Tratto da appunti del convegno “L’educazione degli adulti. Realtà e prospettive”, promosso dal Dipartimento di Scienze della persona e dal Dottorato di ricerca in Scienze pedagogiche a Bergamo, il 13 marzo 2009, con tagli e integrazioni.
Indice
1. La crisi dell’educazione degli anni ’70
2. L’educazione degli adulti: i modelli fondanti
2.1 Il modello inglese
2.2 Il modello danese
3. L’affermazione dell’educazione degli adulti
1. La crisi dell’educazione degli anni ’70
La crisi dell’educazione delle due principali agenzie educative, la famiglia e la scuola, sia in relazione ai modelli di riferimento sia a livello delle pratiche, diventa evidente negli anni ’70 [cfr. rapporto di Edgar Faure sulla crisi mondiale dell’educazione] .
Si tratta di una crisi a tutto campo, di legittimazione, credibilità e fiducia, che ha intaccato la naturale corrispondenza tra la società e l’educazione e posto le basi per un modo nuovo di affrontare l’educazione nelle società contemporanee.
Appare significativa, in questi anni, anche la proposta di descolarizzare l’educazione, a partire dai lavori di I. Illich e di E. Reimer, che segnalano la necessità di uscire dalla logica di un’educazione in funzione della società non adeguata alle esigenze di chi la frequenta.
Emerge così una concezione della formazione non più lineare e concentrata nella prima parte dell’esistenza, ma un impegno discontinuo e circolare che disegna l’alternarsi di formazione e attività lavorativa.
2. L’educazione degli adulti: i modelli fondanti
2.1.1 Il modello inglese
Nella prima metà dell’Ottocento, l’educazione degli adulti diventa un’esigenza fortemente sentita. Nascono associazioni private con finalità culturali che cercano di intervenire sul divario che si sta creando tra un rapido progresso dei beni materiali, legato ai processi di industrializzazione, e il basso livello di istruzione e di cultura delle masse.
Nei Mechanic’s Instutes si tengono letture e conversazioni dove adulti impegnati in arti meccaniche ascoltano spiegazioni su esperimenti scientifici semplici legati al loro lavoro.
Nel 1840 vengono istituite in tutto il regno le Public Halls, frequentate durante il giorno dai giovani e di sera dagli adulti lavoratori. Questo piano per l’educazione degli adulti fu seguito dall’apertura delle Università ai lavoratori, attuata adeguando gli orari e l’organizzazione dei corsi alle loro esigenze.
Tale democratizzazione emergeva da un lato dalla crisi del modello aristocratico, che prevedeva l’esclusiva delle capacità intellettuali e della cultura per le classi abbienti, nella nascente società di massa (con la connessa convinzione che la cultura intellettuale si potesse desiderare a qualsiasi età, a prescindere dal sesso e dalla classe sociale) e dall’altro, dall’idea che l’educazione fosse il migliore antidoto contro le agitazioni rivoluzionarie (controllo sociale).
L’educazione comincia quindi ad essere intesa come istruzione, cioè coltivazione in età adulta di competenze di base non sviluppate da ragazzi, e riscatto delle classi sociali popolari nella comprensione del mondo e del proprio lavoro.
2.1.2 Il modello danese
Nel modello danese, l’educazione degli adulti fa leva su finalità più spirituali, in particolare sulla possibilità dell’adulto di conquistare la libertà personale. Tale modello viene teorizzato dal pastore luterano Nicolai Grundtvig, il quale sostiene che ogni uomo per realizzarsi deve inserirsi nella realtà culturale e valoriale in cui vive, perché la sua stessa capacità di libertà, che lo contraddistingue dalle altre creature, non è la mera libertà individuale, ma attività per l’elevazione dell’intera collettività alla libertà.
“Chi vuole essere libero”, scrive Grundtvig, “deve desiderare che il suo vicino sia libero con lui”. “L’educazione deve rendere l’uomo consapevole dei suoi legami con la comunità, in riferimento alle tradizioni, alla sua vita e alla sua azione presente, alle sue responsabilità ed aspirazioni per il futuro”.
Nel 1844 apre la prima “hojskole” (scuola superiore popolare) in una fattoria. Qui l’educazione è diversa dall’istruzione tradizionale, perché si prefigge come primo obiettivo la gioia di imparare a essere, cioè di aiutare l’adulto a capire se stesso e la realtà in cui vive.
Il suo metodo è la “parola vivente”, cioè una forma di narrazione capace di emozionare e comunicare aspetti significativi della vita. Non vengono perciò utilizzati testi scritti e libri.
