Questo ottimo articolo di Riccardo Antoniucci, pubblicato dal Rasoio di Occam il 7 marzo 2013, mostra come il dibattito sui diritti degli omosessuali infuriato in Francia nel 2013 abbia messo in questione l’eredità critica del pensiero filosofico francese.
Osservando la torsione degli argomenti dello strutturalismo operata dai teorici conservatori, non si può che ripensare al dibattito di Eindhoven (Chomsky vs Foucault) per constatare quanto Foucault avesse ragione:
Le regole a cui ogni singolo si conforma e da cui eventualmente devia – sosteneva – non sono innate, ma prendono corpo nelle pratiche economiche, sociali, politiche.
le nozioni di natura umana, di giustizia, di realizzazione dell’essenza umana sono nozioni formatesi all’interno della nostra civiltà, nel nostro tipo di sapere, nella nostra forma di filosofia; di conseguenza esse fanno parte del nostro sistema di classe e non possono valere per descrivere o giustificare una lotta che dovrebbe scuotere gli stessi fondamenti della nostra civiltà […] anziché pensare alla lotta sociale in termini di giustizia, bisogna pensare alla giustizia in termini di lotta sociale.
Uno dei miei obiettivi è mostrare alla gente come tante cose che fanno parte del suo orizzonte abituale non sono che il risultato di mutamenti storici molto precisi […] le mie analisi si muovono tutte in direzione opposta all’idea che ci siano delle necessità universali nell’esistenza umana. Esse mettono in luce l’arbitrarietà di certe istituzioni e fanno vedere come noi possiamo ancora godere di un notevole spazio di libertà e come si possano ancora operare molti cambiamenti.
Michel Foucault
Come mostra Antoniucci nelle conclusioni, l’interesse di questo dibattito va dunque al di là del tema, poiché mostra in modo esemplare le modalità di “inversione retorica” operanti nella stagione di “ritorno all’ordine” invocata dal pensiero reazionario francese.
C’è chi sostiene polemicamente, come Yves-Charles Zarka, che è ormai l’unico tema su cui destra e sinistra sono ancora chiaramente distinguibili, in mancanza di progetti realmente alternativi alla politica neoliberista. Ad ogni modo, come spesso accade in Francia, il dibattito sulla legge che estende il diritto al matrimonio alle coppie omosessuali (già approvata alla Camera e in attesa di essere discussa al Senato il 2 aprile con il suo corollario di norme sulla possibilità per gli omosessuali di avere figli tramite affitto di utero o inseminazione artificiale), si accompagna a un’intensa querelle filosofica.
Sì, perché la posta in gioco, in questa discussione sul riconoscimento dei matrimoni gay, non è solo politica, ma anche filosofica. Si assiste, infatti, allo scontro campale fra le cosiddette “teorie di genere”, rodate da anni di dibattito negli Stati Uniti, e concezioni più tradizionali basate sulla differenza sessuale tra uomo e donna. Le prime affermano la convenzionalità dei costumi sessuali in quanto dipendenti da norme sociali storicamente determinabili; le seconde pretendono di fondare la differenza dei sessi sulla biologia, sullo sfondo di una caratterizzazione ontologica incontrovertibile della “natura umana”.
Senz’altro, il primo punto di interesse suscitato dalla campagna per il riconoscimento di pari dignità alle unioni omosessuali sta nel fatto che si tratta del più avanzato fronte pratico della battaglia, filosofica e politica, per scombinare l’ordine del discorso teso a normalizzare le condotte sessuali(1).
Tuttavia, questa versione francese del dibattito sui diritti civili è interessante anche dal lato dell’opposizione al progetto di legge. Per l’originalità di alcune tesi avanzate.
Leggendo gli interventi, ci si rende conto, infatti, che gli argomenti che vanno per la maggiore tra gli oppositori non sono soltanto di ascendenza religiosa. Non vengono avanzate, insomma, proprio quelle posizioni che siamo abituati a riconoscere agli oppositori del riconoscimento dei diritti degli omosessuali (nel nostro Paese come negli Stati Uniti), e che rimandano a una teologia che assegna stabilmente i ruoli sessuali e il senso di questi ruoli [qui un ottima ricognizione di questi argomenti, NDR]. Al contrario, la parte più attiva del fronte di opposizione alla legge si avvale di riflessioni che fanno riferimento a un universo concettuale del tutto laico, ancorato a dei saperi decisamente “contemporanei” come l’antropologia e la psicoanalisi. Ma l’originalità di questa ripresa sta nel fatto che conferma una tendenza che ha caratterizzato, negli ultimi anni, il panorama culturale francese, e non solo. È una tendenza che si potrebbe definire del “richiamo all’ordine”(2), e che si può chiarire attraverso l’analisi di alcune tesi dei conservatori.
Invarianti antropologiche e normalizzazione della sessualità
Il testo più citato in questo campo non è la Genesi, ma Le strutture elementari della parentela di Lévi-Strauss. Il riferimento all’antropologia strutturale è incentrato sulla questione dell’incesto, la cui proibizione è determinata come un invariante strutturale, perno del sistema di scambi di donne e di costituzione della parentela.
