Banksy ha pubblicato un breve filmato che lo ritrae mentre dipinge i muri degli edifici distrutti a Gaza.
L’artista si filma in prima persona, mentre entra a Gaza passando dai tunnel sotterranei che collegano la striscia all’Egitto, fingendo di proporre una nuova destinazione turistica allo spettatore occidentale:
“Make this the year you discover a new destination”,
o di illustrare le opportunità economiche che si aprono in un paese raso al suolo dove non è ancora stato consentito di far entrare del cemento.
Fra gli edifici distrutti dall’esercito israeliano durante l’ultima operazione militare si ergono i graffiti dell’artista, donne che piangono, bambini che giocano su una giostra costruita attorno a una torre di vedetta dell’esercito di Tel Aviv e un gattino che osserva un cumulo di rifiuti nascosto fra i detriti della città distrutta. Il video si conclude con la frase, scritta su un muro crivellato dai colpi:
If we wash our hands of the conflict between the powerful and the powerless we side with the powerful, we don’t remain neutral.
Se ci laviamo le mani del conflitto fra potenti e oppressi stiamo dalla parte dei potenti e non possiamo rimanere neutrali.
Il coda al testo, l’ultimo lavoro di Bansky: l’albergo fuori dal muro che promette la peggior vista al mondo.
L’insieme di abitudini e stili di vita che caratterizzano la nostra esistenza affonda le sue radici in un sistema sociale che costituisce il campo di indagine della sociologia.
La nostra vita quotidiana è costantemente condizionata, nel rapporto con gli altri, dalle regole, dalle convenzioni, dal linguaggio, dalle abitudini che condividiamo con essi e dalle aspettative che reciprocamente nutriamo nei confronti del comportamento altrui. La nostra esistenza risulterebbe certamente assai più difficile se in ogni relazione con altri uomini dovessimo ogni volta stabilirne i codici,le modalità comunicative, le regole.
L’impegno dell’intellettuale, e, perciò, dell’uomo di scuola, è una missione di liberazione, di affrancamento per ricomporre la unità di tutte le forze nazionali in una marcia più decisa e più sollecita nella direzione della democrazia, come i molti additano, e i migliori vogliono.
Carmelo Scifo
Lo spirito della Resistenza nella Carta costituzionale
La lezione di democrazia, di libertà, di giustizia e di pace, che ci viene dalla Resistenza vale per tutti: per quelli che credono nella storia, per quelli che non ci credono e per quelli che non la conoscono.
Essa è ormai scritta nel cuore e nella coscienza del popolo, nelle cronache, nelle opere storiografiche, nei documenti politici e militari di quelle giornate, nei canti, nei diari scritti dagli stessi patrioti, nelle lettere dei condannati a morte, nelle stampe e nei fogli clandestini, ma soprattutto in termini giuridici è contenuta nella Costituzione repubblicana, alla quale deve ispirarsi la scuola se si vuole che la società italiana avanzi secondo l’ordine nuovo del progresso civile.
A Condorcet (Jean-Antoine de Caritat, marchese di Condorcet) si deve la teoria più completa della scuola repubblicana che il filosofo sviluppa in due testi capitali: i Cinq mémoires sur l’instruction publique, pubblicato nel 1791, e il Rapport sur l’instruction publique, del 1792.
Nelle Cinque memorie, per la prima volta l’idea filosofica dell’istituzione scolastica è pensata nella sua complessità e in rapporto con la sovranità popolare,cioè con l’idea che l’istruzione (pubblica statale) sia l’unico strumento capace di rendere effettivo l’esercizio dei diritti di libertà ed eguaglianza.
Proteggere i saperi da ogni potere, vedere in ogni allievo un titolare di diritti, difendere l’istruzione pubblica dagli interessi particolari e dall’utilità immediata, sono gli altri temi cruciali di quest’opera. Condorcet pensa che istruire non significhi né informare, né conformare, quanto costruire un’educazione nazionale, cioè creare le condizioni per il progresso e il benessere del popolo francese e di ogni altro popolo libero.
Di seguito la traduzione della Prima memoria condotta da Mauro Poggi e me sulla versione digitale dell’opera curata dall’Università del Québec (Uqac). E’ lasciato in azzurro il testo in lingua originale delle altre quattro memorie e del Rapport sur l’instruction publique.
Cinque memorie sull’istruzione pubblica
Prima memoria: Natura e oggetto dell’istruzione pubblica
I. La società deve al popolo un’istruzione pubblica II. La società deve anche un’istruzione pubblica relativa alle diverse professioni III. La società deve ancora l’istruzione pubblica come strumento di perfezionamento della specie umana IV. Motivi per stabilire più livelli nell’istruzione comune V. L’educazione pubblica deve legarsi all’istruzione VI. E’ necessario che le donne condividano l’istruzione data agli uomini
Seconda Memoria: Dell’istruzione comune per i bambini
I. Primo grado di istruzione comune II. Studi del primo anno III. Dei maestri
Nella raccolta di articoli seguente, ho messo in relazione i risultati di studi e ricerche in campo biologico sullo sviluppo del cervello e gli importanti esperimenti di Webb e Rosenzweig sul ruolo dell’ambiente nello sviluppo dell’intelligenza.
