Coloro che sono ignoranti non mostrano il proprio genio perché pare che non ne abbiano affatto. Allo stesso modo l’intelligenza altamente sviluppata non appare perché viene celata. E’ solo la pseudo-erudizione che si manifesta apertamente.
Yagyu Munenori
Miyamoto Musashi (1584-1645). Dal Go Rin no Sho
Alcuni a tutt’oggi si mantengono con l’arte della spada (kendo) tuttavia si limitano a insegnare le “tecniche” della scherma. Recentemente i monaci shintoisti ispirati dagli dei hanno fondato le loro scuole di scherma e girano per il paese insegnando l’arte.
Da sempre si considera l’arte del vantaggio come una delle arti tradizionali, ma quando parliamo di essa non dovremmo limitarci alla sola tecnica della spada.
Se ci guardiamo attorno ci rendiamo conto che tante arti sono venali. Persino gli uomini si vendono; inventano marchingegni per trafficare meglio invece di di mettere a disposizione la propria competenza. E’ un po’ come separare il seme dal fiore e attribuire maggior valore al fiore. Questo comportamento li spinge a vantarsi delle proprie capacità per sbalordire il prossimo. Avendo una generica familiarità con le tecniche di scherma insegnate nelle diverse scuole, cercano il loro tornaconto insegnando o apprendendo solo queste. Purtroppo la conoscenza superficiale della materia è spesso più nociva dell’ignoranza assoluta.
Mi piace paragonare l’arte della guerra all’attività dell’artigiano e più esattamente a quella del carpentiere, che costruisce le case. L’ideogramma del carpentiere significa “grande abilità” e lo stesso vale per i principi dell’arte della guerra. Se volete apprendere l’arte della guerra leggete questo mio libro e meditate.
Il maestro è l’ago il discepolo il filo. Per conoscere a fondo è necessario esercitarsi con grande abilità. Se vogliamo paragonare l’arte della guerra al carpentiere, potremmo dire che il condottiero è il maestro carpentiere: egli conosce i segreti dell’arte, il territorio e le esigenze delle persone per cui si costruisce l’edificio. Questa è la via del maestro carpentiere. Il maestro carpentiere studia le misure dei templi e i progetti delle case e provvede alla loro costruzione. Il capo di un clan militare agisce in maniera analoga. Quando si vuole innalzare un edificio si procede innanzitutto a un’accurata scelta dei materiali: il legno più bello e senza nodi viene utilizzato per i rivestimenti esterni; quello nocchiuto, ma robusto, per le strutture di sostegno interne; il legno più leggero, ma senza difetti, per le soglie, le porte scorrevoli e gli architravi decorativi; il legname più scadente, purché sia solido, serve per le impalcature e successivamente per il fuoco. Il maestro che recluta altri carpentieri deve conoscere il grado di preparazione di ciascuno per poter distribuire i singoli incarichi: l’allestimento della sala principale, del portone, delle porte scorrevoli, degli architravi, dei soffitti; i meno preparati faranno i manovali e i garzoni. Pianificando i compiti dei singoli addetti si può accrescere la produttività. Per operare con precisione e rapidità nulla deve essere lasciato al caso. Il maestro deve conoscere le capacità e i limiti dei suoi collaboratori e deve stimolarli quando è opportuno, senza tuttavia pretendere l’impossibile. Anche la strategia militare deve seguire questa linea di condotta.
Come un soldato anche il carpentiere affila i suoi strumenti, ne cura la manutenzione e li porta con sé in una custodia. Egli segue le istruzioni dei superiori, foggia le travi e le colonne, predispone le scaffalature, intaglia il legno per le decorazioni. Con grande perizia esegue questi compiti. E’ questa l’arte del carpentiere; quando ne conoscerà tutti i segreti diverrà anch’egli un maestro. Gli strumenti del carpentiere devono essere sempre affilati per permettergli di intagliare altari domestici, mobili, lanterne, scrittoi. Quando non è occupato, il carpentiere si dedica ai suoi strumenti. Anche il guerriero deve fare così.
Yagyu Munenori(1571-1646) dal Libro delle tradizioni familiari dell’arte della guerra
I maestri dell’arte della guerra non possono essere definiti esperti finché non hanno abbandonato ogni forma di attaccamento alle proprie abilità.
Un mendicante chiese a un antico saggio:
“Qual è la Via?”
Il saggio rispose:
“Il pensiero normale è la Via”.
