Tra il 29 settembre e il 5 ottobre di 75 anni fa la strage nazifascista di Marzabotto i cui morirono 775 persone, in gran parte donne e bambini.
Dopo l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema avvenuta il 12 agosto 1944, inizia quella che viene ricordata come “la marcia della morte” che attraversando Versilia e Lunigiana giunse al bolognese. Lo scopo era fare “terra bruciata” attorno alle formazioni partigiane nelle retrovie della linea gotica sterminando le popolazioni che le appoggiavano.
Nella zona circostante Monte Sole agiva con successo la brigata Stella Rossa che dalla posizione elevata ed impervia portava attacchi a strade e ferrovie che rifornivano il fronte. Già nel maggio del ’44 l’esercito tedesco aveva tentato un assalto ma era stato respinto come nei casi successivi durante l’estate. Così il feldmaresciallo Albert Kesselring decise di dare un duro colpo a questa organizzazione sterminando indiscriminatamente i civili e radendo al suolo i paesi circostanti. Già in precedenza Marzabotto aveva subito rappresaglie, ma mai così gravi come quella dell’autunno 1944.
Capo dell’operazione fu nominato il maggiore Walter Reder, comandante del 16º battaglione esplorante corazzato della 16. SS-Panzergrenadier-Division Reichsführer SS, sospettato a suo tempo di essere uno tra gli assassini del cancelliere austriaco Engelbert Dollfuss.
La mattina del 29 settembre, prima di muovere all’attacco dei partigiani, quattro reparti delle truppe naziste guidati da repubblichini, comprendenti sia SS che soldati della Wehrmacht, accerchiarono e rastrellarono una vasta area tra le valli del Setta e del Reno, utilizzando anche armamenti pesanti.
«Quindi – ricorda lo scrittore bolognese Federico Zardi – dalle frazioni di Pànico, di Vado, di Quercia, di Grizzana, di Pioppe di Salvaro e della periferia del capoluogo le truppe si mossero all’assalto delle abitazioni, delle cascine, delle scuole», e fecero terra bruciata.
Nella frazione di Casaglia di Monte Sole la popolazione atterrita si rifugiò nella chiesa di Santa Maria Assunta, raccogliendosi in preghiera. Irruppero i tedeschi, uccidendo con una raffica di mitragliatrice il sacerdote, don Ubaldo Marchioni, e tre anziani, rei di aver eseguito troppo lentamente l’ordine di uscire.
Le altre persone, raccolte nel cimitero, furono mitragliate: 197 vittime, di 29 famiglie diverse tra le quali 52 bambini. Fu l’inizio della strage: ogni località, ogni frazione, ogni casolare fu setacciato dai soldati nazisti e non fu risparmiato nessuno. Nella frazione di Caprara uccisero 107 persone, di cui 24 bambini.
Poco lontano da Caprara i tedeschi individuarono diversi casolari da dove rastrellarono 282 persone, tra loro 58 bambini e due suore, uccise a colpi di mitra. Nella frazione di Cerpiano altre 49 persone, tra cui 24 donne e 19 bambini, subirono la stessa sorte. Dal massacro si salvarono solo una maestra e due bambini.
Altre 103 persone furono uccise dai tedeschi lungo la strada per la frazione di Creva. In quest’ultima furono uccise 81 persone, tra gli uomini anche due sacerdoti. La violenza dell’eccidio fu inusitata: alcuni bambini furono gettati vivi tra le fiamme, dei neonati in braccio alle loro mamme furono decapitati e alla fine dell’inverno fu ritrovato sotto la neve il corpo decapitato del parroco Giovanni Fornasini.
Fra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, dopo sei giorni di violenze, il numero delle vittime civili era spaventoso: circa 770 morti. Le voci che immediatamente cominciarono a circolare relative all’eccidio furono negate dalle autorità fasciste della zona e dalla stampa locale (Il Resto del Carlino)[10], indicandole come diffamatorie; solo dopo la Liberazione lentamente cominciò a delinearsi l’entità del massacro [tratto da Wikipedia].
Commenti recenti