Leggo dal sito della FLC-CGIL l’analisi di Marina Boscaino dei provvedimenti sulla scuola in cantiere con il DDL di stabilità. Dopo una descrizione realistica del risveglio dell’insegnante medio registrato in questi giorni, l’autrice dedica poche parole alla prossima misura già annunciata dal Ministro: l’insegnante direttore d’orchestra, della quale non ho ancora letto interpretazioni convincenti. A chi si chieda cosa intendesse dire il Ministro, suggerisco di guardare al mix “contenuti editoriali per la LIM” da un lato, “test INVALSI” dall’altro: quando la burocratizzazione del lavoro insegnante sarà ultimata e con lei la completa banalizzazione della scuola, gli insegnanti potranno lavorare senza stancarsi per ben più di 24 ore; il nostro cesserà di essere un lavoro di costruzione dell’intelligenza al servizio di un paese, per diventare un meccanismo di certificazione di conformità ad un sistema e di contestuale scarto degli inidonei.
Si tratta del più grave attacco alla scuola repubblicana e alla libertà d’insegnamento dal dopoguerra ad oggi, davanti al quale l’aumento in sé dell’orario di cattedra appare quasi un dettaglio insignificante.
«Le attività del docente nella scuola del futuro saranno diversificate, perché il docente diventerà un direttore d’orchestra in un sistema molto più complesso. Ci vorrà maggiore flessibilità, ci potrebbero essere persone che lavoreranno un po’ meno e altre un po’ più».
«Il Paese va allenato. Dobbiamo usare un po’ di bastone e un po’ di carota e qualche volta dobbiamo utilizzare un po’ di più il bastone e un po’ meno la carota. In altri momenti bisogna dare più carote, ma mai troppe».
Il progetto e la sofisticata visione del mondo del Ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo
Gli insegnanti, il cui orario settimanale è andato via via aumentando, sono diventati delle “macchine per vendere fiato”. Ma “la merce fiato” perde in qualità tutto ciò che guadagna in quantità. Chi ha vissuto nella scuola sa che non si può vendere impunemente fiato per 20 ore alla…settimana. La scuola a volerla fare sul serio logora. E se si supera una certa soglia nasce una “complicità dolorosa ma fatale tra insegnanti e studenti a far passare il tempo”. La scuola si trasforma in un ufficio, o in una caserma, col fine di tenere a bada per un certo numero di ore i giovani; perde ogni fine formativo.
Gli esiti, nell’articolo di Luigi Einaudi, Corriere della Sera del 21 aprile 1913
«L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».
Le ragioni per batterci, in Italo Calvino, Le città invisibili, 1972
«Per la sua legge il popolo ha da combattere
come per le sue mura».e la guida filosofica all’azione: Eraclito, fr. 44
Sembra che tutti – davvero – dovranno fare i conti con gli insegnanti. Sorprendenti disagio e mobilitazione in questi giorni: coinvolto anche chi finora ha reagito ai precedenti provvedimenti con inerzia. Tutti, e non solo deputati e senatori del Pd, che stanno ricevendo piogge di e-mail con domande nette: fino a quanto sono disponibili a dire no a un aumento autoritario del nostro orario di lezione? Per la cronaca: dopo 5 giorni di invii, pochissime sono le risposte, attentamente monitorate: i nostri voti non saranno, questa volta, a scatola chiusa. Tutti, perché il dissenso è trasversale e la questione delle 24 ore sta finalmente facendo emergere anche l’altra insidia che minaccia oggi la democrazia nella scuola: la pdl 953, controriforma degli organi collegiali. Mentre scrivo, leggo che la Commissione Bilancio della Camera ha approvato ALL’UNANIMITA’ alcuni emendamenti all’art.3 del ddl di Stabilità, ma nulla relativamente alla proposta indecente di aumentare di 1/3 l’orario di lezione dei docenti della secondaria senza incrementi di salario, prevista in quell’articolo, notizia poi smentita dal Pd. Bisognava davvero infierire ancora e in modo irrispettoso su chi, prendendosi cura dei nostri figli e nipoti, forma i futuri cittadini? Ce n’era bisogno, dopo la “cura da cavallo” di Gelmini, che ha tagliato 83mila cattedre? Dopo la caccia al fannullone inaugurata dai profeti del merito, ai quali Brunetta ebbe buon gioco di accodarsi, per ribadire la sua idea di scuola-caserma? Dopo le classi pollaio, dopo un concorso assurdo, umiliante e inutile?
