Il 6 marzo 2012, la Camera ha approvato in seconda lettura, il disegno di legge che introduce il vincolo del pareggio di bilancio nella Costituzione italiana. La nuova normativa prevede l’equilibrio tra entrate e uscite anno per anno, contraddicendo così uno degli elementi cardini dell’economia keynesiana, ovvero il raggiungimento dell’equilibrio in un intero ciclo economico. Fa un passo avanti decisivo, quindi, la costruzione di quella “Europa tedesca” voluta dal nuovo patto fiscale, promosso dalla cancelliera Merkel, sulla base di una errata analisi della crisi europea, tutta concentrata sull’ipotesi che essa sia dovuta alla “prodigalità” dei paesi periferici (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna). Abbiamo invece visto che tale ipotesi è contraddetta dai fatti, come si ostinano a sottolineare molti economisti. Il testo tuttavia presenta alcuni alleggerimenti al fine di tenere conto del ciclo economico. Come si può leggere sul sito della Camera:
In particolare, le novelle all’art. 81 della Costituzione, che detta regole sulla finanza pubblica e sulla formazione del bilancio, sanciscono il principio del “pareggio di bilancio”, in base al quale lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle diverse fasi – avverse o favorevoli – del ciclo economico.
Si prevede tuttavia una eventuale deroga alla regola generale del pareggio, stabilendo che possa consentirsi il ricorso all’indebitamento solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e al verificarsi di eventi eccezionali, che possono consistere in gravi recessioni economiche; crisi finanziarie e gravi calamità naturali. Per circoscrivere e rendere effettivamente straordinario il ricorso a tale deroga, si dispone che il ricorso all’indebitamento connesso ad eventi eccezionali sia autorizzato con deliberazioni conformi delle due Camere sulla base di una procedura aggravata, che prevede un voto a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti.
Viene comunque a cadere la possibilità di un fine tuning del ciclo economico attraverso la spesa pubblica che gli economisti keynesiani americani hanno spesso sollecitato nel dopoguerra. Si deve inoltre tenere conto che l’Italia, in quanto membro dell’Eurozona, non ha più alcuna possibilità di intervento sulla politica monetaria, quindi sul tasso di interesse e sul controllo della base monetaria, altro strumento principe del fine tuning.
La modifica va poi letta nel contesto europeo del “fiscal compact”, che obbligherà il nostro paese al rientro dal debito fino a raggiungere la ratio del 60% sul Pil e l’impossibilità di produrre deficit oltre lo 0,5%. Ciò che il premier britannico David Cameron, pur sostenitore dell’austerity, ha definito “proibire Keynes per legge”
Nulla viene inoltre detto rispetto all’obiettivo finale dell’intervento pubblico teorizzato nella macroeconomia keynesiana, ovvero la piena occupazione.
Anche gli Stati Uniti, nel 2010, si sono trovati di fronte ad una proposta simile, avanzata dai Repubblicani. La proposta avveniva in un quadro in cui l’Amministrazione Obama procedeva a stimoli economici che hanno portato allo sfondamento del “tetto” del debito pubblico, che ha raggiunto il 100% sul Pil, il più alto debito pubblico della storia del Paese dalla seconda guerra mondiale.
Nonostante questo quadro la proposta è stata rigettata dall’Amministrazione progressista ed è stata oggetto di un duro e circostanziato dibattito. Tra gli altri, quattro premi Nobel, affiancanti da altri economisti di prestigio, scrissero un appello contro il pareggio di bilancio nel quale si affermava:
Una modifica [costituzionale] che introduce il pareggio di bilancio avrebbe effetti perversi di fronte alla recessione. In una recessione economica le entrate fiscali cadono mentre alcune uscite, come ad esempio l’indennità di disoccupazione, aumentano … Mantenere il bilancio in pareggio ogni anno aggraverebbe le recessioni. […]
Induce inoltre a manovre contabili dubbie (come la vendita di terreni pubblici e altre attività, contando i proventi come entrate a riduzione del disavanzo), e altri trucchi di bilancio. Le controversie sul significato di pareggio di bilancio probabilmente finirebbero nei tribunali, con una politica economica che finirebbe sotto il controllo della magistratura. […]
Anche durante le espansioni, un vincolo di spesa potrebbe danneggiare la crescita economica, perché l’aumento dei rendimenti derivanti da investimenti, anche quelli interamente pagati con entrate aggiuntive, sarebbe considerati incostituzionali, se non compensati da altre riduzioni di spesa.
