eroici, ciò che rende la loro vita assai breve, per impedire loro di divenire durevolmente dei “capi” politici. Francis Huxley ha notato poi in Affable Savages: An Anthropologist Among the Urubu Indians of Brazil Aimables sauvages [4], che presso gli Urubu amazzonici:
il compito del capo è di essere generoso e di dare tutto ciò che gli si chiede in certe tribu indiane si può sempre riconoscere il capo dal fatto che è quello che possiede meno degli altri e porta gli ornamenti più miseri. Tutto il resto è spartito in doni […].
I comportamenti economicamente disinteressati esistono, d’altra parte, non solo nelle società tradizionali – ne sono esempi il potlach, il kula, e altre forme di reciprocità – ma anche nella società occidentale contemporanea nella quale restano ancora interi domini che sfuggono (per ora) alla logica di mercato. Non tutte le relazioni sociali obbediscono dunque alle regole dello scambio commerciale, particolarmente nella pratica della cura alle persone, del volontariato, e dono di sangue e d’organi.
Lo sguardo storico
Ne La grande trasformazione (1944), Karl Polanyi (1886 – 1964) affirma che il mercato è diventato un’istituzione centrale nei paesi europei solo all’inizio del XIX secolo (principalmente sotto l’influenza dello stato) perché precedentemente i rapporti economici non erano separati dagkli altri rapporti familiari, sociali, religiosi o politici. La separazione dell’autonomia dalle relazioni sociali si è prodotta successivamente. Questa separazione della sfera economica e della sfera sociale ha prodotto l’autonomizzazione dei mercati e l’instaurazione del principio del mercato autoregolato. Infine nel XX secolo ha avuto luogo òa “Grande Trasformazione” che ha “reincastrato” l’economia nelle relazioni sociali, grazie soprattutto all’introduzione di una legislazione sociale. In questo modo, alcune priorità sociali sono salvaguardate, ciò che costringe l’economia, in una certa misura, a sottomettersi ad esigenze estranee.
Lo storico francese Fernand Braudel (1902 – 1985) ha un’altra concezione della storia del mercato (esposta per esempio in Civilisation matérielle et capitalisme, (1969 -1979). Dal X o XI secolo, in Europa, il commercio e il mercato di sviluppano in modo continuo. Naturalmente, questo sviluppo è ineguale e irregolare, ma evidente e accompagna la crescita della produttività nell’agricoltura e nell’industria. Ciò non è stato il risultato di una scelta storica degli uomini che occupavano il potere in Occidente, questa regione è semplicemente in anticipo sul resto del mondo e lo ha creato prima.
Economia e sociologia
Il testo seguente è tratto da un articolo di Robert Boyer intitolato “L’anthropologie économique de Pierre Bourdieu” [in Actes de la recherché en Sciences Sociales, n° 150, p. 65-78, décembre 2003] e affronta la questione della costruzione sociale del mercato.
« À de rares exceptions, telle l’économie industrielle, la plupart des recherches en économie postulent l’existence d’un marché et en étudient les propriétés sans jamais en proposer une théorie générale. On suppose trop souvent que l’intérêt bien compris des acteurs fera émerger l’institution du marché une fois qu’ils auront constaté sa supériorité par rapport à une économie dont les transactions seraient régies par le troc. C’est oublier, comme le montrait déjà Alfred Marshall, qu’un marché ne prend forme que si des intermédiaires peuvent convertir l’information sur les offreurs et les demandeurs en une source de profit, grâce précisément à l’organisation d’un marché dont ils sont à l’origine [7]. De leur côté, au cours des deux dernières décennies, les économistes eux-mêmes ont montré les limites de la coordination par le marché du fait de l’imperfection et de l’asymétrie d’information [8], l’impact des représentations sur le fonctionnement des marchés [9] ou encore le caractère constitutif de certaines normes sociales [10]. Une fois même constitué, le marché n’est pas assuré d’être auto-équilibrant puisque, dans certaines configurations des rendements d’échelle, de la différenciation de la qualité et du nombre et de la coordination des agents, il peut ne pas livrer de solution à la coordination d’une série d’actions décentralisées [11].