Il principio di questa storia è applicabile a tutte le arti. Questo è lo stadio in cui esistono indisposizioni dl pensiero. Quando l’individuo è diventato normale nella mente, egli sta bene anche quando attraversa un periodo di indisposizione.
Supponete che stiate tirando con l’arco e che, mentre lo fate, pensiate proprio all’azione che state compiendo: la vostra mira sarà incerta. Quando maneggiate una spada se siete coscio di maneggiare una spada la vostra mossa non avrà alcuna presa. Quando state scrivendo, se siete consapevole di scrivere, la vostra penna oscillerà. Anche quando suonate l’arpa, se siete conscio di suonare l’intonazione sarà errata.
Quando un arciere dimentica la consapevolezza del tiro, il tiro sarà sicuro. Quando si usa una spada o si cavalca, non “si maneggia una spada” né “si cavalca”; non “si scrive” né “si suona della musica”. Quando si compie un’azione e ci si trova nello stato della “normalità” del pensiero, come quando si è totalmente inattivi, allora tutto procede senza inconvenienti e con successo.
Qualunque cosa facciate, quella è la “Via”. Se siete ossessionato da una certa azione o pensate che essa sola sia importante per voi, allora quella non è la Via. E’ quando non avete pesi che vi opprimono il petto che vi trovate sulla Via. Qualunque cosa facciate, se la fate così, essa riuscirà facilmente.
Questo è così, ma se vi fissate su di esso, allora non è più così. In questo modo, ogni cosa si riflette chiaramente nello specchio proprio a causa della purezza del suo riflesso. Il cuore di coloro che sono alla ricerca della Via è come uno specchio, vuoto, chiaro e senza pensiero ma in grado di riflettere qualunque cosa. Questa è la “mente normale”. Chi fa tutto in stato di “mente normale” è chiamato esperto. Qualunque cosa uno faccia, se continua a pensare all’idea di di farla e la fa concentrandosi attentamente su di essa, non riuscirà. La farà bene una volta, e quando pensa che vada bene allora la farà male. Se ci si rallegra di averla fata bene due volte di seguito e male una, allora la sia farà male di nuovo. Non si è certi di farla bene solo per il fatto di concentrarvisi. Quando si accumula lavoro e la pratica aumenta, la preoccupazione di sviluppare una certa abilità sparisce come per incanto e si acquisisce rapidamente spontaneità e libertà dalla consapevolezza. In questi momenti uno non conosce neppure se stesso, e il corpo, i piedi e le mani agiscono senza mettere in azione la mente. Non si sbaglia mai, dieci volte su dieci. Anche allora se sarete di nuovo coscienti non ce la farete. In caso contrario avrete sempre successo. Tuttavia, il non essere consciamente concentrati non significa totale assenza di pensiero, bensì “pensiero normale”.
Dovete rendervi conto che quando fate pratica, sia da principiante che per tutto il cammino verso la saggezza immutabile, dovete tornare allo stato di principiante. Lasciate che ve lo spieghi servendomi delle arti marziali: all’inizio non conoscete né la giusta posizione né come si maneggia una spada, così non avete nulla da considerare mentalmente. Se qualcuno vi colpisce non fate altro che combattere, senza pensarci troppo. Poi quando apprendete alcune cose quali la posizione, la tecnica della spada, dove posare l’attenzione eccetera. la vostra mente è occupata da più elementi e vi trovate impedito quando volete attaccare. ma se voi praticate giorno dopo giorno e mese dopo mese, la postura e la tecnica della spada, non fisserete più la vostra attenzione e sarete come un principiante che non sa nulla.
In questo senso si dice che il principio e la fine sono la stessa cosa, come uno e dieci si avvicinano quando uno ha contato da uno a dieci. O anche come la nota più bassa e quella più alta di una scala musicale che sono attaccate nel ciclo successivo. Proprio come la nota più bassa e quella più alta si somigliano, i Budda rappresentano lo stadio più alto dell’essere umano, pur dando l’impressione di non sapere nulla né di Budda né di buddismo, e non avendone neppure l’aspetto esteriore. Perciò l’inconsapevole indugio al principio e l’immutabile saggezza alla fine si fondono. La tendenza a razionalizzare svanirà e voi potrete riposare in uno stato in cui non vi è ansietà di sorta. Coloro che sono ignoranti non mostrano il proprio genio perché pare che non ne abbiano affatto. Allo stesso modo l’intelligenza altamente sviluppata non appare perché viene celata. E’ solo la pseudo-erudizione che si manifesta apertamente.
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