10 Gennaio, 2023

Simone de Beauvoir, Donna non si nasce, si diventa

by gabriella

Simone De Beauvoir (1908 – 1986)

Pubblicato nel 1946, Il secondo sesso [trad. it. Milano, Euroclub, 1979; pp. 14-18; 27-28] è una fondamentale riflessione sulla donna, ricca di riferimenti storici, filosofici, antropologici. Il punto di partenza di Simone de Beauvoiu è che la donna diventa tale accettando le costrizioni che la vogliono subordinata, «altro» rispetto all’«uno». Secondo sesso rispetto al primo, quello maschile.

Se la sua funzione di femmina non basta a definire la donna, se ci rifiutiamo anche di spiegarIa con «l’eterno femminino» e se ciò nonostante ammettiamo che, sia pure a titolo provvisorio, ci sono donne sulla terra, dobbiamo ben proporci la domanda: che cosa è una donna?

L’enunciazione stessa del problema mi suggerisce subito una prima risposta. È significativo che io lo proponga. A un uomo non verrebbe mai in mente di scrivere un libro sulla singolare posizione che i maschi hanno nell’umanità. Se io voglio definirmi, sono obbligata anzitutto a dichiarare: «Sono una donna»; questa verità costituisce il fondo sul quale si ancorerà ogni altra affermazione. Un uomo non comincia mai col classificarsi come un individuo di un certo sesso: che sia uomo, è sottinteso. È pura formalità che le rubriche: maschile, femminile appaiono simmetriche nei registri dei municipi e negli attestati d’identità.

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9 Gennaio, 2023

Paolo Ercolani, La filosofia delle donne: uguaglianza, differenza, indifferenza. Nancy Fraser, Come il femminismo divenne l’ancella del capitalismo

by gabriella

adamo-ed-evaDopo un’efficace panoramica della tradizione pagana e cristiana del pregiudizio di genere, Ercolani si sofferma sul pensiero femminista tra affermazione della differenza e ricerca dell’uguaglianza, con condivisibili osservazioni finali ispirate dal Manifesto per un nuovo femminismo e particolarmente dal contributo di Sara Giovagnoli. Dal Rasoio di Occam.

Indice

1. Un antico pregiudizio
2. Fra tradizione pagana e cristiana
3. Uguaglianza e differenza
4. Per un nuovo femminismo tra Freud ed Hegel
5. Nancy Fraser, Come il femminismo divenne l’ancella del capitalismo

 

1. Un antico pregiudizio

Che si tratti di un essere fisiologicamente connaturato al male, capace di accoglierlo e di produrlo (e riprodurlo?) in maniera perfino inimmaginabile da parte dell’uomo, è convinzione radicata e agevolmente riscontrabile nel panorama culturale dell’Occidente.

Se è la prima donna Eva a convincere il primo uomo Adamo a disobbedire al volere divino, introducendo così nel mondo il peccato e soprattutto la morte, secondo la chiosa di S. Paolo (Biblia sacra: Rom 5,12), morte che Dio non aveva previsto originariamente per la sua creatura prediletta (Biblia sacra: Sp 2,24); è sempre una donna, stavolta la moglie, a tentare il buon Giobbe, descritto di per sé come «integro e retto, timorato di Dio ed estraneo al male», esortandolo a maledire Dio per tutti i colpi gratuiti ricevuti (Biblia sacra: Gb 1,1 e 2,9).

Né le cose andavano meglio nella cultura della Grecia antica, dove la donna era vista come un essere irrazionale e ferino, sostanzialmente portatore di discordie, guerre e, infine, morte. Nel poema esiodeo de Le opere e i giorni è Pandora, una donna, colei che recita il ruolo di portatrice dei doni che gli dèi fanno agli uomini (fra i quali proprio le donne), dando in questo modo inizio alle interminabili sciagure che da quel momento li avrebbero colpiti (Esiodo, Opere e giorni: vv. 80-82).

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21 Dicembre, 2022

Melissa Pignatelli, Cos’è l’identità? E’ in realtà una domanda sulle differenze

by gabriella

[…] l’identità non solo non ha nulla di essenziale, di puro, di definito o  perdurante nel tempo, ma emerge per contrasti e contrapposizioni di caratteristiche che conferiscono una peculiarità temporale sia alle persone che ai gruppi di persone che si riconoscono in una certa selezione del senso del sé.