Indice
1. Lo sviluppo del cervello fetale
1.1Cervello e DNA 1.2Gli stadi di sviluppo del cervello fetale 1.3I meccanismi di sviluppo dei nervi e del cervello
2.Il ruolo delle prime esperienze nello sviluppo del cervello
Pablo Pineda è un insegnante a attore spagnolo nato nel 1975 con la sindrome di Down. E’ stato il primo ragazzo europeo con Trisomia 21 a laurearsi (in Scienze della formazione).
Con il video Si podemos, girato con il gruppo di ragazzi down dell’Obra social di Madrid, la sua storia ha superato i confini della Spagna. Dall’età di sedici anni conduce trasmissioni televisive, rilascia interviste, gira film. La sua interpretazione in Yo tambien, una storia d’amore tra un ragazzo down e una ragazza normodotata, è stata premiata al Festival internazionale del film di San Sebastiàn. [Sottotitoli miei, traduzione di Greta Dormentoni. Attivarli cliccando sull’icona ]
In questa intervista, pubblicata da El Pais, il 12 dicembre 2003 e tradotta in italiano dal blog di Gigi Cortesi, Pablo Pineda ricostruisce la propria infanzia e la propria educazione. Il sevillano, ora trentanovenne, noto per essere stato il primo portatore di sindrome di Down a laurearsi, vi descrive la sua lotta per l’abbattimento del pregiudizio e dell’esclusione verso i ragazzi down, combattuta con il coraggio e l’abnegazione di chi ha qualcosa di più importante di se stesso a cui pensare [per approfondire, L’intelligenza].
La prima notizia che la mia era la sindrome di Down la ebbi a sei o sette anni. Un professore universitario che portava avanti il Progetto Roma¹, don Miguel Garcia Meleto, nell’ufficio del rettore mi domandò: ‘sai che cos’è la sindrome di Down?’. Io, innocentemente, gli dissi di si, anche se non ne avevo idea. Lui lo notò e si mise a spiegarmi che cosa fosse, anche se non era un genetista, ma un pedagogista. E io, siccome sono puntiglioso e ho una certa acutezza mentale, gli chiesi: ‘don Miguel, sono stupido?’ .
D. Perché glielo domandò?
Non so. E’ difficile saperlo. Chissà, se a sei anni ti associano ad una sindrome, tu lo associ al fatto di essere stupido o no. Lui mi disse che non ero stupido, e io gli domandai: “potrò continuare a studiare?”. Lui mi disse: “Si, certo”. Poi cominciò il processo della strada ; i bambini cominciarono a dirmi: “Poverino è malato”. E io mi infuriavo, perché non ero malato.
Come nasce il gesto violento e omicida dell’uomo sulla donna. Qual è il portato della società patriarcale di cui non riusciamo a liberarci. Come realizzare una “educazione sentimentale” che porti il maschio all’accettazione dell’altro come libertà e non come oggetto?
Dopo l’introduzione dei test INVALSI e davanti al proliferare dei test d’accesso ai corsi di Laurea, ho cominciato, non senza dubbi e perplessità, a introdurre nel lavoro scolastico prove a risposta chiusa.
Nelle righe sottostanti, un piccolo resoconto etnografico dell’impatto di questi test su ragazzi abituati a prove di altro tipo, come i miei studenti di Filosofia di quinta di qualche anno fa.
Non credo alla tv, vende la gente lesa, io leggo libri, leggo solo per autodifesa, sapere più degli altri è la chiave per non farti comandare e io non voglio comandarti.
L’impronta ecologica misura la “porzione di territorio” ( sia essa terra o acqua ) di cui un individuo, una famiglia, una comunità, una città, una popolazione necessita per produrre in maniera sostenibile tutte le risorse che consuma e per assorbire i rifiuti.
È, quindi un efficace metodo di misurazione per valutare l’impatto dell’uomo sull’ecosistema terrestre.
Dei 51 miliardi di ettari di superficie complessiva del pianeta, solo 15 miliardi sono rappresentati dalle terre emerse e le aree modificate direttamente da interventi umani (pascoli, campi, superfici edificate, strade ecc.) rappresentano circa il 35% delle terre emerse.
Dividendo la terra e il mare produttivi per il numero di esseri umani che abitano il pianeta e togliendo la superficie necessaria alle altre specie, cioè alla conservazione della biodiversità, emerge che per gli esseri umani rimane 1,98 ettari a testa.
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