5 Settembre, 2017
by gabriella
La riflessione dell’autrice sul tema dell’identità, prende le mosse da due fondamentali contributi: Contro il fanatismo [Feltrinelli, Milano 2010] di Amos Oz e Intervista sull’identità [Editori Laterza, Roma-Bari 2003] di Zygmunt Bauman.
Obiettivo di Elena Giorza è cercare di fornire un quadro delle principali posizioni attualmente diffuse sull’identità personale e mostrarne i limiti in relazione alla fondamentali sfide storiche, politiche e culturali della contemporaneità.
Le concezioni esaminate sono:
1. la concezione degli individui come isole separate e autonome e in uno stato neutrale rispetto alle persone
2. la prospettiva che fonda l’appartenenza su un’identità comunitaria forte e omogenea
3. la concezione che rifiuta la costruzione di identità personali forti in quanto ostacolo alla tolleranza e anche alla libertà individuale vista come avere tutto e subito.
Seguendo Bauman, l’autrice sostiene la tesi che di fronte agli attuali problemi rappresentati da multiculturalismo, globalizzazione, inclusione digitale, l’identità debole sia una soluzione inefficace e pericolosa, perché produce intolleranza, esclusione, fondamentalismo, conflitto. Assumendo come meta ideale la comunità universale kantiana, inclusiva dell’intero genere umano, la sola soluzione sembra essere quella di una “identità forte”, capace di non “dissolversi” nella società liquida e di non sentirsi minacciata dall’altro.
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5 Settembre, 2017
by gabriella

Un giovane nativo rappresenta se stesso per i bianchi
In questo brano tratto da L’identità etnica. Storia e critica di un concetto equivoco [Roma, Carocci, 1995, pp. 129-132] l’antropologo illustra, attraverso il caso degli indiani Uroni, le modalità dell’etnogenesi, cioè il modo in cui un gruppo costruisce la propria identità e si prepari a farne uso politico.
Un tipico caso problematico di definizione dell’indianità è costituito dalla comunità degli Uroni del Québec, la provincia di lingua francese dello Stato canadese. […] Gli Uroni hanno un passato tragico. Stanziati lungo le sponde del lago che oggi porta il loro nome – il lago Huron – essi prosperarono fino a quando, alla metà del XVII secolo, si incontrarono con i francesi. Questi li chiamarono Uron, da hure, che nel francese del tempo voleva anche dire “selvaggio”. Gli Uroni invece chiamavano se stessi Wendat, probabilmente “coloro che parlano la stessa lingua”.
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5 Settembre, 2017
by gabriella
Uno stralcio da Lo specchio dell’uomo sulla diversità culturale, suggerito da Marco Aime, Ciò che noi siamo [Loescher, 2012], con esercitazione. Lavorando a coppie, rispondi alle domande e pubblica il testo nel padlet di classe (non dimenticare di indicare i propri nomi).


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5 Settembre, 2017
by gabriella

Lezione numero uno: l’identità culturale è una costruzione le cui componenti sono il risultato di prestiti, innesti, acquisti da altre storie e culture. L’idea della purezza delle origini, della linearità di una tradizione è dunque un’aspirazione ingenua, un errore.
Il brano è tratto da Marco Aime, Ciò che noi siamo [Loescher, 2012].

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29 Agosto, 2017
by gabriella
Un’utile ricognizione del tema dell’attendibilità delle informazioni web con interessanti strumenti per definirla concretamente. Tratto da Pensierocritico.eu.

Una ricerca condotta dalla ricercatrice
Gitte Landgaard ha dimostrato che un gruppo di volontari, sottoposti alla visualizzazione flash di un centinaio di website, ha maturato un’opinione inconscia (positiva o negativa) su ognuno di essi, in un tempo di circa 50 millesimi di secondo.
A supporto delle sue ricerche la Landgaard cita i risultati di alcuni studi neurofisiologici (Damasio 2000, LeDoux 1992, Ekman 1992), che hanno evidenziato come, in presenza di uno stimolo visivo il sistema limbico (cioè il nostro cervello emotivo), viene interessato prima che questo stimolo possa essere interpretato dalla neocorteccia (il nostro sistema cognitivo).
Quando una persona guarda la pagina di un website, il suo sguardo impiega alcune decine di secondi prima che egli possa maturare un’opinione conscia del suo interesse per quella pagina.
In un tempo molto più breve, la stessa persona ha però maturato un’opinione inconscia del suo gradimento estetico, indipendente dalla qualità e usabilità di quel website.
Per approfondire andare alla pagina fisiologia della visione.
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29 Agosto, 2017
by gabriella

