Cinquant’anni fa, a Piazza Fontana 17 persone morirono e 87 rimasero ferite. La strage alla Banca dell’agricoltura di Milano fu uno degli attentati più sanguinosi tra i 140 perpetrati tra il 1968 e il 1974. Era l’inizio della strategia della tensione.
Tutti i processi celebrati fino ad oggi hanno stabilito con certezza che un gruppo di neofascisti ideò ed eseguì l’attentato ordito da funzionari “deviati” dei servizi segreti, formula giornalistica che lascia in ombra la realtà, indicata dall’
autorevole opinione di esperti dello specifico contesto storico che tale supposta deviazione dissimulasse la fedeltà ai vertici politico-istituzionali e alle esigenze di un ordine sovranazionale, legato alla logica dei blocchi contrapposti di superpotenze e – più in generale – all’adesione dell’Italia a protocolli internazionali non conoscibili dall’opinione pubblica italiana. Dalla voce “Storia dei servizi segreti” di Wikipedia.
Nessuno dei responsabili è in carcere.
In coda al testo riepilogativo dei fatti, il video tratto dalla puntata de La notte della Repubblica di Sergio Zavoli dedicata a Piazza Fontana, e il saggio critico dedicato da Adriano Sofri al film di Marco Tullio Giordana, Romanzo di una strage.
Il 12 dicembre 1969, alle 16:37, 7 chili di tritolo contenuti in una borsa nera esplosero nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana.
Una seconda bomba venne rinvenuta inesplosa nella sede milanese della Banca Commerciale Italiana, in piazza della Scala. Vennero eseguiti i rilievi previsti e successivamente venne fatta brillare distruggendo in tal modo elementi probatori di possibile importanza per risalire all’origine dell’esplosivo e a chi aveva preparato gli ordigni. Una terza bomba esplose a Roma alle 16:55 dello stesso giorno nel passaggio sotterraneo che collegava l’entrata di via Veneto della Banca Nazionale del Lavoro con quella di via di San Basilio, ferendo tredici persone. Altre due bombe esplosero a Roma tra le 17:20 e le 17:30, una davanti all’Altare della Patria e l’altra all’ingresso del museo del Risorgimento, in piazza Venezia, ferendo quattro persone.
Si contano dunque, in quel tragico 12 dicembre, cinque attentati terroristici, concentrati in un lasso di tempo di appena 53 minuti, che colpiscono contemporaneamente le due maggiori città d’Italia: Roma e Milano.
Sebbene la vicenda sia tuttora oggetto di controversie, le responsabilità di questi attacchi possono essere ricondotte a gruppi eversivi di estrema destra, che miravano a un inasprimento di politiche repressive e autoritarie tramite l’instaurazione di un clima di tensione nel paese.
Le indagini vennero orientate inizialmente sulle attività dei gruppi anarchici, il Circolo anarchico 22 Marzo in cui militava Pietro Valpreda, e il Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa da cui veniva Pinelli che fu fermato quello stesso giorno e interrogato a lungo in Questura. Il 15 dicembre, dopo tre giorni di interrogatori, Pinelli precipita dal quarto piano della questura milanese e muore. L’inchiesta giudiziaria, coordinata dal sostituto procuratore Gerardo D’Ambrosio, individuò la causa della morte in un “malore attivo”, in seguito al quale l’uomo sarebbe caduto da solo, sporgendosi troppo dalla ringhiera del balcone della stanza: l’autopsia non fu mai pubblica e fu accertato (senza considerare la versione di Pasquale Valitutti) che il commissario Calabresi non era nella stanza al momento della caduta.
Il 16 dicembre viene arrestato Pietro Valpreda, indicato dal tassista Cornelio Rolandi come l’uomo che era sceso quel pomeriggio dal suo taxi in piazza Fontana, recante con sé una grossa valigia. Rolandi ottenne anche la taglia di cinquanta milioni di lire disposta per chi avesse fornito informazioni utili. Il giorno dopo il Corriere della sera titolò che il “mostro” era stato catturato, e il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat indirizzò un assai discusso messaggio di congratulazioni al questore di Milano Guida avvalorando implicitamente la pista da lui seguita.
In 38 anni, non è mai stata emessa una condanna definitiva per la strage, anche se Carlo Digilio, neofascista di Ordine Nuovo, ha confessato il proprio ruolo nella preparazione dell’attentato e ottenuto nel 2000 la prescrizione del reato per il prevalere delle attenuanti riconosciutegli, appunto, per il suo contributo.
Il 3 maggio 2005 la Corte di Cassazione ha assolto definitivamente gli ultimi indagati[14] (Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni, militanti di Ordine Nuovo condannati in primo grado all’ergastolo) scrivendo però nella sentenza che con le nuove prove – emerse nelle inchieste successive al processo milanese nel 1972 e alla definitiva assoluzione nel 1987 – gli ordinovisti veneti Franco Freda e Giovanni Ventura sarebbero stati entrambi condannati[1]. Attualmente non vi è alcun procedimento giudiziario aperto in quanto la condanna arriva tardiva, oltre il terzo grado di giudizio.
Dopo 38 anni, la morte di Pinelli è ancora oggetto di discussione, sebbene la Magistratura si sia pronunciata in modo univoco, nel senso della morte accidentale dell’anarchico.
A metà degli anni novanta Carlo Digilio sostenne di aver ricevuto una confidenza in cui Delfo Zorzi gli raccontava[15] di aver piazzato personalmente la bomba nella banca. Zorzi, trasferitosi in Giappone nel 1974, è diventato un imprenditore di successo, ottenendo la cittadinanza giapponese che gli ha garantito poi l’immunità da ogni vicenda giudiziaria. Il Giappone infatti ha rifiutato le richieste di estradizione dall’Italia.
In seguito della tragica morte di Pinelli, il commissario Luigi Calabresi, incaricato delle indagini, pur non essendo presente nella stanza dove era interrogato Pinelli al momento della sua caduta dalla finestra, in circostanze non ancora chiarite, sarà oggetto di una dura campagna di stampa, petizioni e minacce da parte di gruppi di estrema sinistra e di fiancheggiatori, che ebbero il risultato di isolarlo e renderlo vulnerabile.
Oltre settecento tra intellettuali, scrittori, uomini di cinema e artisti (alcuni dissociatisi negli anni seguenti) firmarono una celebre petizione pubblicata dall’Espresso il 27 giugno 1971, che iniziava così:
“Il processo che doveva far luce sulla morte di Giuseppe Pinelli si è arrestato davanti alla bara del ferroviere ucciso senza colpa. Chi porta la responsabilità della sua fine, Luigi Calabresi, ha trovato nella legge la possibilità di ricusare il suo giudice.”
Il 17 maggio 1972 Luigi Calabresi è stato assassinato da militanti di Lotta Continua.
Tratto da http://it.wikipedia.org/wiki/Strage_di_piazza_Fontana
Qui, il saggio scritto da Adriano Sofri per contestare la tesi del film di Marco Tullio Giordana, Romanzo di una strage.
Qui una recensione a Il segreto di Piazza Fontana (di Paolo Cucchiarelli) sulla cui trama si basa la sceneggiatura di Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana.
Per concludere, le recensioni decisamente critiche sulla ricostruzione dei fatti operata da Marco Tullio Giordana, di Girolamo De Michele e Christian Raimo.
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