Nella definizione proposta da Dizionario di Antropologia di Ugo Fabietti e Francesco Remotti, leggiamo infatti che:

“Il discorso sull’identità a livello della persona come dei gruppi è strettamente connesso a una riflessione sulle differenze, siano esse culturali, di genere, o etniche. Questo sia che si considerino i contesti di comunicazione e contrapposizione fra il sé e l’altro, sia che si studino le diverse forme di raggruppamento da cui è costituita la realtà sociale: la dimensione dell’identità personale e il discorso sulle identità sociali e culturali sono strettamente correlati, poiché i modelli attraverso cui vengono interpretati i sé e gli altri possono essere considerati come espressioni simboliche della cultura. E’ inoltre implicito in questa tematica il problema della continuità, cioè l’analisi di quegli elementi costitutivi che, nel tempo, conferiscono alla persona o a una collettività le sue caratteristiche peculiari, permettendo di distinguerla dalle realtà che la circondano”.

In questo senso, nei momenti di confronto con identità che si costituiscono attorno ad orizzonti di significati diversi da quelli in cui ci riconosciamo possono emergere delle criticità (i.e. viaggio, trasloco, emigrazione, etc.). Infatti nel ricercare un senso, un’etichetta, una categoria, una classificazione di persone che si aggiungono ad un determinato gruppo sociale, le difficoltà nell’includere nel gruppo originario sembrano appartenere più a coloro che considerano la loro identità come assodata in maniera imperitura piuttosto che a coloro che la vedono come parte di un flusso di significati che circola e si ricostituisce sulla superficie di un mondo sempre più interconnesso.

E prosegue così Alice Bellagamba, autrice della voce identità nel sopracitato dizionario:

“Non è infatti possibile pensare l’identico (ciò che si conserva per un certo periodo simile a se stesso) se non tracciando un confine rispetto all’altro: l’uomo circondato dalla non umanità, la nobiltà del libero sullo sfondo della naturalità dello schiavo, la comunità dei vivi e le sue relazioni con il mondo degli antenati. In ogni società esiste un paradigma di principi di base per l’identificazione e la differenziazione delle persone.

Sul piano teorico l’identità non è un oggetto dotato di autonomia e di realtà, anche se talvolta l’antropologia stessa sollecitata dalle situazioni incontrate, può essere tentata di fornire un supporto realista alle rivendicazioni identitarie, elaborando gli strumenti attraverso cui gruppi o persone si richiamano al singolare e al locale. Essa è piuttosto come ricorda Levi-Strauss un luogo virtuale al quale è necessario far riferimento per spiegare una pluralità di fenomeni e di cui è opportuno osservare i processi di produzione e riproduzione: si tratta infatti di un progetto in cui si ritrovano simultaneamente coinvolti i singoli e le formazioni sociali. All’interno dei quadri culturali che modellano le abitudini e le memorie gli attori sociali operano infatti delle scelte di identificazione, variabili in intensità, natura e livello, attraverso cui vengono posti in gioco i rapporti con la società e le istituzioni nel loro complesso, da un lato e con i gruppi e le comunità locali dall’altro”.

L’identità si configura dunque come un processo in fieri nel quale siamo tutti contemporaneamente coinvolti e che contribuiamo a costruire e ridefinire, produrre e riprodurre in quel flusso inarrestabile di senso e di significati che scandiscono il fluire della nostra vita quotidiana.

Melissa Pignatelli 

Fonte: Identità in Dizionario di Antropologia, a cura di Ugo Fabietti e Francesco Remotti. Voce a cura di Alice Bellagamba, Zanichelli, Bologna, 1997.

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21 Dicembre, 2022

L’apprendimento negli ambienti d’apprendimento

by gabriella

ragazza studiosaNegli ambienti d’apprendimento, come la scuola, si impara in molti modi diversi.

Aspetti consapevoli ed inconsci entrano in gioco nella motivazione, nell’attenzione, nelle convinzioni limitanti, nel rinforzo e in una serie di vincoli e condizionamenti che agiscono attraverso la didattica, la relazione docente-allievo e il clima di classe.

