Umberto Galimberti, La nascita della coscienza in Occidente

by gabriella

Umberto Galimberti

Testo della lezione La nascita della coscienza in Occidente.

Siamo tutti persuasi che l’uomo è composto di anima e corpo. Del corpo se ne occupa la medicina e dell’anima se ne occupa religione e, per altro verso, la psicologia. La domanda che ci poniamo è: è vera questa impostazione? e ancora, come si è giunti a questa concezione dell’uomo? e qui dobbiamo incominciare dall’inizio. 

La parola psyché la incontriamo in Omero con riferimento all’ultimo respiro, psychein infatti è un verbo greco che significa respirare e anche la parola corpo in greco soma era riferita unicamente al cadavere, nel senso che il corpo vivo per Omero era un corpo nominato a partire dalle sue membra e dai suoi gesti, per cui Omero parla di gambe e braccia, del timo e del diaframma.

Ettore

Dice, per esempio, che Ettore presentì l’arrivo dei cavalli di Midone con il timo e col diaframma e quando Ulisse va nell’Ade e incontra l’ombra di sua madre, dice Omero, per tre volte tentò di abbracciarla, ma quest’ombra gli trasvolò in fra le braccia, perché i morti non più possiedono nervi né muscoli e questa è la situazione concepita da Omero per cui l’uomo è solamente corpo vivente, corpo che è espressivo, corpo che non è rappresentativo di uno scenario che si svolge alle sue spalle che sarebbe ad esempio l’anima.

L’ira di Ulisse non è un evento psichico, ma un evento fisico. Ulisse balzato sull’alto limitare, coi lombi sporchi di sangue, con le braccia agili e forti, con l’arco e la faretra, ecco questa è l’ira: il corpo è espressivo, non rappresentativo di uno scenario psichico o che si svolge una l’interiorità dell’uomo.

Questa concezione omerica l’abbiamo citata perché verrà ripresa nel 900 da una corrente fenomenologica divenuta poi anche psichiatrica che si chiama fenomenologia: il corpo è in relazione al mondo, riceve gli stimoli del mondo, noi non siamo al mondo come tutte le cose che pure sono nel mondo, ma siamo al mondo come coloro che hanno un mondo e in questa interazione corpo e mondo è la concezione omerica che non ha bisogno di nessun elemento psichico.

La parola psyche, e di conseguenza la sua divisione dal corpo, viene introdotta dagli Orfici. Gli orfici sono una setta religiosa che ritiene il corpo una prigione dell’anima e concepiscono l’anima come una scintilla divina, un principio Divino imprigionato dal corpo da cui si deve sostanzialmente liberare per fare a meno del peso della materia.

L’anima infatti è agile, si muove non è obbligata dalla fisicità a occupare un certo tempo, un certo spazio e per raggiungere questa dimensione animica, disgiunta dal corpo, bisogna sottoporre il corpo a digiuni e penitenze e attraverso le penitenze e la mortificazione del corpo l’anima diventa sempre più viva e agile. Questa concezione viene successivamente ripresa da Platone il quale dice che forse non avevano del tutto torto coloro che ritenevano essere il corpo in greco soma, la tomba in greco, sema, dell’anima.

 

2. Il mito di Er

Platone (428-7 – 348-7 a. C.)

Secondo Platone, l’anima dell’uomo è immortale e incorporea come racconta nel famoso mito di Er contenuto nella Repubblica.

Er, l’eroe morto in battaglia racconta che la sua anima, una volta uscita dal corpo, si era messa in cammino con molte altre fino a giungere in un luogo divino dove i giudici delle anime emettevano sentenze: i giusti e gli ingiusti venivano assegnati a due voragini diverse, la prima che portava verso il cielo, la seconda verso la terra.

Nelle due voragini, quella celeste e quella terrestre, le anime restavano mille anni durante i quali i giusti venivano ricompensati, gli ingiusti, invece, ricevevano castighi ed espiazioni.

Dopo questo periodo, le anime dovevano reincarnarsi e tornare alla vita mortale. Ognuna di esse era chiamata quindi a scegliere il proprio daimon, ovvero la propria sorte, il modello di esistenza che sarebbe andata a condurre. E accadeva che le anime scegliessero in base alle esperienze della vita passata.

Agamennone

Er vide l’anima dell’eroe Agamennone scegliere il corpo di un’aquila a causa dell’ostilità verso il genere umano che aveva imparato a provare con le sofferenze patite.

