Piergiorgio Sensi, Argomentazione e dimostrazione

by gabriella
Partiamo da questa tesi: “Urge riportare al centro della didattica la conoscenza e la padronanza delle procedure dimostrative e argomentative”. L’argomentazione che svolgo è ‘entimematica’, come sono entimemi la maggior parte dei più efficaci slogan pubblicitari, quali, per es., “più lo mandi giù, più ti tira su“ o “Non sa di plastica, non sa di latta, non sa di cartone, non sa di vetro, il vetro. Il vetro è meglio”.
“Molti tratti della nostra letteratura, del nostro insegnamento, delle nostre istituzioni di linguaggio (e vi è forse una sola istituzione senza linguaggio?) sarebbero chiariti o compresi diversamente se si conoscesse a fondo (vale a dire se non si censurasse) il codice retorico che ha dato il suo linguaggio alla nostra cultura” (R. Barthes, La retorica antica, 1970). “Se è vergognoso non essere capaci di difendersi con le proprie braccia, sarebbe assurdo se fosse esente da vergogna non saperlo fare per mezzo della parola, il cui uso è più proprio per l’uomo di quello delle braccia” (Aristotele, Retorica, I, 1355 a-b).
Nella pratica di insegnamento delle scuole italiane la conoscenza e la padronanza della struttura della dimostrazione e del discorso argomentativo sono venute progressivamente scemando. Modalità prevalenti sono diventate progressivamente la narrazione (spesso sganciata dalla spiegazione delle teorie connesse) e l’elencazione di prescrizioni (spesso sul tipo delle inintelligibili ‘istruzioni per il montaggio’ dell’Ikea). In pieno disprezzo di quella finalità generale dell’istruzione (ripetuta come un mantra sia nei progetti di riforma sia nei POF delle scuole) che è lo sviluppo della ‘capacità critica’.
Di contro, i test di ammissione alle facoltà scientifiche prevedono un buon numero di quesiti (‘cultura generale’) concernenti sia procedure dimostrative – veri sillogismi – sia argomentative (‘comprensione del testo’).
Se non si sa dimostrare e argomentare, come si superano i test o come ci si difende dalle seduzioni sofistiche della società della comunicazione? Non a caso, chi continua a studiare, e bene ma per altri scopi, le strategie di comunicazione e di persuasione sono invece i pubblicitari.
Didattica, dialettica e retorica: dimostrazione e convinzione
La scuola pubblica non è un’agenzia pubblicitaria; anch’essa, però, cerca di persuadere gli alunni attraverso discorsi. A differenza di altre istituzioni centrate sull’uso retorico del linguaggio, l’insegnamento scolastico persegue, per dirla ancora con Barthes, la via della convinzione (fidem facere) più che quella del commuovere (animos impellere). In ciò è fedele alla originaria intenzione aristotelica, secondo la quale la dialettica (dimostrazione scientifica) e la retorica sono orientate al vero e al verosimile e concernono “oggetti la cui conoscenza è in qualche modo comune a tutti gli uomini”. Ora, la maggior parte delle discipline insegnate o non sopporta o non usa la dimostrazione perfettamente formalizzata, perciò la strategia argomentativa più utilizzata è quella retorico-entimematica: “L’argomentazione, infatti, è una sorta di dimostrazione, poiché si è persuasi soprattutto quando si suppone che una cosa è dimostrata … e poiché una dimostrazione retorica è un entimema … questa è la più importante delle argomentazioni” (Ret. I, 1354a–1355a).
La via retorica della convinzione è basata sul ragionamento; la sua efficacia si incentra fondamentalmente sulla probatio, l’apparato con cui si legittimano le conclusioni, costituito da prove ottenute “per mezzo del discorso” e “fondate sul discorso stesso”. La dimostrazione avviene o per inferenza sintetica (induzione, esempio) o per inferenza analitica (deduzione, entimema) o per confutazione (entimema confutatorio). Queste ultime sono le più efficaci. Per questo l’insegnante deve essere padrone dell’apparato logico (o pseudo-logico) proprio della disciplina insegnata (quello che i testi ministeriali chiamano statuto epistemologico) e deve far acquisire un’analoga padronanza anche al discente (che così si ’emancipa’ dal maestro). L’entimema, pertanto, è strumento didattico fondamentale. Ma che cos’è l’entimema?
Il ‘gusto’ dell’entimema
L’entimema è una specie di sillogismo imperfetto, non scientifico, e questo per due motivi: o perché parte da premesse probabili o verosimili, oppure perché è ‘tronco’, ossia non esplicita tutte le premesse. Il ragionamento entimematico è strettamente legato al tipo di pubblico cui si rivolge, non solo nel senso banale che l’oratore deve sapere chi ha di fronte e ‘sapersi mettere al suo livello’, individuando le premesse comuni da cui prendere le mosse. Nella ‘presentazione’, in cui si attua la procedura retorico-didattica, l’argomentazione deve consentire un’agevole fruibilità da parte di soggetti non acculturati almeno sul tema specifico; gli uditori non devono sentirsi soltanto spettatori, ma in qualche modo attori della scoperta; il suo successo dipende dall’apparentemente autonoma condivisione della ‘di-mostrazione’ da parte del pubblico.
Il carattere ellittico dell’entimema dipende da una precisa assunzione strategica del parlante, che vuole e deve lasciare all’ascoltatore l’impressione di completare da solo il lavoro di scoperta e di invenzione dei nessi dai quali si lascia persuadere; in ciò risiede il suo ‘gusto’. L’oratore conduce (sapientemente) l’uditorio al risultato prefissato facendo a esso provare (per una sorta di contagio naturale, di capillarità) la piacevole sensazione di annullare progressivamente e autonomamente la distanza tra il noto e l’ignoto, di ‘completare la griglia’, un po’ come nei giochi enigmistici o nel sudoku. Ciò blandisce l’amor proprio e lusinga l’autostima, in quanto diventa occasione di mettere alla prova l’intelligenza, nel senso etimologico dello intus-legere, di riempire gli spazi bianchi tra le righe scritte: l’insegnante, per dirla con Eraclito, “non dice, né nasconde, ma indica” [B 11]. Perciò l’argomentare efficace, anche in sede didattica, non parte da troppo lontano, ma da conoscenze condivise; non fa tutte le fermate, non esplicita tutti i passaggi, perché sa che l’ascoltatore può stancarsi o distrarsi (la persuasione è anche figlia del tempo) e perché vuole che il senso di inferiorità iniziale dell’uditore sia sostituito dal sentimento del proprio ruolo attivo nella scoperta. Va evitato, in altre parole, il senso di costrizione prodotto dall’epicherema: quel ragionamento troppo ricco di prove schiaccianti, che non lascia spazio all’iniziativa dell’ascoltatore.
Il paziente lettore di queste righe dovrebbe poter concludere con me (e piacevolmente): l’entimema, “più lo mandi giù, più ti tira su”.

tratto da: http://www.treccani.it/scuola/maturita/materiale_didattico/argomentare_e_dimostrare/sensi.html

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