Martin Heidegger, Sul “senso comune” e il pensare

by gabriella

bloemaert_abraham_venditrice_di_uovaTratto da M. Heidegger, Schellings Abhandlung über das Wesen der menschlichen Freiheit, Niemeyer, Tübingen 1971, pp. 96-97. Traduzione di Eudia.org.

La cosiddetta “verità vicina alla vita” che caratterizzerebbe il sano intelletto umano (o “buon senso”) è un problema degno di interrogazione. Intorno al 1807, Hegel scrisse un articolo intitolato: Wer denkt abstrakt? («Chi pensa in modo astratto?»). Lo cito sempre volentieri giacché esso costituisce, secondo il mio giudizio, il migliore avviamento alla filosofia dell’idealismo tedesco e alla filosofia in generale, per quanto attiene al suo operare nel pensiero.

Pensare? In modo astratto? – Sauve qui peut. Si salvi chi può!

Sento già così esclamare un traditore che, assoldato dal nemico, strilla questo articolo, battendo sul fatto che in esso si parla di metafisica. Perché metafisica, così come in modo astratto e quasi anche pensare, sono parole al cui cospetto ciascuno fugge più o meno come di fronte all’appestato […].

Ehi, senta, vecchina, le sue uova sono marce! – dice la cliente alla venditrice.

– Cosa? – replica questa – le mie uova marce? Sarà marcia lei! Proprio lei viene a dirmi questo delle mie uova! Lei! Quando suo padre è stato divorato dai pidocchi sulla strada di campagna, quando sua madre è scappata con i francesi e sua nonna è morta all’ospizio! Farebbe meglio piuttosto a cambiare il suo fazzoletto sgargiante con una camicia come si deve! Si sa bene da dove le vengono quel fazzoletto e quel copricapo! Ah, se non ci fossero gli ufficiali, qualcuno adesso non sarebbe così ben acconciato, e se le graziose signore badassero un po’ di più al governo della loro casa, qualcuno starebbe in prigione, – e lei farebbe meglio a rammendarsi i buchi delle calze!” –

Insomma, la venditrice la concia per le feste. Ella pensa in modo astratto, e – avvalendosi del riferimento al fazzoletto, al copricapo, alla camicia, ecc., così come alle sue dita e ad altre parti del corpo, ed anche al padre e a tutta la sua parentela – sussume l’essere della cliente nella sfera di un crimine, quello di aver trovato marce le uova. Tutto in lei ha preso il colore di queste uova marce, mentre, al contrario, quegli ufficiali, di cui la venditrice ha parlato – ammesso che vi fosse qualcosa di vero, cosa di cui si può molto dubitare –, avevano forse avuto occasione di vedere in lei cose ben diverse».

«Ehi, senta, vecchina, le sue uova sono marce!»

La venditrice non vuol sapere affatto se le uova siano davvero marce o no, ma sente l’espressione «marce» come un rimprovero, e sente solo questo, e quindi impronta la sua replica interamente al seguente sentimento d’impatto:

«Se tu trovi marce le mie uova, allora io trovo marcia te!»

Questo modo comune di pensare lo troviamo con facilità ovunque e costantemente. Per esempio, si dice:

«Ogni scienza è oggettiva; altrimenti, infatti, sarebbe soggettiva. Non posso immaginare una scienza se non come oggettiva – ossia: tutto è o oggettivo o soggettivo, e basta».

Ma non ci si chiede se la scienza possa essere al tempo stesso oggettiva e soggettiva, cioè, in fondo, né l’una né l’altra, anzi non si ammette nemmeno la possibile attendibilità di un simile interrogare. Con quella proposizione “sulla scienza” si vuole dire qualcosa, cioè fare pur sempre un’affermazione filosofica, ma, al tempo stesso, ci si rifiuta di soddisfare le esigenze di fondo del pensare filosofico. Si ottiene il plauso del volgo, che si dà anche nel sapere scientifico; ma non si è compreso niente. Per familiarizzarsi proficuamente con le opere della filosofia, è necessario non restare attaccati a titoli e a opinioni, ma si deve invece entrare nel moto fondamentale del loro interrogare…

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