Un altro eroe, Odisseo, stanco dei lunghi travagli dei suoi viaggi, sceglieva la vita di un normale individuo. Le anime venivano quindi condotte al fiume Lete a berne l’acqua che faceva dimenticare. Lì sulla riva si addormentavano ed erano lanciate nella nuova avventura del nascere.

 

Psiche. Platone: l’anima e la conoscenza

Fino a quando noi possediamo il corpo
e la nostra anima resta invischiata in un male siffatto
noi non raggiungeremo mai in modo adeguato ciò che ardentemente desideriamo,
vale a dire la verità.

Platone

L’anima che noi pensiamo essere il prodotto della tradizione religiosa, in realtà è stata introdotta nella cultura occidentale da Platone. Però bisogna capire bene perché Platone ha introdotto o ha avuto bisogno di introdurre la nozione di anima.

Platone era interessato a costruire una conoscenza universale è valida per tutti, e una conoscenza universale valida per tutti non poteva essere costruita sulla base delle sensazioni corporee.

Giusto per fare un esempio se siamo in più persone e dovessimo decidere che temperatura c’è in un certo ambiente, ciascuno risponderebbe a partire dalle sue sensazioni corporee e avremmo tante temperature quante sono le sensazioni del corpo di ciascuno. E allora dice: su questa base noi non possiamo costruire un sapere oggettivo e valido per tutti, un sapere universale, valido per tutti non poteva essere costruito sulla base delle sensazioni corporee,  bisogna bisogna procedere per numeri e idee. 

Platone le chiamava idee, noi le possiamo chiamare con un linguaggio più moderno costrutti della mente, costrutti matematici, valori universali e per questo il corpo non serve e anzi è un ostacolo e qui Platone, riprendendo la tradizione orfica, dice che il corpo va mortificato, le passioni vanno contenute, perché i corpi si modificano, non danno sempre le stesse informazioni: noi cresciamo, siamo soggetti a passioni, ci ammaliamo e se dovessimo fidarci del corpo non giungeremmo ad un sapere oggettivo e valido per tutti e allora Platone teorizza l’anima. 

 

4. Psiche. Il dualismo di anima e corpo

Non s’ha da cercare se l’anima e il corpo sono uno,
come non lo si fa per la cera e per l’impronta
Aristotele

Quello che voglio sottolineare è che l’anima di Platone non ha che fare con problemi religiosi o con problemi di salvezza, ma ha a che fare con problemi di conoscenza.

Se vogliamo pervenire ad una conoscenza universale dobbiamo lavorare con i costrutti della mente, non con le sensazioni corporee. Organo di questi costrutti della mente è appunto l’anima.

La tradizione religiosa occidentale ha le sue radici nel mondo ebraico, nella tradizione giudaica, e anche il mondo giudaico, al pari di Omero, non aveva nessuna ipotesi dualistica, non concepiva l’uomo composto da anima e corpo, non c’era un dualismo antropologico, c’era piuttosto dualismo cosmico.

I due, nella tradizione giudaica, sono l’uomo e Dio che possono stare in opposizione o in alleanza, ma l’uomo è corpo e nient’altro che corpo.

E’ successo però un equivoco che quando la Bibbia è stata tradotta in greco, una paroletta aramaica, la parola nefesh è stata tradotta in greco con psychè. Le traduzioni non sono semplicemente delle trasposizioni linguistiche, ogni parola si porta con sé tutta la tradizione che l’ha costituita, confermata, e allora questa parola aramaica, nefesh, tradotta con la parola psychè, si è portata dietro tutta la cultura greca e particolarmente la cultura platonica che aveva impostato il dualismo anima e corpo.

 

6. Psiche. L’ebraismo e l’anima mortale

Si semina un corpo naturale
e risorge un corpo spirituale
Paolo di Tarso

La parola nefesh, basta considerarla nei suoi contesti e si capisce benissimo che non ha niente a che fare con l’anima. Dice per esempio il Salmo:

“legarono i miei piedi in ceppi e in catene misero la mia nefesh”.

Evidentemente, qui la nefesh è la gola. Il popolo ebreo si lamenta presso Jahvè che gli fornisce come alimento da troppi anni la manna e dice che

“la mia nefesh è nauseata”

dalla manna, evidentemente non è l’anima ma è di nuovo la gola.

Dice ancora il libro del levitico che il nazireo, colui che si appresta a diventare sacerdote, non deve toccare la nefesh met degli animali, met vuol dire morto, nefesh met vuol dire quindi l’anima morta. Quindi l’anima poteva anche morire? Si, ma nel senso che il sacerdote non poteva toccare il cadavere impuro dell’animale.

