Estratto dell’articolo di Giuseppe Panissidi, Parigi val bene una strage, uscito ieri su Micromega.
L’ascesa al trono di Enrico IV di Francia, nel 1594, poneva (provvisoriamente) fine alle “Guerre di Religione” tra cattolici ed ugonotti – dopo trent’anni di barbarie, nota Voltaire – sfociate nel massacro della ”Notte di San Bartolomeo”. La frase che gli viene attribuita sarebbe stata pronunciata perché e nel momento in cui gli si prospettava la precondizione stessa per ‘meritare’ la corona della potente monarchia francese. Pur legittimo successore, egli avrebbe dovuto compiere il sacrificio ‘morale’ di abbracciare la fede cattolica. E non semplicemente, come si è talora creduto e la vulgata continua a ripetere, per personale convenienza, quanto e soprattutto nell’interesse supremo della nazione.
Non v’è dubbio che la storica e schiacciante vittoria cristiana di Lepanto contro gli Ottomani, il 7 ottobre del 1571, avesse galvanizzato le coscienze. E tuttavia, quella enorme potenza di fuoco (e di fede?) non si volgeva a una semplice “messa”. Meditava e preparava, invece, uno dei più grandi massacri della storia moderna: la strage, per l’appunto, della “notte di San Bartolomeo”.
Notte tra il 23 e il 24 agosto del 1572. Francia. Deflagra l’episodio più drammatico e devastante delle “Guerre di Religione”, sulla soglia insanguinata del “secolo degli ammazzati”, come la storiografia ha battezzato questi tornanti della modernità. Da quella notte, prima a Parigi e in provincia e, successivamente, nelle altre province per molte settimane, furono massacrate diverse migliaia di ugonotti, non meno di ventimila. “Un omicidio che cosa fa all’intero”, si domandava Hegel. E dodici o ventimila? La strage fu verosimilmente – non tutti gli storici sono d’accordo con Jules Michelet – ordinata dalla regina madre Caterina de’ Medici. Le stragi, si sa, hanno spesso una legittimazione…sovrana. Fortemente preoccupata per l’influenza crescente del capo ugonotto Gaspard de Coligny, anch’egli caduto nell’eccidio, la regina, difatti, temeva che Carlo IX, potesse appoggiare la ribellione antispagnola dei Paesi Bassi, in opposizione all’indirizzo cattolico e filospagnolo della regina.
Entro il quadro storico dato, non poteva certo mancare la solenne benedizione papale. Tra i principali artefici della “(Contro)riforma cattolica”, veemente risposta alla “Riforma protestante”, Gregorio XIII, giunto al soglio pontificio appena tre mesi prima, non esitò a fare intonare un “Te Deum” di ringraziamento, oltre ad ingaggiare molti artisti per la celebrazione di quel sangue. Per la sua clamorosa sconfessione, nel commosso ricordo dei martiri, il popolo cristiano dovrà aspettare più di quattro secoli, e precisamente il 23 agosto 1997. Quando, proprio a Parigi, Giovanni Paolo II, pronuncerà l’aspra condanna di quel massacro come di una delle pagine più fosche della storia moderna, non solo francese: “Non possiamo dimenticare” (“Tertio millennio adveniente”).
Il nostro Machiavelli aveva scritto: “Debbe, pertanto uno principe non si curare della infamia di crudeltà, per tenere li sudditi suoi uniti ed in fede”. Di fatto, Parigi fu sconvolta per tre giorni, per eseguire un comando sovrano del suo legittimo re: “Ammazzateli tutti, finitela, questa peste non deve molestarci più”. Un massacro, insomma, legittimato dall’autorità regia del cattolicissimo re di Francia. Ed Enrico di Navarra, principe di sangue reale, ebbe salva la vita.
La decapitazione del partito ugonotto, esigendo una ‘soluzione finale’, non poteva certo risolversi in un’operazione indolore. I nobili protestanti furono braccati e inseguiti per ogni dove, uccisi nei loro appartamenti, persino nei cortili dei palazzi, nel fuoco del terrore che invadeva Parigi. Sicari e cittadini comuni ‘volontari’, assetati di sangue, anche di quello di altri cittadini di qualsiasi condizione e fede, uccidevano per interesse o per odio, per vendetta o per il gusto sadico di farlo. Un professore universitario venne addirittura eliminato da un collega che aspirava alla sua cattedra. Come di consueto, motivazioni di ordine religioso si intrecciavano e mescolavano ad altre di natura politica o personale, finanche a patologie cliniche.
Il calvinismo, invero, si era diffuso in Francia con grande rapidità, nell’arco di un decennio, dopo il 1759, riscuotendo massicci consensi presso tutti gli stati sociali, e non soltanto per motivi di ordine religioso-spirituale. Dopo la pace di Saint Germain, nel 1570, infatti, i protestanti beneficiavano di concessioni notevoli, quali la libertà di culto, Parigi esclusa, il diritto di mantenere sotto il proprio controllo quattro città, nonché, ma non da ultimo, l’eleggibilità alle cariche pubbliche.
E però, come accade spesso nella storia, un massacro inutile, anzi una vera e propria disfatta per la corona, che, non soltanto non riuscì ad eliminare l’opposizione protestante, ma fu anche riprovata sul piano internazionale, con il solo effetto di rendere il mondo protestante ancora più tenace e combattivo. Si chiama anche “eterogenesi dei fini”.
Fino all’aprile del 1598, quando Enrico emise l’”Editto di Nantes”, la prima grande norma di “tolleranza” religiosa del mondo moderno. A certe condizioni e con certi limiti, anche territoriali, veniva concessa la libertà di coscienza e di culto in tutto il territorio francese. Una “tolleranza” ante litteram, naturalmente, vale a dire una pura ispirazione ideologico-politica, mentre nel testo non figurano né il termine, né il concetto, non possono figurarvi, in quanto che ciascuna fede si rifiutava – si rifiuta – non già di accettare, ma persino di concepire che l’altra fosse assistita dal medesimo diritto di affermare la (sua) “verità”. Con tutte le drammatiche conseguenze che continuiamo a sperimentare. Nihil sub sole novi, sotto tale cruciale profilo.
Tanto vero che lo storico editto rimase poco più che una buona intenzione, non seguita da mutamenti sostanziali, fino alla sua ‘naturale’ estinzione, sancita, da ultimo, da Luigi XIV, nel 1660, preludio alla definitiva revoca statuita con l’“editto di Fontainebleau” del 1685, previa violenta ripresa delle persecuzioni contro i protestanti. Proseguiva, in realtà, la politica ‘controriformista’ di conversione forzosa dei protestanti da parte del cattolicissimo re di Francia, attraverso le cosiddette “dragonate”, ad opera dei dragoni della guardia reale. Un’inaudita e feroce campagna persecutoria, su base e con finalità stragiste, di ugonotti e calvinisti, letteralmente annientati, nel solco di una (a dir poco) malintesa ‘pietas’ cristiana.
Commenti recenti