Pour faire image, la majorité des économistes considèrent que le marché est la solution aux problèmes de coordination entre agents interdépendants, alors que, pour les sciences sociales, la constitution du marché est le problème qu’il importe d’analyser. Fonction et fonctionnement du marché dans un cas, émergence et construction dans l’autre : les recherches économiques postulent en fait un mécanisme central dont elles ne fournissent pas la théorie, encore moins la genèse, tandis que les travaux de sociologie économique livrent une analyse de la genèse des marchés. Dans le marché au cadran étudié par Marie-France Garcia [12], c’est l’alliance d’un fonctionnaire de la chambre d’agriculture formé à la théorie néoclassique et des producteurs locaux, en conflit avec les grossistes, qui fait émerger une forme de marché plus conforme à la concurrence parfaite. C’est un mécanisme beaucoup plus subtil qui est à l’œuvre dans la constitution de l’image et des marchés des vins de Bourgogne étudiés par Gilles Laferté [13]. Alors qu’au début des années 1920 les négociants organisent le marché à leur profit en reléguant les appellations d’origine et en créant de nouvelles marques, l’irruption d’un petit nombre de nouveaux acteurs, tel Jules Lafon, va permettre de (ré)inventer une tradition et faire basculer le modèle organisationnel du marché au profit des propriétaires et des appellations d’origine, construisant ainsi une nouvelle image des vins de Bourgogne. Cet exemple de marché, analysé comme construction sociale, dément la conception d’un champ comme espace de reproduction à l’identique. Un troisième exemple se trouve bien sûr dans l’analyse que Pierre Bourdieu fait de l’émergence du marché des maisons individuelles : c’est le résultat d’une double construction sociale portant à la fois sur la demande – à travers la formation des préférences individuelles et les aides en termes d’accès au crédit et de subventions publiques – et sur l’offre – par l’intermédiaire de l’action sur les constructeurs eux-mêmes [14]. Dans l’un et l’autre cas, l’État contribue à façonner ces deux composantes de ce qui apparaîtra ex post comme un marché. »
Note
[2] Stone age economics, 1972, trad. it. L’economia dell’età della pietra, Milano, Bompiani, 1980.
[3] Chronique des indiens Guayaki, Plon, 1972, La Société contre l’État, Minuit, 1974.
[4] Francis Huxley, Affable Savages: An Anthropologist Among the Urubu Indians of Brazil, 1957.
[7] Jacques Lesourne, Économie de l’ordre et du désordre, Paris, Économica, 1991.
[8] Joseph Stiglitz, « The Causes and the Consequences of the Dependence of Quality on Price », Journal of Economic Literature, 25, mars 1987, p.1-48.
[9] Michael Spence, « Job Market Signaling », The Quarterly Journal of Economics, août 1973, p.353-374.
[10] George Akerlof, « The Fair-Wage Hypothesis and Unemployment », The Quarterly Journal of Economics, 105(2), mai 1990, p.255-283.
[11] Harrison White, From Network to Market, Princeton, Princeton University Press, 2002.
[12] Marie-France Garcia, « La construction sociale d’un marché parfait : le marché au cadran de Fontaines-en-Sologne », Actes de la recherche en sciences sociales, 65, novembre 1986, p.2-13
[13] Gilles Laferté, « Folklore savant et folklore commercial : reconstruire la qualité des vins de Bourgogne. Une sociologie économique de l’image régionale dans l’entre-deux-guerres », thèse EHESS, décembre 2002.
[14] Pierre Bourdieu, Les Structures sociales de l’économie, Paris, Seuil, 2000.
Pour une remarquable vue d’ensemble, Francis Dupuy, Anthropologie économique, Armand Colin, Cursus, 2e édition, 2008. Dans ce livre Francis Dupuy expose les modalités de la pensée “traditionnelle”, les grands courants d’analyse ayant abordé ces questions, les rituels sociaux célèbres (potlatch, kula), la distinction entre sociétés du don et sociétés du marché, les rapports entre richesses et pouvoir, les rôles de la “monnaie primitive”, la force structurante des rapports de parenté, les visages de l’économie informelle.
– La revue Socio-anthropologie publie dans le n°7 (2000) un extrait commenté [6] d’un article devenu un classique : « L’anthropologie économique », de 1971, tiré d’un ouvrage aujourd’hui épuisé de Maurice Godelier.
– Frédéric Lordon, L’intérêt souverain, essai d’anthropologie économique spinoziste, La Découverte, 2006. Note de lecture : Matthieu Montalban, « Frédéric Lordon, L’intérêt souverain. Essai d’anthropologie économique spinoziste, Editions La Découverte, 2006. », Revue de la régulation, n°3/4, 2e semestre 2008, Varia, En ligne, mis en ligne le 15 novembre 2008.
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