Giorgio Agamben
Il testo della lezione inaugurale del corso di Filosofia Teoretica dell’a.a. 2006-2007 che Agamben ha tenuto presso la Facoltà di Arti e Design dello IUAV di Venezia.
Contemporaneo è l’inattuale, osserva il filosofo, colui che sa vedere «come un male, un inconveniente, un difetto, qualcosa di cui la sua epoca va giustamente orgogliosa» [F. Nietzsche, Considerazioni inattuali, II, 1874].
Il contemporaneo è una singolare relazione col proprio tempo, che aderisce a esso e, insieme, ne prende le distanze, è un’abilità particolare, che equivale a neutralizzare le luci che provengono dall’epoca per scoprire la sua tenebra, il suo buio speciale. In G. Agamben, Che cos’è il contemporaneo e altri scritti, Roma, Nottetempo, collana I sassi, 2010, pp. 22-33.
1. La domanda, che vorrei iscrivere sulla soglia di questo seminario, è:
“Di chi e di che cosa siamo contemporanei? E, innanzitutto, che cosa significa essere contemporanei?”
Nel corso del seminario ci capiterà di leggere testi i cui autori distano da noi molti secoli e altri più recenti o recentissimi: ma, in ogni caso, essenziale è che dovremo riuscire a essere in qualche modo contemporanei di questi testi.
Il “tempo” del nostro seminario è la contemporaneità, esso esige di essere contemporaneo dei testi e degli autori che esamina. Tanto il suo rango che il suo esito si misureranno dalla sua – dalla nostra – capacità di essere all’altezza di questa esigenza.
Una prima, provvisoria, indicazione per orientare la nostra ricerca di una risposta ci viene da Nietzsche. In un appunto dei suoi corsi al Collège de France, Roland Barthes la compendia in questo modo:
“Il contemporaneo è l’intempestivo”.
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23 Agosto, 2017
by gabriella
Novant’anni fa la condanna a morte dei due anarchici italiani, operai immigrati aderenti al sindacato americano IWW. La loro storia raccontata da Marcello Flores su Wikiradio.
Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti erano due anarchici italiani. Accusati di rapina a mano armata e omicidio, morirono innocenti sulla sedia elettrica il 23 agosto 1927 nel penitenziario di Charlestown, dopo sei anni trascorsi nel braccio della morte.
Nel 1977 il governatore dello Stato del Massachusetts riconobbe ufficialmente gli errori commessi nel processo e riabilitò completamente la loro memoria, ma la confessione del responsabile dell’omicidio di cui erano accusati (1925) e la persecuzione giudiziaria subita a causa della loro adesione all’IWW (Industrial Workers of the World) fa sì che la loro condanna sia ricordata come un omicidio politico piuttosto che come un errore giudiziario.
Il coraggio con cui lottarono contro l’ingiustizia nella loro condizione di operai immigrati e con cui affrontarono la morte, ne fece un simbolo della lotta contro l’oppressione.