L’appello, firmato tra gli altri dai Nobel Kenneth Arrow, Peter Diamond, Eric Maskin, Robert Solow mette in evidenza gli effetti perversi del vincolo del pareggio di bilancio, sia in un periodo di recessione che di espansione. Come il caso italiano, anche quello americano prevedeva alcune scappatoie, ma i Nobel sottolineavano che le procedure rafforzate “sono ricette per la paralisi.”
Come si è già detto, di vincolo di bilancio non si è più parlato negli USA per l’opposizione ferma del Presidente Obama, del Partito Democratico e di larga parte degli economisti.
L’Europa invece ha ormai imboccato una strada opposta, legandosi progressivamente le mani proprio nel momento in cui è necessaria una politica economica coraggiosa ed espansiva.
E lo ha fatto con un vincolo costituzionale imposto ai paesi membri che avrà conseguenze sull’azione di qualsiasi governo futuro.
Tratto da http://keynesblog.com/2012/03/07/pareggio-di-bilancio-in-costituzione-litalia-proibisce-keynes-per-legge-gli-usa-no/
Gaetano Bucci, Il pareggio di bilancio è incostituzionale
Stralcio dal lungo articolo che Gaetano Bucci – docente di Diritto pubblico all’Università di Bari – ha dedicato all’evoluzione delle politiche comunitarie in senso sempre più antidemocratico e antisociale, la parte dedicata al conflitto tra costituzionalizzazione del pareggio e art. 3.
Nel corso del 2011, sotto la pressione della crisi del debito pubblico sono state introdotte regole volte a disciplinare un meccanismo di formazione ex ante delle politiche economiche nazionali [Consiglio Ue 2010], una sorveglianza macroeconomica su squilibri di competitività e crescita [Consiglio Ue 2011b e 2011d] ed un funzionamento più stringente del patto di stabilità [Consiglio Ue 2011a; 2011c; 2011e]. Il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria [Trattato; cfr. Morgante], ha consacrato questi indirizzi – che vengono, ormai, incorporati nelle costituzioni nazionali [Coronidi; Bifulco 2011] – risolvendo definitivamente l’asimmetria tra la politica fiscale e la politica monetaria creata dall’assetto di Maastricht, assimilando la prima alla seconda, in nome della stabilità fiscale e del rigore delle politiche di bilancio.
Il pareggio di bilancio è stato imposto, pertanto, come principio costituzionale nei singoli Paesi. Il debito pubblico è stato utilizzato come pretesto per impedire agli Stati di perseguire le finalità indicate nelle costituzioni democratico-sociali e, quindi, per costringerli a rinunciare all’uso dei poteri pubblici necessari per realizzare forme di intervento socialmente orientate nell’economia. La sede della programmazione economico-finanziaria è divenuta l’Unione Europea, che non è guidata, tuttavia, da istituzioni federali di un sistema democratico sovranazionale, ma da una “una unità di comando sovranazionale della finanza pubblica” costituita da poteri tecnocratici che, accentrando le leve del governo dell’economia, utilizza come strumenti di intervento “vigilanze preventive, esami approfonditi, azioni correttive e sanzioni”.
L’austerità costituisce, in effetti, un tipo di politica economica, “che ha evidenti effetti sul tasso di accrescimento della ricchezza e sulla sua distribuzione sulle classi sociali”, anche se “viene rappresentata non come una scelta, ma come un necessario atto di responsabilità che gli stati si sono forzati a compiere, legandosi le mani, per agire allo stesso modo di un buon padre di famiglia che deve ripianare con il risparmio i debiti accumulati”. La crisi non ha rappresentato, dunque, l’occasione per un ripensamento, ma è stata utilizzata come pretesto per rafforzare “l’ortodossia fiscale posta a fondamento della moneta unica”. L’azione della BCE – vincolata all’obiettivo prioritario di garantire la stabilità dei prezzi – e la scelta di garantire le esigenze delle banche private e non quelle dei governi, costituiscono, ormai, gli elementi che qualificano tutti gli indirizzi di politica economica nazionale e sovranazionale [Barba pp.1-28].