Le hojskole erano scuole residenziali i cui corsi duravano più mesi. Venivano accettati studenti appartenenti a tutte le classi sociali ai quali veniva proposto un curricolo attinente problemi culturali di interesse generale.
Il modello danese restò un approccio informale fino al 1982, anno in cui il governo istituzionalizzò all’unanimità le folkehoskoler, garantendo loro supporto finanziario rinunciando però a interferire sul piano dei contenuti.
Il confronto tra il modello inglese e quello scandinavo vede il secondo più aperto perché concepisce un’attività che va oltre la semplice istruzione. In entrambi i casi, però, la riflessione pedagogica è stata assente, configurandosi come educazione “riparativa”, priva d’intenzionalità educativa.
3. L’affermazione dell’educazione per adulti
Nella riflessione teorica tradizionale, l’educazione deve svolgersi entro un termine che coincide con il momento in cui l’allievo ha maturato libertà e responsabilità. In Italia questo paradigma entra in crisi negli anni ’60, negli anni del boom economico in cui la televisione diventa un bene di consumo di massa e diventa un mezzo d’istruzione, con programmi concepiti a questo scopo.
Sarà la TV, oltre alla leva militare e all’emigrazione sud-nord a dare agli italiani una lingua comune.
In questi anni cresce l’attività dell’UNESCO (nato nel 1945) che promuovere importanti conferenze internazionali sui processi educativi.
Nel convegno del 1969 di Montreal su “L’educazione degli adulti in un mondo in trasformazione”, teorici e politici si interrogano su “chi è l’adulto che ha bisogno d’interventi educativi?”.
Si risponde che l’adulto è chi vive e si confronta quotidianamente con una realtà in continuo cambiamento.
Il dibattito teorico si porta, quindi, sul concetto di continuità nell’educazione (prima teorizzazione della Long Life Education) che non riguarda solo coloro che non hanno ricevuto un’istruzione in età giovanile, ma tutti gli adulti, per prepararli ai cambiamenti della società e trovare le forme del migliore adattamento. L’educazione deve, dunque, aiutare gli adulti a capire i cambiamenti e controllarne gli effetti.
La lotta all’analfabetismo è al centro dell’attenzione per importanza e urgenza: l’educazione degli adulti rappresenta un ulteriore presidio sociale insieme ad altre forme educative.
Nel 1997, si tiene ad Amburgo la Conferenza dell’UNESCO su “Prospettive e proposte per l’educazione degli adulti”. È in questo contesto che viene enunciato ilo concetto di educazione permanente come quadro giustificativo di tutti i processi di formazione. Tutte le istituzioni educative, formali e informali, sono chiamate a un ripensamento che consenta alle
comunità di controllare il proprio destino e alla società di affrontare le sue sfide.
La relazione del 1996 dell’Unesco (redatta dalla Commissione Internazionale dell’Educazione, presieduta da J. Delors) e la dichiarazione finale della conferenza di Amburgo, attestano che l’educazione ha oggi una tale molteplicità di compiti e di forme da coprire tutte le attività che consentono alla persona, dall’infanzia alla vecchiaia, di acquisire una conoscenza dinamica del mondo, degli altri e di se stesso.
L’educazione degli adulti si inserisce così nel quadro dell’educazione nel corso di tutta la vita (Long Life Education) e assume un aspetto multidimensionale perché combina l’apprendimento non formale con quello formale e lo sviluppo di abilità innate con nuove competenze.
L’educazione degli adulti è quindi più che un diritto: la chiave per accedere al XXI secolo.
4. L’educazione degli adulti in Italia [cenni]
Durante gli anni ‘60, si sperimentano in Italia modi diversi di fare educazione degli adulti.
Nasce l’educazione popolare, intesa come alfabetizzazione di persone che non sanno leggere né scrivere, per motivare chi è rimasto escluso dall’educazione formale a riprendere in mano la propria formazione.
Nasce la Scuola di Bologna, organizzata dal Prof. Bertin, che propone un’educazione capace di attivare un cambiamento che aiuti le persone ad essere flessibili davanti agli eventi e alle scelte della propria vita; la Scuola dell’Università di Siena che punta sulla creatività e la capacità di essere critici rispetto alle esperienze della vita; la Scuola di Firenze del Prof. De Sanctis, che si concentra sulle proposte culturali che il territorio può offrire all’adulto (cinema, mostre, etc.) concependo l’educazione dell’adulto come partecipazione attiva agli eventi dei luoghi di vita.
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