Pareto

by gabriella
Vilfredo Pareto

Vilfredo Pareto (1848 -1923)

Nato a Parigi da padre italiano e madre francese, Pareto si formò come matematico al Politecnico di Torino, quindi come ingegnere, professione che esercitò per molti anni, prima di darsi alla carriera accademica e politica.

Nel 1893 ottenne la cattedra di Economia politica all’Università di Losanna, dove elaborò la teoria dell’equilibrio economico ed altri importanti strumenti teorici quali l’ottimo paretiano (o Pareto ottimalità) e l’indice di distribuzione dei redditi, che ne fanno uno dei maggiori rappresentanti dell’economia marginalista o neoclassica [il pdf per la stampa è in coda al testo].

 

Indice

1. Il marginalismo o economia neoclassica

1.1 L’efficienza allocativa
1.2 L’individualismo metodologico: homo oeconomicus e mano invisibile

 

2. Il contributo paretiano: l’Ottimo e il principio 80/20

2.1 L’utilità marginale del bene
2.2 L’efficienza allocativa o Ottimo paretiano
2.3 Il principio 80/20

 

3. I limiti del razionalismo economico e la sociologia basata sui fatti

3.1 Pareto nella sociologia del primo 900
3.2 Le azioni non logiche e la teoria della circolazione delle élite

3.2.1 Residui e derivazioni
3.2.2 Il principio della circolazione delle élite e l’omeostasi sociale

 

1. Il marginalismo o economia neoclassica

Karl Marx (1818 – 1883)

Adam Smith (1723 – 1790)

1.1 L’efficienza allocativa

La scuola neoclassica o marginalista si concentra sullo studio dell’allocazione efficiente delle risorse in un mercato a concorrenza perfetta e cioè all’interno di un mercato in cui vi è un’ottima circolazione di informazioni (necessarie affinché gli operatori decidano in modo consapevole), in cui i fattori produttivi sono mobili e in cui il prezzo dei beni è fissato dall’incontro della domanda e dell’offerta (a loro volta, espressione dell’utilità e del costo marginale) e non invece dall’imprenditore/i in regime di monopolio o oligopolio.

L’interesse di questa scuola economica è interamente rivolto all‘efficienza, cioè alla razionalità delle decisioni economiche, mente si disinteressa dell’equità o di altre considerazioni di tipo etico. 

Tale approccio prende in esame il comportamento razionale del soggetto economico, isolandolo da altre considerazioni e cercando di capire quanto possa essere prevedibile e regolare.

 

1.2 L’individualismo metodologico: homo oeconomicus e mano invisibile

La visione che il marginalismo presuppone è infatti quella dell’homo oeconomicus e della mano invisibile cioè di un soggetto che agisce mosso dal proprio utile e di una razionalità immanente i fatti economici che consiglia il politico di assecondarli (laissez-faire), piuttosto che di guidarli.

La teoria del valore è centrata sulla soddisfazione marginale del consumatore

L’approccio marginalista o neoclassico in economia, incentra la teoria del valore nella soddisfazione decrescente (marginale) del consumatore ad ogni unità aggiuntiva dello stesso bene, abbandonando il punto di vista che da Adam Smith a Marx lo aveva collocato nel lavoro.

Proprio questa impostazione individualistica, alla quale Pareto diede un contributo fondamentale, portò il suo interesse sulla razionalità dell’agente economico, spostando i suoi studi dal terreno dell’economia a quello della sociologia.

 

 

2. Il contributo paretiano: l’Ottimo e il principio 80/20

bicchiere-di-acqua

Il valore del primo bicchier d’acqua offerto a un assetato è massimo e decrescente ad ogni ulteriore bicchiere offerto

2.1 L’utilità marginale del bene

Pareto offrì un contributo rilevante allo sviluppo dell’indirizzo neoclassico, caratterizzato dalla centralità dei metodi quantitativi nello studio dei fenomeni economici e dall’individualismo metodologico.

La tesi marginalista è che la soddisfazione, o utilità, del consumatore tende a diminuire con il consumo di ogni unità aggiuntiva (o marginale) dello stesso bene.

A differenza della teoria classica che si concentrava sullo studio della crescita economica, i marginalisti incentrarono, quindi, le loro analisi sull’equilibrio economico e sulla ricerca di metodologie efficienti di allocazione delle risorse, esigenza alla quale Pareto offrì un contributo essenziale.

