Paolo Veronese, La cena di San Gregorio Magno

by gabriella

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Nui pittori si pigliamo licenzia che si pigliano i poeti e i matti

Paolo Veronese, 1573

Dopo averla vista al Santuario di Monte Berico a Vicenza, con una classe, nell’aprile 2010, sono andata a cercare qualche riferimento su quest’opera che raffigura un’ultima cena nella quale i temi religiosi sono declinati secondo la sensibilità cinquecentesca: Gesù ascolta con deferenza i discorsi del saggio cardinale, il contesto è quello di una corte in cui i nobili elargiscono elemosina ai poveri ecc. Ecco cosa ho scoperto:

Paolo Veronese fu processato dall’Inquisizione per certe eccessive licenze nella rappresentazione degli eventi sacri. Al centro della disquisizione, la vastissima e spettacolare tela raffigurante la Cena in casa di Levi (immagine sottostante), nella quale si vedono gli avvenimenti sacri trasferiti audacemente in un’ambientazione contemporanea, cioè cinquecentesca, sia dal punto di vista architettonico che da quello degli abiti dei protagonisti.

Paolo Veronese, Cena a casa di Levi, 1573

Paolo_veronese,_cena_di_s._gregorio_magno_2Gesù è al centro, attorniato da numerosi personaggi, invitati, camerieri che portano vassoi carichi di cibo, cuochi, notabili riccamente abbigliati, alcuni impegnati in vivaci conversazioni, tutti vestiti con gli abiti del tempo del pittore: un’umanità varia, multicolore, gesticolante e schiamazzante che rende la scena affollata, concitata e decisamente profana. Dalle terrazze e dalle finestre retrostanti, inoltre, si affacciano diverse persone ad osservare il singolare avvenimento, una vera e propria festa mondana che non ha nulla della sacralità e dell’intimità dell’ultima cena descritta nei Vangeli e limitata ai soli apostoli.

II Tribunale dell’Inquisizione, un’istituzione rinvigorita dalla Controriforma, contestò il soggetto e sottopose Veronese a un lungo interrogatorio. Si sono conservate le carte di questo processo, tenutosi a Venezia il 18 luglio 1573, che rappresentano un interessante spaccato della vita del tempo, in cui Veronese difende se stesso e la libertà creativa del pittore.

Con le sue risposte il pittore affermava il diritto alla libertà espressiva, paragonando l’artista non solo ai poeti ma addirittura ai matti, in un’epoca in cui le rigide regole imposte dalla Controriforma intendevano imbrigliare la fantasia degli artisti e limitarne il respiro poetico:

Nui pittori si pigliamo licenzia che si pigliano i poeti e i matti.

Dopo il dibattimento, Veronese fu costretto a cambiare il nome della tela da “Ultima cena” a “Cena in casa di Levi”. Ecco uno stralcio del dibattito processuale tratto da apocalisselaica.net:

Paolo Veronese

Paolo Veronese, Autoritratto

Inquisitore: Sapete la causa perché siete stato costituito?
Veronese. Signori no.
I. Potete immaginarla?
V. Immaginarla posso ben […] Il Priore di San Zuane Polo […] mi disse che era stato qui, e che Vostre Signorie Illustrissime gli avevano dato commission ch’el dovesse far far la Maddalena in luogo del can. E mi ghe resposi che volentieri averia fatto quello ed altro, per onor mio e del quadro, ma che non sentivo che tal figura della Maddalena potesse giacer che la stesse bene […]
I. In questa cena che avete fatto in San Giovanni Paulo, che significa la pittura di colui che gli esce il sangue dal naso?
V. L’ho fatto per un servo, che per qualche accidente li possa esser venuto il sangue dal naso.
I. Che significa quelli armati alla todesca vestiti, con una lambarda per uno in mano?
V.[…] Nui pittori si pigliamo licenza, che si pigliano i poeti e i matti; e ho fatto quelli dui alabardieri, uno che beve e l’altro che mangia appresso una scala morta, i quali sono messi là, che possino far qualche officio, parendomi conveniente che ‘l padron de casa, che era grande e ricco, secondo che mi è stato detto, dovesse avere tal servitori.
I. Quel vestito da buffone con il pappagallo in pugno, a che effetto l’avete dipinto in quel telaro?
V. Per ornamento, come si fa. […]
I. Chi credete voi veramente che si trovasse in quella cena?
V. Credo che si trovassero Cristo con i suoi apostoli. Ma se nel quadro ci avanza spazio, io l’adorno di figure, sì come vien commesso, e secondo le invenzioni. […] La commission fu di ornare il quadro secondo mi paresse […] Io faccio le pitture con quella considerazion che è conveniente, che il mio intelletto può capire.
I. Se li par conveniente che alla cena ultima del Signore si convenga dipingere buffoni, imbriaghi, todeschi, nani e simili scurrilità.
V. Signori no.
I. Perché dunque l’avete fatto?
V. L’ho fatto perché presuppongo che questi sieno fuori del luogo dove si fa la cena.
I. Non sapete voi che in Alemagna e in altri luoghi infetti di eresia sogliono con le pitture diverse e piene di scurrilità e simili invenzioni dileggiare, vituperare e fare scherno delle cose della Santa Chiesa Cattolica per insegnar mala dottrina alle genti idiote e ignoranti?
V. Signorsì, che l’è male. Ma perciò tornerò ancora a quel che ho detto, che ho l’obbligo di seguir quel che hanno fatto i miei maggiori.
I. Che hanno fatto i vostri maggiori? Hanno fatto forse cose simili?
V. Michel Agnolo in Roma drento la Cappella Pontifical. Vi è depento il nostro signor Gesù Cristo, la sua madre e san Zuane, san Piero, e la corte celeste, le quali tutte sono fatte nude, dalla Vergine Maria in poi, con atti diversi, con poca reverenza.
I. Non sapete voi che dipingendo il Giudizio Universale, nel qual non si presume vestiti, o simili cose, non occorrea dipigner veste, e in quelle figure non vi è cosa se non di spirito, e non vi sono buffoni, né cani, né arme, né simili buffonerie? E se li pare per questo o per qualsiasi altro esempio di aver fatto bene ad aver dipinto questo quadro in quel modo che sta, e se vuol difendere che il quadro stia bene e condecentemente?
V. Signor Illustrissimo, no che non lo voglio defender; ma pensava di far bene. E non ho considerato tante cose. Pensando di non far disordine niuno, tanto più che quelle figure di buffoni sono di fuora del luogo dove è il nostro Signore.

La tela, oggi restaurata, reca i segni di rotture. Fu ridotta in 32 pezzi il 10 giugno 1848 dalla soldataglia austriaca nel contesto della prima guerra di indipendenza.

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