“Here’s to you Nicola and Bart
rest forever here in our heart
the last and final moment is yours
that agony is your triumph!”
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Posted in Storia | Commenti disabilitati su 23 agosto 1927, l’esecuzione di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti
28 Luglio, 2017
by gabriella
Il discorso sul giudizio di Louis XVI pronunciato da Robespierre alla Convenzione il 3 dicembre 1792, è uno dei capolavori dell’oratoria politica di tutti i tempi. L’originale francese è in coda alla traduzione italiana. Segue quello di Saint-Just del 13 novembre [non tradotto].
Que cet événement mémorable soit consacré par un monument destiné à nourrir dans le coeur des peuples le sentiment de leurs droits et l’horreur des tyrans ; et, dans l’âme des tyrans, la terreur salutaire de la justice du peuple.
Maximilien Robespierre
Cittadini,
L’assemblea è stata condotta a sua insaputa lontano dalla vera questione. Qui non c’è affatto un processo da fare. Luigi non è affatto un accusato. Voi non siete dei giudici. Voi non siete, non potete che essere degli uomini di stato e i rappresentanti della nazione. Non avete affatto una sentenza da dare per o contro un uomo, ma una misura di salute pubblica da prendere, un atto di previdenza nazionale da esercitare.
Un re detronizzato, nella repubblica non è buono che a due scopi: o a turbare la tranquillità dello stato e a spezzarne la libertà o a fare l’una e l’altra insieme. Ora, io sostengo che la caratteristica che ha preso fin qui la vostra deliberazione, va direttamente contro lo scopo. In effetti, qual è la decisione che la sana politica prescrive per cementare la repubblica nascente? E’ di incidere profondamente nei cuori il disprezzo della monarchia e di impressionare tutti i partigiani del re.
Pertanto, presentare a tutto il mondo il suo delitto come un problema, fare della sua causa l’oggetto della discussione più impegnativa, più sacra, più difficile alla quale possano accingersi i rappresentanti dei popolo francese, mettere una distanza incommensurabile fra il ricordo di ciò che egli fu e la semplice dignità di un cittadino, significa precisamente aver trovato il segreto per renderlo ancora pericoloso per la libertà.
Luigi fu re, e la repubblica è stata fondata; la famosa questione che vi impegna è decisa da queste sole parole. Luigi è stato detronizzato per i suoi delitti; Luigi ha denunciato il popolo francese come ribelle e ha chiamato in suo aiuto per castigarlo, le armi dei confratelli tiranni. La vittoria del popolo ha deciso che soltanto lui era ribelle. Luigi non può dunque essere giudicato: è già condannato, o la repubblica non è affatto assolta.
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Posted in Filosofia | Commenti disabilitati su Maximilien Robespierre, Sul processo del re (Sur le procès du roi). Louis Antoine de Saint Just, Sur le jugement de Louis XVI
26 Luglio, 2017
by gabriella
Specismo e antispecismo nella chiara esposizione di uno dei principali filosofi animalisti italiani. Tratto da Asinus Novus.
L’uomo ha sempre sentito il bisogno di dare un nome a ciò che gli appare ignoto in modo da renderselo più presente e, dunque, meno oscuro e minaccioso. Ma esistono nomi che assolvono il compito esattamente opposto: di una vicinanza e di una continuità fanno un’abissale lontananza e un’invalicabile barriera. Se, come ha osservato Derrida, quando diciamo “l’animale” cerchiamo attraverso un singolare aberrante di annullare tutte le differenze tra le specie e di contrapporle così in massa al genere umano (Jacques Derrida, L’animale che, dunque, sono, trad. it. di M. Zannini, Jaca Book, Milano 2006, p. 73), una funzione non diversa assolvono termini come “bestia”, “belva”, “bruto” o “fiera”. In ognuno di questi termini e, ancor di più, nel sistema simbolico che essi costituiscono nel loro insieme, è facile leggere il tentativo da parte degli umani di marcare una differenza insormontabile tra sé e il resto del vivente, soprattutto rispetto a quei viventi che maggiormente li inquietano con sguardi che, probabilmente a causa di una certa vicinanza evolutiva, sono più difficili da ignorare. In tutti i casi in cui l’umano ritiene di dover ricorrere a queste espressioni linguistiche è facile mostrare il gioco di prestigio attraverso il quale ciò che potrebbe meritare una qualche forma di considerazione emotiva ed etica viene, attraverso la parola, risospinto al di là, marchiato dall’infamia di una condizione altra, gettato nel vortice dell’esistenza più abietta. È questo meccanismo occulto e perverso che fa sì che persino un amante degli animali come Leonardo potesse scrivere senza apparente contraddizione:
“chi non raffrena la volontà colle bestie s’accompagni” (Leonardo Da Vinci, Scritti letterari, Rizzoli, Milano 1974, p. 71).
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24 Luglio, 2017
by gabriella

Le trasformazioni tecnologiche di Industria 4.0 ci pongono di fronte due strade: subire questo progetto di trasformazione guidato dall’interesse di pochi oppure tentare di guidarlo nell’interesse dei più. Uno stralcio dell’articolo uscito su Sbilanciamoci.
Sono nomi di computer ad alta potenza di calcolo, software, start up, piattaforme: YuMi, StasMonkey, Watson, Tug, Sedasys, Coursera, Shutterstock, Digits, Warren, e-discovery, Baxter, Iamus, Workfusion, Sawyer. Rappresentano il presente dell’innovazione e l’anticipazione di un futuro probabile dove il lavoro umano diminuirà.
49% [1]o 47%[2]le ipotesi più radicali, 9% [3]quelle più caute, 35%[4] per chi preferisce una via di mezzo: dietro le percentuali i posti di lavoro che verrebbero bruciati dall’innovazione tecnologica. Tecnologie delle reti e dell’informazione, robot, macchine potentissime, big data: è più o meno questa la ricetta che si aggira per il mondo promettendo rivoluzioni digitali e industrie 4.0.
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Posted in Sociologia | Commenti disabilitati su Andrea Aimar, Quale società per industria 4.0?
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