 

Indice

1. La motivazione ad apprendere

1.1 Le lavagne vuote di Skinner e la motivazione «estrinseca»
1.2 Il disequilibrio cognitivo di Bruner e la motivazione «intrinseca»
1.3 L’autorealizzazione di Maslow

      1.3.1 Il desiderio innato di conoscere e la gerarchia dei bisogni
     1.3.2 Il paradosso della motivazione: la Legge di Matteo

1.4 La motivazione non è una premessa ma un risultato (non solo individuale, ma del sistema)

              1.4.2.1 Il modello svedese
1.4.2.2 Le differenze storiche tra i sistemi educativi svedese e italiano e i punti forza di quello italiano

 

2. L’analisi dei livelli di aspirazione

2.1 Lo studio di Ferdinand Hoppe su come costruiamo i nostri obiettivi

2.1.1 Susan Harter e il principio di sfida ottimale


2.2
La motivazione al successo e i motivi di chi teme l’insuccesso

 

3. L’apprendimento negli ambienti d’apprendimento

3.1 L’apprendimento scolastico
3.2 Le difficoltà e i disturbi di apprendimento

 

4. Il clima di classe e la relazione docente-allievo

      4.1 La paura di sbagliare e l’impotenza appresa
      4.2 L’effetto Pigmalione

5. I diversi tipi d’apprendimento

5.1 Intelligenza operativa e intelligenza riflessiva

 

1. La motivazione ad apprendere

«Scegli un lavoro che ami e non dovrai lavorare un solo giorno in vita tua».

Confucio, Massime, VI secolo a. C.

Il primo fattore ad influenzare la qualità e la velocità dell’apprendimento è la motivazione, vale a dire la spinta emotiva a studiare e l’interesse per l’oggetto dell’apprendimento che fanno nascere il desiderio (eros) di impadronirsene.

Platone (427 – 447 a.C.)

Nel pensiero occidentale il primo ad affermare che educazione ed apprendimento hanno a che fare con l’eros è stato Platone (V a.C.). Per il filosofo, infatti, l’amore per qualcosa è legato alla percezione di una mancanza che fa nascere il desiderio di possederla.

Miguel Benasayag

Recentemente, gli psichiatri Miguel Benasayag e Carl Schmit hanno parlato dell’interesse per il sapere come del«la volontà di sapere e comprendere per abitare il mondo», capace di sconfiggere la tristezza e il vuoto dell’epoca contemporanea [Benasayag, Schmit, L’epoca delle passioni tristi, 2004].

Per i due psichiatri, infatti, la conoscenza è uno strumento di orientamento indispensabile per riconquistare il proprio equilibrio interiore e dare senso al caos contemporaneo.

La psicologia ha interpretato in modo differente la motivazione: per i comportamentisti è legata essenzialmente a gratificazioni esterne, mentre per Bruner e gli psicologi umanisti è il frutto di un bisogno interiore che l’oggetto della motivazione, che si tratti di uno sport, di un hobby o di una disciplina scolastica, soddisfa.

Vediamo le tesi principali.

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22 Novembre, 2022

Dal sistema Speenhamland alle Workhouse

by gabriella

Workhose

In un periodo in cui l’Inghilterra stava affrontando anni di raccolti scarsi, con il prezzo del grano che continuava a salire senza la possibilità di poterlo importare dall’Europa, a Speenhamland, un distretto a sud del paese, alcuni magistrati si riuniscono in una locanda del villaggio di Speen e decidono di riformare completamente l’assistenza ai poveri. Si trattava di una innovazione sociale ed economica per quei tempi, fondata sul “diritto di vivere”.

Fino ad allora, infatti, secondo quanto regolamentato dall’Act of Settlement del 1662, il lavoratore era legato alla propria “parrocchia”. La Speenhamland Law liberalizzava i lavoratori da queste “corporazioni” e contestualmente prevedeva un sistema di sussidi da aggiungere ai salari. L’idea era di assicurare un reddito di base soprattutto ai poveri e alle loro famiglie indipendentemente dai loro guadagni per raggiungere un adeguato livello di sussistenza. Le quote da assegnare a ogni componente della famiglia sarebbero state quantificate sulla base del prezzo del pane.