 

2.2 L’efficienza allocativa o Ottimo paretiano 

Se tutti i mercati sono perfettamente concorrenziali

L’elaborazione più importante di Pareto in questo ambito fu quella della cosiddetta Pareto ottimalità (anche nota come ottimo paretiano, o efficienza allocativa), una funzione che mostra il momento in cui l’allocazione delle risorse è appunto ottimale, cioè non può migliorare le condizioni di qualcuno senza peggiorare quelle di qualcun altro.

Nel Cours d’Economie Politique, scritto a Losanna nel 1896, Pareto provò a calcolare la migliore distribuzione di risorse per un sistema di mercati perfettamente concorrenziali ed elaborò la funzione che permette di visualizzarne l’allocazione ottimale, cioè una distribuzione di ricchezza che sia impossibile da migliorare per qualcuno senza diminuire quella di un altro.

La Pareto ottimalità non si esprime sull’equità distributiva: una condizione perfettamente efficiente potrebbe, infatti, coincidere con una società in cui alte risorse si concentrano in poche mani, mentre altri ne restano completamente sprovvisti.

Amartia Sen ha dimostrato che si vuole rispettare la Pareto ottimalità e la libertà di scelta, ciò può finire per valere solo per uno

Amartia Sen ha dimostrato che si vuole rispettare la Pareto ottimalità e la libertà di scelta, ciò può finire per valere solo per uno

Negli anni ’60, l’economista indiano Amartya Sen ha dimostrato che, in uno stato che voglia far rispettare contemporaneamente l’efficienza paretiana e la libertà delle scelte (cioè la condizione in cui l’individuo è mosso solo dalle sue preferenze individuali), il numero di individui in grado di far valere questo diritto si riduce a uno.

Amartya Sen

Per la sua dimostrazione matematica dell’impossibilità dell’ottimo paretiano (o meglio della possibilità per uno) Sen ha ricevuto il nobel per l’economia nel 1998.

 

2.3 Il principio 80/20

Studiando la distribuzione dei redditi, l’economista scoprì che un numero limitato di individui possiede la quota maggiore delle ricchezze e che man mano che si considerano livelli di reddito sempre più alti, il numero dei percettori diminuisce in modo più o meno uguale in tutti i paesi e in tutte le epoche.

L’80% degli effetti viene dal 20% delle cause

Questa osservazione gli ispirò il cosiddetto principio 80/20, in base al quale registrò che molti fenomeni avevano una distribuzione simile a quella del reddito, poiché poche cause producono la maggior parte degli effetti: ad esempio, l’80% delle vendite tende a provenire dal 20% dei venditori e a riguardare il 20% delle merci in magazzino, l’80% dei reclami dal 20% dei clienti, così come l’80% degli acquisti dal 20% dei clienti di un’azienda.

La tendenza contemporanea alla verticalizzazione e all’ampliamento delle diseguaglianze sul piano sociale ed economico ha oggi diminuito la veridicità del principio.

 

3. I limiti del razionalismo economico e la sociologia basata sui fatti

Pareto

Pareto osservava con delusione i limiti empirici di questi assunti. Iniziò così a sostenere l’esigenza di una «sociologia fondata sul metodo logico-sperimentale», cioè una scienza che si attenesse realmente ai fatti, in quanto svincolata dal legame emotivo del ricercatore con i propri principi e le proprie convinzioni, nonché

da ogni considerazione circa il buono e l’utile per la società.

Da sociologo, studiò così la rilevanza sociale delle azioni non logiche e la tendenza omeostatica delle società alla stabilità delle élite.

E’ con la teoria della circolazione delle élite cioè, l’osservazione della tendenza delle società ad attraversare i cambiamenti mantenendo al governo gli stessi gruppi dirigenti, che lo studioso diede il contributo più originale alla sociologia.

Mussolini

Sul piano politico, l’economista fu amico di Mussolini e lo incoraggiò, nonostante una visione disincantata del fascismo, ad impadronirsi del potere, convinto che i gravi limiti della liberaldemocrazia italiana potessero essere corretti da una dittatura.