Il pareggio di bilancio è sostanzialmente incostituzionale
L’art. 3, 2° co., del Trattato approvato, a Bruxelles, il 2 marzo scorso, ha previsto che le parti contraenti debbano recepire, nei loro ordinamenti nazionali, la regola del pareggio di bilancio (art. 3, 1° co., lett. a), tramite disposizioni, vincolanti e permanenti, “preferibilmente” di natura “costituzionale”.
Il legislatore italiano, adeguandosi alle prescrizioni sovranazionali e alle indicazioni contenute nella Lettera della BCE, ha introdotto il principio del pareggio di bilancio nella nostra Costituzione, rispettando le regole del procedimento di revisione disciplinate dall’art. 138 della Cost. La legge costituzionale risulta, tuttavia, sostanzialmente incostituzionale, poiché contrasta con i Principi fondamentali (artt. 1, 2, 3, 4 Cost.) e con i principi contenuti nella Prima parte (artt. 41, 42, 43, 47 e 81 Cost.).
Il compito della revisione costituzionale è, infatti, quello di emendare singole norme che richiedono un adeguamento agli sviluppi della vita sociale e della democrazia. Le procedure emendative non possono, tuttavia, essere utilizzate per sostituire i principi concernenti l’indirizzo politico, economico e sociale della Costituzione, con quelli difesi ed enfatizzati da ordinamenti liberal-liberisti, come quello dell’Unione Europea [d’Albergo].
Il modello costituzionale italiano risulta, del resto, più avanzato, rispetto agli altri modelli europei, proprio sul terreno dei principi concernenti i rapporti fra politica ed economia, ossia dei principi posti a salvaguardia dei diritti inviolabili della persona umana e, quindi, dei diritti sociali. I Principi fondamentali che caratterizzano la forma di stato democratico-sociale, costituiscono, pertanto, un’ipotesi di limite all’esercizio del potere di revisione costituzionale e, quindi, alla prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno, specie se le norme comunitarie sono utilizzate, dai poteri forti dei mercati finanziari, per introdurre regole eversive dei principi che costituiscono gli assi portanti del patto fondativo della nostra comunità sociale. La Corte costituzionale ha stabilito, del resto, che i Principi supremi dell’ordinamento, ovvero quelli espressivi della sua essenza, non possono costituire oggetto di revisione costituzionale (v. sent. C. C. n. 1146/1988).
Si dovrebbero sollevare, pertanto, eccezioni di costituzionalità nei confronti delle future leggi di spesa emanate in attuazione del nuovo art. 81 [cfr. Lucarelli], in quanto contiene previsioni lesive dei diritti inviolabili (art. 2 Cost.), nonché contrastanti con il programma di trasformazione economico-sociale recepito dalla Costituzione (art. 3, 2° co., Cost.).
L’appello dei premi Nobel al Presidente Obama contro il pareggio di bilancio in Costituzione.
Cari presidente Obama, presidente Boehner, capogruppo della minoranza Pelosi, capogruppo della maggioranza Reid, capogruppo della minoranza al Senato McConnell,
noi sottoscritti economisti sollecitiamo che venga respinta qualunque proposta volta ad emendare la Costituzione degli Stati Uniti inserendo un vincolo in materia di pareggio del bilancio. Vero è che il Paese è alle prese con gravi problemi sul fronte dei conti pubblici, problemi che vanno affrontati con misure che comincino a dispiegare i loro effetti una volta che l’economia sia forte abbastanza da poterle assorbire, ma inserire nella Costituzione il vincolo di pareggio del bilancio rappresenterebbe una scelta politica estremamente improvvida. Aggiungere ulteriori restrizioni, cosa che avverrebbe nel caso fosse approvato un emendamento sul pareggio del bilancio, quale un tetto rigido della spesa pubblica, non farebbe che peggiorare le cose.
1. Un emendamento sul pareggio di bilancio avrebbe effetti perversi in caso di recessione. Nei momenti di difficoltà economica diminuisce il gettito fiscale e aumentano alcune spese tra cui i sussidi di disoccupazione. Questi ammortizzatori sociali fanno aumentare il deficit, ma limitano la contrazione del reddito disponibile e del potere di acquisto. Chiudere ogni anno il bilancio in pareggio aggraverebbe le eventuali recessioni.