In poco tempo il sistema si diffuse in tutto il sud dell’Inghilterra e, in particolare, nelle aree rurali e nei distretti manifatturieri.

Nel 1832 il governo di Londra avviò un’indagine a livello nazionale sulle condizioni di lavoro, sulla povertà delle zone rurali e sul “sistema Speenhamland” per quella che, scrive Rutger Bregman nel libro Utopia for Realists, è stata considerata la più ampia indagine governativa della storia.

Il rapporto finale di 13mila pagine giungeva alla conclusione che il piano sperimentato era stato disastroso perché aveva portato a un’esplosione demografica, alla riduzione dei salari e al degrado della classe operaia inglese.

Tra il 1960 e il 1970, il rapporto venne riletto da alcuni storici che scoprirono che buona parte del testo del rapporto finale era stata scritta prima della raccolta dei dati e che solo il 10% dei questionari distribuiti era stato compilato. Quasi nessuna delle persone intervistate era tra le beneficiarie del sussidio.

Tale falsificazione si legava evidentemente alla necessità di creare un mercato del lavoro libero da vincoli e a basso costo attraverso cui alimentare l’industrializzazione britannica.

Nel 1834 il “sistema Speenhamland” viene quindi smantellato definitivamente e, sulla base del rapporto, parzialmente truccato, venne approvato il Poor law amendment act, che segnò una netta inversione di tendenza nella gestione delle politiche assistenziali: l’assistenza veniva subordinata a condizioni così restrittive da renderla meno appetibile del lavoro salariato.

Lo sciopero divenne illegale (Combination Law, 1799) e l’organizzazione operaia considerata associazione a delinquere per commettere atti di vandalismo contro la proprietà.

Saint Peter’s Field, 16 agosto 1819, la carica della cavalleria contro una manifestazione di 80.000 persone che fece 684 morti e passata alla storia come massacro di Peterloo (da Waterloo)

Un Orfan Working School dell’età vittoriana

Nel 1834, il Poor Law Amendament Act (o New Poor Law) istituisce le workhouse, luoghi di lavoro coatto dove venivano rinchiusi vagabondi, orfani, disoccupati. Si realizzava, così l’idea, concepita oltre cento trent’anni prima da John Locke, che i poveri e i senza lavoro dovessero essere internati e forzati al lavoro, come misura di sicurezza pubblica e di moralizzazione individuale.

In questo contesto era nata, nei primi decenni dell’800, l’agitazione industriale  detta luddismo (1811-16) dal nome di Ned Ludd, protagonista  – probabilmente immaginario – dei primi sabotaggi, e il luddismo agrario che usava il nome del capitano Swing (1830-31).

Tali agitazioni che vengono represse con decine di impiccagioni e centinaia di deportazioni in Australia, rappresentavano una risposta a cambiamenti che avevano ripercussioni su tutto il loro stile di vita; cioè – come osservava un contemporaneo, al fatto

«che il lavoro adulto non abbia più valore di quello dei bambini o delle donne; [che] i lavoratori uomini sono ridotti a meri osservatori ed esecutori di voleri della macchina che non richiede per gran parte delle sue operazioni un impegno fisico o intellettuale; [così che] il maschio adulto ha iniziato ad andare via ed è stato sostituito da coloro che nell’ordine tradizionale delle cose dipendevano da lui per il loro sostegno. [Questo] ha preparato la strada alla rottura dei legami che tenevano insieme una società e che erano le basi della felicità domestica e del valore nazionale» [P. Gaskell, Artisans and machinery, 1836, cit. in K. Robins, F. Webster, Tecnocultura (1999), trad. it., 2003, p. 81]. 

Lord Byron (1788 – 1824)

Quando, nel 1812, il Parlamento inglese votò il Frame Breaking Bill che infliggeva la pena capitale a chi distruggeva i telai meccanici – reato allora punito con la deportazione da 7 a 14 anni – alla Camera dei Lord solo George Byron si espresse in modo contrario, sferzando i lord con ironia:

Gli operai, nella cecità della loro ignoranza, invece di rallegrarsi dei perfezionamenti in queste arti così vantaggiose per il genere umano, si considerarono vittime dei progressi meccanici. Nella loro follia immaginarono che l’esistenza e il benessere del popolo fossero questione di maggior importanza dell’arricchimento di alcuni individui, conseguenza del perfezionamento negli strumenti del lavoro che lasciano l’operaio senza collocamento. […]