Spinse queste considerazioni fino a paragonare il capo del fascismo al Principe di Machiavelli. Nel 1923, pochi mesi prima di morire, rappresentò l’Italia alla Società delle Nazioni.

 

3.1 Pareto nella sociologia del primo 900

Robert Michels

Robert Michels (1876 – 1936)

Dopo il momento fondativo della fiducia nella ragione e nel progresso (Saint-Simon, Comte) e quello della cautela sugli sviluppi della modernità (Durkheim), a partire da Weber e Pareto, i sociologi della prima metà del novecento appaiono disillusi circa le possibilità della ragione di costruire un modo migliore.

Karl Mannheim (1893 - 1947)

Karl Mannheim (1893 – 1947)

Tra questi, oltre a Pareto, secondo il quale buona parte delle azioni compiute dagli uomini sono non-logicheintendendo per logiche quelle che uniscono in modo razionale «i mezzi ai fini», e quelle in cui il fine soggettivo coincide con quello oggettivo – si possono citare Michels e Mannheim.

Robert Michels, un elitista come Pareto, fu tra i primi ad evidenziare i limiti della rappresentanza democratica, attraverso un’analisi della progressiva autonomizzazione delle oligarchie di partito dalla base e lo sviluppo di una cultura d’élite in conflitto con gli interessi dei rappresentati.

Karl Mannheim, invece, travolse (definitivamente) il mito positivista della scienza neutrale, evidenziando come ogni teoria in campo sociale fosse ideologica, cioè parziale e orientata alla difesa di determinati interessi a danno di altri.

 

3.2 Le azioni non-logiche e la teoria della circolazione delle élite

3.2.1 Residui e derivazioni

Residui e derivazioni

La riflessione di Pareto inizia con l’osservazione che, dal punto di vista di chi agisce, le azioni appaiono logiche, perché le persone tendono a giustificarle con motivazioni razionali. Ad un esame obiettivo, esse però rivelano la mancanza di consequenzialità tra fini e mezzi:

Per i marinai greci, i sacrifici a Posidone e l’azione di remare erano mezzi egualmente logici per navigare […] Gli uomini hanno una tendenza spiccatissima a dare una vernice logica alle loro azioni.

Secondo Pareto, gli studiosi di politica e di scienze sociali hanno trascurato le azioni non-logiche e si sono concentrati su quelle logiche o sulle razionalizzazioni degli individui.

Se si vogliono capire gli equilibri sociali effettivi, è però necessario studiare le azioni non-logiche.

Pareto ritiene che la spinta principale all’azione venga da quelli che chiama residui, che sono istinti ereditati su base biologica e determinano l’inclinazione umana a fare accostamenti e combinazioni, a riunirsi e vivere in società, a manifestare con il comportamento i propri sentimenti, ad appropriarsi di ciò che è utile ecc..

Intorno ai residui si aggregano i principi di giustificazione, individuati nei sentimenti, nell’autorità, ecc. che Pareto chiama derivazioni. Questo, in sintesi, è il meccanismo di formazione delle azioni non-logiche, la gran parte delle azioni umane, prodotte in modo difforme a procedure razionali ideali.

 

3.2.2 Il principio della circolazione delle élite e l’omeostasi sociale

Il marchese di Salina: se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi

Dopo aver fornito la propria definizione della sociologia e aver fornito uno schema generale dell’azione umana, Pareto si dedicò all’analisi scientifica dei principi che regolano il funzionamento della società, a partire dallo studio delle élite.

Lo studioso pensa di poterle individuare con criteri oggettivi – il suo esempio è proprio quello dei voti scolastici – come la classe degli individui migliori in ogni ramo d’attività.

La prima cosa messa in evidenza è che le aristocrazie declinano e non possono mantenersi alla guida delle società con il solo uso della forza. Con il tempo, emergono energie negli strati inferiori che producono nuove aristocrazie pronte a dominare (principio della circolazione delle élite).

Ciò non significa però che la società cambi, al contrario,non solo essa resta governata da pochi elementi scelti, ma resta retta dai residui e solo i lenti mutamenti che si verificano a quel livello producono cambiamenti sociali effettivi.

Le società umane sono quindi infinitamente più stabili di quanto si creda, poiché esiste un equilibrio di fondo che viene ripristinato non appena l’assetto sociale se ne allontana. Le trasformazioni sono in gran parte apparenti. 

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