Ancora, la tradizione giudaica dice

“Occhio per occhio dente per dente, nefesh per nefesh”, “vita per vita”

e ancora non dice

“muoia Sansone con tutti i filistei” ma “muoia la mia nefesh con tutti i filistei”

quindi la nefesh è la vita dell’uomo, il suo corpo vivente con tutto il suo corredo di indigenza, di mancanza, di necessità del Soccorso Divino, ma il corpo umano.

La stessa tradizione ebraica che prevede una punizione per 7 generazioni è giustificata dal fatto che l’anima non è sopra al corpo e quindi se uno compiva un’ingiustizia e non veniva punito nella sua vita sarebbero stati puniti i figli e i figli dei figli per cui nell’ambito delle generazioni si sarebbe costituita la giustizia, ma questa cadenza è giustificata dal fatto che non c’era una sorta di sopravvivenza dell’anima sottoposta al giudizio di Dio.

Quando la Bibbia è stata tradotta in greco e la parola nefesh è stata sostituita con la parola greca psyché, la parola si è portata dietro la tradizione greca e si è cominciato a pensare in modo dualistico, quel dualismo di anima e corpo di cui tutti siamo convinti, probabilmente in modo improprio, deriva da questa configurazione linguistica.

Paolo di Tarso (4 – 64 o 67 d.C.)

Lo stesso Paolo di Tarso era assolutamente convinto, e qui entriamo in aria cristiana, era assolutamente convinto che i cristiani non sarebbero morti.

Dopo che Cristo è risorto, Paolo dice:

“o morte dov’è il tuo pungiglione?”

e segnala ai Tessalonicesi, nella prima lettera ai Tessalonicesi, che i cristiani non sarebbero morti, ma sarebbero stati assunti in cielo.

Gli comunicano però che anche i cristiani muoiono. Allora Paolo di Tarso trasforma la sua concezione dicendo se sono morti risorgeranno. Cosa vuol dire risorgeranno? Dice Paolo “con un corpo pneumatico”, pneumaticos soma, quindi non con un corpo, un’anima, immortale, ma con la resurrezione di un corpo pneumatico, fatto d’aria, uno spirituale se vogliamo oggi tradurlo così, anche se la parola spirito è molto equivoca. 

 

7. Psiche: Agostino. L’anima e la salvezza

Il modo in cui lo spirito è unito al corpo
non può essere compreso dall’uomo
e tuttavia in questa unione consiste l’uomo.
Sant’Agostino

Aurelio Agostino

Anche i cristiani, peraltro, nel loro Atto di fede non credono nell’immortalità dell’anima, ma credono nella resurrezione dei corpi. Il grande ideatore dell’anima è Agostino. Agostino recupera la concezione dualistica di Platone e come istituisce due città, la città terrena e la città celeste così istituisce l’uomo composto di anima e di corpo.

Naturalmente, è molto più facile pensare che dopo la morte sopravviva l’anima di quanto non sia facile pensare che i corpi risorgano. E’ questa impostazione dualistica che Agostino, persona molto colta che aveva studiato bene il neoplatonismo e anche Platone, desume dalla filosofia di Platone: la nozione dualistica di anima e di corpo. Però fa un piccolo spostamento che diventerà radicale e decisivo nella storia dell’Occidente, ovvero questo dualismo e questa introduzione della parola anima in Agostino non è più richiesto da un’esigenza di conoscenza, ovvero dal bisogno di costruire un sapere universale e oggettivo, ma risponde invece all’esigenza della salvezza, si sposta cioè il problema dell’anima alla conoscenza alla salvezza, dove i cristiani trovano il senso del loro destino sulla terra.

Da Agostino in poi si è persuasi, almeno in Occidente, di essere composti di anima e di corpo. Ma, mi preme sottolineare, la dimensione dell’anima non nasce dalla tradizione giudaico-cristiana, nasce nella tradizione greca.

Del resto, il cristianesimo è sempre stato una religione dei corpi. Dio si fa carne e subisce tutta la vicenda corporea che noi conosciamo dalla nascita alla morte. Tutta l’arte cristiana è tutta un’arte di corpi. Delle religioni monoteiste, sia l’ebraismo, sia l’islamismo non hanno nessuna rappresentazione dell’anima. Nei loro templi, sinagoghe e moschee ci sono solo versetti della Bibbia e del Corano, è solo la religione cristiana, come religione dell’incarnazione, a rivalutare i corpi e introduce questa figura dell’anima giusto per la sopravvivenza. Questa dimensione dura dal 400 dopo Cristo al 1500-1600 con la nascita della Scienza moderna.

 

 

 

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