Ma immaginiamo che una tale legge sia adottata; immaginiamo uno di quegli uomini, quali io ne ho visti … smunti dalla fame, immersi in una cupa disperazione, incuranti di una vita che le Signorie Vostre apprezzano forse meno di un telaio… immaginiamo quell’uomo circondato dai figli ai quali non può dare pane neppure a rischio della vita, in procinto di vedersi strappato per sempre da una famiglia che la sua pacifica industria aveva fino allora sostenuta, e per la quale non può più far nulla… immaginiamo un tal uomo, e ce ne sono delle migliaia in questa situazione fra i quali potete scegliere le vostre vittime; immaginiamolo trascinato dinanzi a un tribunale per esservi giudicato per questo nuovo misfatto in virtù di questa nuova legge; ebbene, mancheranno ancora due cose, secondo me, per giudicarlo e condannarlo, cioè… dodici becchini per giurì, e un Jefferies per giudice! [il giudice Jefferies, attivo sotto Giacomo II, nel XVII secolo, passò alla storia per la sua spietatezza unita al servilismo verso il sovrano, NDR].

17 Novembre, 2022

Zenone e la dimostrazione per assurdo

by gabriella

achille e la tartarugaI paradossi di Zenone di Elea, discepolo di Parmenide, sono il primo esempio che la filosofia abbia fornito di dimostrazione dialettica o per assurdo (reductio ad absurdum) di una tesi. Questo tipo di argomentazione logica consiste nell’assumere temporaneamente un’ipotesi e svilupparne le conseguenze così da giungere ad una conclusione assurda e dimostrare, di conseguenza, che l’assunto originale è errato.

Per difendere la logica eleatica contro le obiezioni del senso comune e la testimonianza dei sensi e ribadire la rigorosa argomentazione di Parmenide contro la realtà del divenire (se il divenire è totalmente altro rispetto all’essere, allora è non essere, nulla) Zenone avrebbe ideato 40 paradossi (parà, cioè “contro” la doxa, l’opinione corrente) a sostegno dell’unità e indivisibilità dell’essere.

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9 Novembre, 2022

Thomas More, Utopia

by gabriella

Thomas More (1478 – 1535)

Analizzando dunque e valutando dentro di me la situazione degli stati esistenti, non riesco a vedere altro – Dio mi perdoni – che una cospirazione dei ricchi, i quali, nel nome e per conto dell’autorità pubblica, non fanno altro che curare i propri interessi privati. […] I ricchi si avvalgono dei loro subdoli sistemi nel nome dello stato, cioè anche nel nome dei poveri, e così diventano legge.

Thomas More, Utopia, II

Il De optimo reipublicae statu deque nova insula Utopia (qui la versione italianaqui l’originale  inglese) è un dialogo in due libri pubblicato da Thomas More nel 1516 e divenuto subito notissimo non solo tra gli intellettuali umanisti ma anche tra gli anabattisti, che per i suoi contenuti politici lo inclusero tra i propri riferimenti dottrinari, e tra i luterani che, per le stesse ragioni, lo circondarono di ostilità.

Il termine utopia è un neologismo coniato da More che presenta un’ambiguità di fondo: Utopia“, infatti, può essere intesa come la latinizzazione sia di Εὐτοπεία (eutopeia), frase composta dal prefisso greco ευ– che significa positività, bontà, e τóπος (tópos), che significa luogo, seguito dal suffisso -εία (quindi ottimo luogo), che di Οὐτοπεία, (outopeia) considerando la U iniziale come la contrazione del greco οὐ (non), cioè non-luogo, luogo inesistente o immaginario. Il significato del neologismo di Moro sembra essere quindi la congiunzione delle due accezioni, ovvero l’ottimo luogo (non è) in alcun luogo, che è divenuto anche il significato moderno della parola utopia.

utopiaL’autore dedicò l’opera a Peter Gilles, umanista olandese amico di Erasmo, che nel dialogo compare come un giovane in vista della città di Anversa, nella quale More si era recato per affari personali dopo essere stato inviato dal re d’Inghilterra a Bruges, nelle Fiandre, in missione diplomatica. E’ proprio Gilles a presentargli il forestiero Raffaele Itlodeo, un marinaio portoghese