Avevamo già capito – e da tempo – che la scuola pubblica non è al centro dell’interesse di coloro che negli anni ci hanno governato, se non come fonte di risparmio coatto: in nome di un totem ideologico – il liberismo – travestito da esigenza “tecnica” e assolutizzato. Ma non stiamo a piangerci addosso, né a rivendicare il fatto che di ore noi, quasi tutti, ne lavoriamo ben più delle 18 previste dal contratto: parliamo piuttosto di diritti violati e indignazione.
Trasversali sono le iniziative che si susseguono: dopo l’assemblea nazionale dei precari la scorsa settimana a Firenze (che ha deciso di ricorrere contro il concorso), mozioni di collegi dei docenti, presìdi, raccolte di firme, petizioni. Circolano sul Web lettere ferocissime, drammatiche, orgogliose, cui nessuno riserverà mai una risposta. Alcune scuole stanno pensando di protestare con azioni che ricadrebbero direttamente sugli studenti: blocco dei viaggi di istruzione e delle attività aggiuntive all’orario di insegnamento. C’è anche la proposta di recarsi davanti al Parlamento correggendo lì i compiti in classe e la lettera ai genitori, pubblicata sul sito Vivalascuola, per invitarli a riflettere sul disastro didattico che il provvedimento comporterà. La maggior parte preferisce condividere protesta e mobilitazione con le principali vittime delle dissennate politiche scolastiche degli ultimi anni. Come sta cercando di fare il Coordinamento nazionale «Per la scuola della Costituzione», che, per sostenere concretamente la mobilitazione, sta elaborando una proposta per una legge alternativa alla 953.
«Le attività del docente nella scuola del futuro saranno diversificate, perché il docente diventerà un direttore d’orchestra in un sistema molto più complesso. Ci vorrà maggiore flessibilità, ci potrebbero essere persone che lavoreranno un po’ meno e altre un po’ più».
Dopo il bastone e la carota, ecco un’a ltra perla di saggezza del Vate della Scuola 2.0, il ministro Profumo. Dalla trasformazione o sostituzione dell’insegnamento di religione cattolica, all’accorciamento di un anno di superiori, alle esternazioni sul concorso, al giovanilismo di maniera, al computer al posto degli insegnanti nelle classi con pochi alunni, non ne ha letteralmente azzeccata una. Come, ad esempio, l’ultima: un suo sito patinato, che nulla ha da invidiare agli spot dell’era Moratti, finora insuperato must del millantato credito istituzionale. Che scuola sogni? ci chiede il ministro con inopinata tempestività rispetto alla catastrofe che stiamo vivendo, dipingendo una scuola che hanno in mente solo lui e Vecchioni, che – testimonial inopportuno ci fa sempre più rimpiangere quando si limitava a cantare «Luci a San Siro» .
Chi paga per raccontarci una storia non vera, che parla di Lim, e-book, trascurando amianto e precariato? Abbiamo provato, alcuni di noi, a scrivere che il nostro sogno è che si dimetta e venga sostituito da un ministro che abbia un po’ più di rispetto per gli insegnanti. Ma non siamo stati pubblicati. Perché? Trasparenza è una delle formule retoriche passibili a deroghe di comodo. Eccone un’altra. Nonostante il risparmio sulla scuola pubblica continui a rappresentare la stella polare di questo governo (tanto che Giarda ha affermato che sono disposti a ritirare l’art. 3 del disegno di legge, quello relativo all’orario di lezione, purché si ottengano le stesse economie in altro modo) colpisce e offende che nello stesso provvedimento vengano previsti 233 milioni di contributo per la scuola non statale. Legislatura dopo legislatura, il sostegno alla paritaria continua a metter d’accordo tutti.
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