No Tav e pecorelle

by gabriella

Un anno e mezzo della vita di Marco Bruno, il giovane no Tav che diede della pecorella a un carabiniere in tenuta antisommossa, condannato oggi (18 maggio 2014) a quattro mesi di reclusione per oltraggio a pubblico ufficiale. Da Internazionale, luglio 2013.

 

PECORONE BASTARDO
LA TUA VITA SARÀ UN INCUBO
LA TUA BOCCA È UNA FOGNA CHE VOMITA SOLO MERDA PUTRIDA!!!
INSULTI E SPUTI SU UN RAGAZZO UMILE (CHE COMPIE SOLO IL PROPRIO DOVERE) MERITANO LEZIONE CHE PUNIRÀ TUA FAMIGLIA
UOMINI D’ONORE VERRANNO A SPUTARE
TUA LURIDA COMPAGNA E LA BASTARDA DI TUA FIGLIA.
VIGLIACCO, TUA VITA SARÀ UN INFERNO.
OCCHIO X OCCHIO.

Una delle duecento lettere anonime ricevute da Marco Bruno nella primavera 2012. Sintassi riprodotta fedelmente. Timbro postale di Catania.

1. Tronchesi (domenica 23 ottobre 2011)

Mi chiamo Marco Bruno, sono nato a Torino il 19 gennaio del 1984. La mia famiglia ha origini calabresi. Mio papà è di Cicala, vicino a Catanzaro. Sono cresciuto ad Avigliana, in val di Susa, e adesso vivo a Giaveno, in Borgata Dalmassi, con la mia compagna Arianna e nostro figlio Pietro, che quand’è iniziata tutta ’sta storia aveva un anno e mezzo, mentre io ne avevo ventisette e Arianna trenta compiuti da poco.

Arianna lavora in un asilo nido. Io e alcuni amici abbiamo una cooperativa sociale, si chiama Amico. Ha la sede ad Almese e il magazzino a Sant’Ambrogio. Ci occupiamo di varie cose: verde pubblico, giardinaggio, ingegneria naturalistica, opere murarie, manutenzione di sentieri. Lavoriamo anche con l’azienda che gestisce la raccolta dei rifiuti in valle. Il presidente della cooperativa è don Luigi, che fino a poco tempo fa era il parroco di Almese, adesso l’hanno trasferito a Bussoleno.

Come la maggioranza di chi vive qui, sono un No Tav. La nostra terra sono anni che è in stato d’assedio e io, come tutta la mia famiglia e i miei amici, partecipo alle lotte contro un’opera che ci viene imposta con la forza e che è costosissima, inutile, pericolosa.

La quarta domenica di ogni mese, a parte d’inverno quando fa troppo freddo, io e Arianna vendiamo oggetti usati al mercatino delle pulci di Giaveno. Per l’uso del suolo pubblico, ogni volta si fa domanda scritta alla concessionaria del servizio, che è la pro loco. Si pagano 25 euro di plateatico e due marche da bollo da 14 euro e 60. Il mercatino dura dalle sette di mattina alle sei di sera.

Il 23 ottobre era una di quelle domeniche. Ma quel giorno c’era anche una manifestazione importante, la marcia Diamoci un taglio, che voleva dire: tagliamo le reti. In valle “le reti” vuol dire le recinzioni del cantiere in val Clarea.

Nell’area della Maddalena che sta tra Giaglione e Chiomonte, c’è un cantiere di 29mila metri quadri che – lo abbiamo detto tante di quelle volte! – è illegale. I lavori sono partiti senza che fosse approvato un progetto esecutivo. È anche protetto da recinzioni che sono abusive, perché non le trovi in nessuna carta progettuale. E infatti il comune di Chiomonte ha fatto un’ingiunzione, ha detto alla Ltf (Lione-Torino Ferroviaria) che quelle reti van buttate giù. Quella mattina un po’ di gente della valle e di amici della lotta No Tav dovevano trovarsi a Giaglione alle 10.30, e tutti insieme si sarebbe marciato fino alle reti, per tagliarle e aprire varchi. Un’azione da fare “a mani nude, a volto scoperto e a testa alta”, com’era scritto in tutti i comunicati e i volantini.

Io non potevo andare perché, appunto, avevo il mercatino.

Due sere prima avevo caricato in macchina, una Renault Mégane Scenic del ’99, un po’ di attrezzature, per fare lavori di muratura in casa. Stavamo ristrutturando quella che doveva diventare la camera di Pietro, per metterci il riscaldamento a pavimento. Il sabato, insieme al mio collega Bruno, abbiamo fatto la soletta. Quando abbiamo finito, era tardi e mi ero dimenticato del mercatino. Me l’ha ricordato Arianna, così in fretta e furia ho caricato di roba il furgone, un Transporter Volkswagen dell’86, e il resto che non ci stava l’ho buttato in macchina. Là dentro c’è sempre un gran casino, roba di lavoro e poi tanti giocattoli, perché Pietro è un bambino che in macchina urla a manetta.

La domenica mattina, alle sei e mezza, prendo il furgone e vado a “piazzare”, cioè a montare la bancarella. Lo faccio sempre io, perché col bimbo piccolo Arianna non può venire così presto. Lei mi raggiunge dopo due ore, in macchina con Pietro. Mi dà il cambio alla bancarella, io prendo Pietro e lo porto dai miei ad Avigliana. È autunno, fa già abbastanza freddo e non possiamo tenerlo tutto il giorno lì con noi.