«di una certa età, dal viso abbronzato ed una folta barba ed un mantello cadente su una spalla» – cito dalla (pessima) edizione curata da Franco Cuomo, Roma, Newton, 2010, p. 20 –

che dalle sue peregrinazioni in mezzo mondo aveva ricavato esperienze molteplici e straordinarie, la principale delle quali era un lungo soggiorno nell’isola di Utopia:

«i mostri – osserva infatti More – non fanno più notizia. Sembra che non vi sia luogo della terra che non sia popolato di spaventose creature, votate a terrorizzare gli esseri umani o a divorarli, mentre non è affatto facile trovare comunità socialmente evolute» (p. 23).

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8 Novembre, 2022

Alessandro Dal Lago, La xenofobia contemporanea secondo l’etnografia

by gabriella
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Hannah Arendt (1906 – 1975)

L’introduzione a Lo straniero e il nemico, analisi etnografica dell’ostilità crescente verso gli stranieri nelle società contemporanee.

A partire da Abramo, la condizione dello straniero respinto dalla città è un mito fondativo della tradizione ebraico-cristiana. Popolo per definizione di stranieri, nell’esilio egiziano o nella cattività babilonese, tra le genti di Canaan o sotto il tallone romano, nella diaspora e nelle persecuzioni che ne scandiscono la storia fino allo sterminio, gli ebrei incarnano il doppio ruolo di matrice della nostra cultura e di testimonianza della sua storica colpa.

La definizione weberiana degli ebrei come popolo-pariah, che Hannah Arendt (1951; 1975) riprenderà in un’accezione non più descrittiva ma propositiva (la condizione di pariah come premessa di una possibile libertà politica), sottolinea l’estraneità che il cosiddetto Occidente alberga in se stesso.

Per molti secoli (almeno fino alla comparsa degli zingari), gli ebrei saranno l’unico popolo veramente straniero in Europa, straniero in quanto impossibile da identificare con un territorio e con uno Stato, e quindi confinato in ghetti, sottoposto a regolamenti e statuti particolari e vessatori, oggi tollerato nelle città e domani cacciato o abbandonato ai pogrom.

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26 Ottobre, 2022

Cristina Cecchi, Il Neolitico e l’origine della diseguaglianza

by gabriella

Uno stralcio dell’articolo sulla diseguaglianza di Cristina Cecchi, pubblicato da Micromega.

Per ricostruire l’origine della diseguaglianza ci si può servire dei dati archeologici disponibili per i popoli antichi e dei dati antropologici per i popoli contemporanei [delle società tradizionali]. È l’operazione compiuta da Kent Flannery e Joyce Marcus con l’opera The Creation of Inequality: How Our Prehistoric Ancestors Set the Stage for Monarchy, Slavery, and Empire, pubblicato da Harvard University Press per la prima volta nel 2012 e tuttora inedito in Italia.

Chiunque siamo, ovunque viviamo, qualunque lingua parliamo, qualsiasi siano i nostri costumi e le nostre credenze e il colore della pelle, all’incirca due milioni di anni fa i nostri progenitori vivevano in Africa, erano neri ed erano eguali.

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17 Ottobre, 2022

La comunicazione

by gabriella

Comunicazione verbale e paraverbale

I canali della comunicazione, la comunicazione verbale, non verbale, paraverbale, le discrepanze comunicative e gli assiomi di Watzlawick, Beavin e Jackson.

Indice

1. I canali della comunicazione

1.1 Il non verbale

 

2. Le discrepanze comunicative
3. Gli studi della scuola di Palo Alto

3.1 Relazione e contesto
3.2 La prospettiva sistemico-relazionale
3.2 Scambi di informazioni
3.4 I bersagli polemici della scuola di Palo Alto

 

4. Gli assiomi della comunicazione

4.1 È impossibile non comunicare
4.2 Metacomunicazione
4.3 Punteggiatura
4.4 Comunichiamo sia con il modulo numerico che con il modulo analogico
4.5 Tutti gli scambi comunicativi sono simmetrici o complementari

 

5. Il paradosso pragmatico e il double bind

 

6. La prossemica

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