2. A differenza delle costituzioni di molti stati che consentono di ricorrere al credito per finanziare la spesa in conto capitale, il bilancio federale non prevede alcuna differenza tra investimenti e spesa corrente. Le aziende private e le famiglie ricorrono continuamente al credito per finanziare le loro spese. Un emendamento che introducesse il vincolo del pareggio di bilancio impedirebbe al governo federale di ricorrere al credito per finanziare il costo delle infrastrutture, dell’istruzione, della ricerca e sviluppo, della tutela dell’ambiente e di altri investimenti vitali per il futuro benessere della nazione.
3. Un emendamento che introducesse il vincolo del pareggio di bilancio incoraggerebbe il Congresso ad approvare provvedimenti privi di copertura finanziaria delegando gli stati, gli enti locali e le aziende private trovare le risorse finanziarie al posto del governo federale. Inoltre favorirebbe dubbie manovre finanziarie (quali la vendita di terreni demaniali e di altri beni pubblici contabilizzando i ricavi come introiti destinati alla riduzione del deficit) e altri espedienti contabili. Le controversie derivanti dall’interpretazione del concetto di pareggio di bilancio finirebbero probabilmente dinanzi ai tribunali con il risultato di affidare alla magistratura il compito di decidere la politica economica. E altrettanto si verificherebbe in caso di controversie riguardanti il modo in cui rimettere in equilibrio un bilancio dissestato nei casi in cui il Congresso non disponesse dei voti necessari per approvare tagli dolorosi.
4. Quasi sempre le proposte di introduzione per via costituzionale del vincolo di pareggio di bilancio prevedono delle scappatoie, ma in tempo di pace sono necessarie in entrambi i rami del Congresso maggioranze molto ampie per approvare un bilancio non in ordine o per innalzare il tetto del debito. Sono disposizioni che tendono a paralizzare l’attività dell’esecutivo.
5. Un tetto di spesa, previsto da alcune delle proposte di emendamento, limiterebbe ulteriormente la capacita’ del Congresso di contrastare eventuali recessioni vuoi con gli ammortizzatori gia’ previsti vuoi con apposite modifiche della politica in materia di bilancio. Anche nei periodi di espansione dell’economia, un tetto rigido di spesa potrebbe danneggiare la crescita economica perche’ gli incrementi degli investimenti ad elevata remunerazione – anche quelli interamente finanziati dall’aumento del gettito – sarebbero ritenuti incostituzionali se non controbilanciati da riduzioni della spesa di pari importo. Un tetto vincolante di spesa comporterebbe la necessita’, in caso di spese di emergenza (per esempio in caso di disastri naturali), di tagliare altri capitoli del bilancio mettendo in pericolo il finanziamento dei programmi non di emergenza.
6. Per pareggiare il bilancio non è necessario un emendamento costituzionale. Il bilancio non solo si chiuse in pareggio, ma fece registrare un avanzo e una riduzione del debito per quattro anni consecutivi dopo l’approvazione da parte del Congresso negli anni ’90 di alcuni provvedimenti che riducevano la crescita della spesa pubblica e incrementavano le entrate. Lo si fece con l’attuale Costituzione e senza modificarla e lo si può fare ancora. Nessun altro Paese importante ostacola la propria economia con il vincolo di pareggio di bilancio. Non c’è alcuna necessità di mettere al Paese una camicia di forza economica. Lasciamo che presidente e Congresso adottino le politiche monetarie, economiche e di bilancio idonee a far fronte ai bisogni e alle priorità, così come saggiamente previsto dai nostri padri costituenti.
7. Nell’attuale fase dell’economia è pericoloso tentare di riportare il bilancio in pareggio troppo rapidamente. I grossi tagli di spesa e/o gli incrementi della pressione fiscale necessari per raggiungere questo scopo, danneggerebbero una ripresa già di per sé debole.
Firmato:
PETER DIAMOND, premio Nobel per l’economia 2010
WILLIAM SHARPE, premio Nobel per l’economia 1990
CHARLES SCHULTZE, consigliere economico di J.F. Kennedy e Lindon Johnson, animatore della Great Society Agenda
ALAN BLINDER, direttore del Centro per le ricerche economiche della Princeton University
ERIC MASKIN, premio Nobel per l’economia 2007
ROBERT SOLOW, premio Nobel per l’economia 1987
LAURA TYSON, ex direttrice del National Economic Council
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