Quando arrivo dai miei, mio papà mi chiede se posso dargli un passaggio a Giaglione. Era d’accordo con un collega per andare insieme alla marcia, ma quello gli ha tirato il pacco. Giaglione è a quaranta chilometri da lì, con il ritorno diventano ottanta e io non ce la faccio, mi va via mezza mattinata. Ma so che un po’ di No Tav di Avigliana si trovano in piazza del Popolo per partire insieme, forse un passaggio lo trova lì. E così lascio Pietro a mia madre, carico mio papà e lo porto in piazza.

A tenere d’occhio la gente c’è una volante dei carabinieri, che sta all’ingresso della piazza, a qualche centinaio di metri dal capannello. Mentre gli passo davanti, vedo che mi guardano. Scarico mio papà, riparto, ripasso davanti alla volante, di nuovo mi fissano, poi nel retrovisore vedo che salgono in macchina e si muovono, e penso: mi vengono dietro sicuro, ma non sono preso male, perché penso di non aver niente da temere.

Poco fuori Avigliana mi fermano, mi fanno scendere, controllano i documenti poi si mettono a perquisire l’auto, mi fanno aprire questo e quello… Per terra trovano un paio di tronchesi, quelle che uso sul lavoro e che ho usato il giorno prima, per tagliare il tondino e fare l’armatura della soletta. Sono tronchesi grandi, lunghe settanta centimetri. Sulla cappelliera, invece, trovano una parrucca castana, capelli lisci, tipo Cleopatra. Mia cugina l’ha comprata a Londra. Ci sarebbe anche un vestito, in una busta davanti al sedile del passeggero, un abito femminile con lustrini e strass. È roba che mia cugina ha prestato ad Arianna perché tra una settimana è Halloween e all’asilo fanno una festicciola. Loro però si concentrano sulla parrucca, quest’oggetto misterioso e affascinante…. Poi aprono il cofano e tirano fuori dallo zaino i miei scarponi da lavoro, la giacca impermeabile e il casco che mi metto quando faccio abbattimenti in montagna, deforestazione. Un vecchio casco di quelli a scodella, che non sono neanche più a norma per andare in motorino.

Mi tengono lì mezz’ora, e intanto fanno un sacco di telefonate. Nella loro testa, pensano di aver trovato il perfetto kit del facinoroso No Tav: le tronchesi servono senz’altro a tagliare le reti, il casco per fare gli scontri e la parrucca per “travisarsi”, come dicono loro. Infatti noi, di solito, andiamo a tagliare le reti con la parrucca da Cleopatra, e magari con rossetto e tacchi alti.

Siamo a cinquanta chilometri dal cantiere. Non ho commesso nessun reato, non c’è niente che mi colleghi con la manifestazione. Se volevo andare a Giaglione ci portavo mio papà, invece l’ho scaricato in piazza del Popolo. Ho la ricevuta del plateatico, prova che quel giorno lì ho in programma di fare il mercatino. Sono cose che potrei dire, se me le chiedessero, ma invece di chiedermi qualcosa, mi lasciano lì impalato e telefonano a non so chi. Intanto Arianna è da sola. A un certo punto gli dico: “Se il problema sono le tronchesi e la parrucca, prendetele e lasciatemi andare, poi domani passo in caserma”, ma niente da fare.

Alla fine mi sequestrano tronchesi, casco e parrucca, poi mi portano in caserma ad Avigliana, ma evidentemente non basta, così mi portano a Rivoli. Porco zio, cinquanta chilometri e passa per portarmi in una caserma più importante, si vede che mi hanno promosso a soggetto pericoloso!

A Rivoli mi fanno la foto segnaletica, mi prendono le impronte digitali e buttano giù un verbale di denuncia lungo tre pagine. “Porto di oggetto atto a offendere la persona”.

Art. 4 comma 2 della legge n. 110, 18 aprile 1975, nella versione modificata dal decreto legge n. 204 del 26 ottobre 2010:

Senza giustificato motivo, non possono portarsi, fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, bastoni muniti di puntale acuminato, strumenti da punta o da taglio atti ad offendere, mazze, tubi, catene, fionde, bulloni, sfere metalliche, nonché qualsiasi altro strumento non considerato espressamente come arma da punta o da taglio, chiaramente utilizzabile, per le circostanze di tempo e di luogo, per l’offesa alla persona, gli strumenti di cui all’art. 5, quarto comma, nonché i puntatori laser o oggetti con funzione di puntatori laser di classe pari o superiore a…

Finalmente mi lasciano andare e posso tornare a Giaveno. Racconto ad Arianna quello che mi è successo, poi devo spiegarlo ai miei.

Almeno la manifestazione è andata bene: più di 15mila persone di ogni età, su per sentieri in mezzo ai boschi, hanno aggirato posti di blocco e tagliato pezzi di reticolato. Si chiama “disobbedienza civile”. A usare le cesoie sono state soprattutto donne, anche un po’ in là con gli anni, tutte della valle. Così non potranno parlare di black bloc o “infiltrati venuti da fuori”. E tutto senza un solo incidente, neanche una gocciolina di sangue da far ciucciare ai vampiri dei tg.

Una decina di mesi dopo mi rinviano a giudizio. Mi processeranno al tribunale di Susa.

 

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