Ora, questa analisi levistraussiana è assunta, nei discorsi anti-matrimoni gay, come la prova dell’impossibilità di riconoscere socialmente un’unione omosessuale, perché ciò pregiudicherebbe l’intera organizzazione della parentela. È quanto afferma, ad esempio, Sylviane Agacinsky, insegnante fino al 2010 all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, che ha fondato, con Jacques Derrida, il Collège International de Philosophie. Alla radio il 29 gennaio (3) e, qualche giorno dopo, dalle colonne di Le Monde, la compagna di Lionel Jospin ha dichiarato che
“la filiazione legale riproduce analogicamente la coppia procreatrice, asimmetrica e eterogenea. Ne mantiene la struttura, o lo schema, che è quello della generazione biologica da sue sessi. È in questi termini che si può comprendere l’antropologo e etnologo Claude Lévi-Strauss quando scrive che “i legami biologici sono il modello sul quale si concepiscono le relazioni di parentela”. Ora, si noterà che questo modello […] [è] biologico e quindi qualitativo (uomo + donna), poiché i due [ruoli] non sono interscambiabili”(4). Negare l’esistenza di un invariante antropologico fondato sulla differenza tra i sessi concepita come naturale e astorica, sarebbe dunque, sempre per Agacinscki, una “negazione [dénégation] violenta della finitezza e dell’incompletezza di ciascuno dei due sessi”.
Ma, a ben vedere, questa lettura opera una forzatura della logica dell’antropologia strutturale, spostando il fuoco dell’invarianza antropologica: dalla proibizione dell’incesto al rigetto dell’omosessualità come istituzione sociale. In molti hanno segnalato l’indebito salto logico, confutando l’idea che Lévi-Strauss abbia sostenuto l’invarianza del rapporto uomo-donna nelle società umane. Fra gli altri, Françoise Héritier, la più fedele allieva dell’etnologo, che ricorda che il matrimonio è una costruzione sociale, e che come tale Lévi-Strauss l’ha analizzata. Tutt’al più, Le strutture elementari della parentela dimostra che il modello eterosessuale è una costruzione sociale antichissima, istituita per rispondere al problema (economico, come insegnava già Mauss) rappresentato dal fatto che solo le donne possiedono il dono della procreazione, per entrambi i sessi(5). Per l’antropologia strutturale, il modello di base del matrimonio è quello dell’alleanza: niente impedisce, a rigore, che questo patto si possa stipulare fra due donne o due uomini. E tanto basta a confutare la tesi dell’allineamento di Lévi-Strauss nelle fila del partito del no al matrimonio gay.
Tuttavia, al di là della fondatezza della tesi di Agacinsky, ciò che resta del suo discorso è il tentativo di “richiamare” l’antropologia strutturale alla causa della difesa dell’ordine sociale costituito.
Ma il “richiamo all’ordine” investe ancora più radicalmente la psicoanalisi. Sull’argomento dell’unione omossessuale, infatti, ma ancor di più sulla questione della procreazione assistita per coppie gay, si è prodotta in questa scuola una vera e propria frattura.
L’oggetto di scontro è rappresentato dalla genitorialità omosessuale. Molti psicoanalisti si oppongono al suo riconoscimento sostenendo, in sostanza, che essa comprometterebbe lo sviluppo della personalità del bambino in quanto comporterebbe l’abolizione della differenza sessuale (considerata essenziale) tra i suoi genitori. Già il 3 ottobre 2012, in apertura di dibattito, numerosi psicoanalisti (tra cui Jean-Pierre Winter e Aldo Naouri) si affidavano alle pagine di Le Figaro per affermare l’inammissibilità della cosiddetta homoparentalité. Un mese dopo, appariva su Le Monde un documento di impostazione affine, intitolato significativamente “Touche pas à père-mère”, e i cui primi firmatari erano Chantal Delsol e Pierre Lévy-Soussan. Si dichiarava esplicitamente che
“Tutti i bambini del mondo hanno diritto a sperimentare la differenza tra genitori sessuati, che gli conferisce un’origine psichica fondante la loro individualità”(6).
Non tutti sono d’accordo. In risposta alla tribune di Le Monde, infatti, l’École de la Cause Freudienne (associazione sorta dalle ceneri della scuola fondata da Lacan nel 1964) ha pubblicato un documento “contro la stumentalizzazione della psicoanalisi” che sostiene chiaramente che “al livello dell’inconscio, i due sessi non sono legati da alcuna complementarità originaria, come espresso dall’aforisma di Lacan secondo cui il rapporto sessuale non esiste”(7).
La psicoanalisi contemporanea, del resto, anche sulla scorta delle importanti rielaborazioni critiche condotte nell’ambito delle teorie femministe, non può concepire l’“ordine simbolico” come un invariante astorico, immutabile e trascendente rispetto alla società: affermarlo costituirebbe una regressione teorica. Le leggi del simbolico, piuttosto, sono costituite a partire da rituali e forme che provengono dalla società, e mutano secondo il divenire storico di quest’ultima.
Nella posizione contraria al riconoscimento del matrimonio omosessuale emerge, così, oltre alla sua funzione descrittiva, un valore prescrittivo della psicoanalisi, che eleva la semplice constatazione della “norma” dell’eterosessualità a principio di normalizzazione delle condotte atipiche. Secondo la logica di questa lettura, la disciplina dovrebbe riprendere di diritto quella funzione normativa da cui i seguaci di Lacan si erano impegnati a liberarla.
Inversione retorica e richiamo all’ordine
Accostandosi con uno sguardo d’insieme al dibattito francese sul riconoscimento del matrimonio omosessuale, quello che si può distinguere è il manifestarsi di una tendenza: “assimilare” al fronte culturale conservatore concetti e teorie appartenenti a una stagione della riflessione filosofica (quella di Lévi-Strauss, di Lacan, ma anche di Foucault, Deleuze, Derrida e Lyotard) nata sotto tutt’altra stella che quella della conferma dello stato di cose esistenti.
In questo senso, la tendenza attuale sembra come il prolungamento di un processo “revisionistico” già avviato in Francia con la presidenza Sarkozy. Quando la destra si appropriò del tema dell’uguaglianza, debitamente edulcorato del suo potenziale critico, per giustificare i progetti di contrasto all’immigrazione e di affermazione dell’“identità nazionale”, cominciando anche a infarcire i propri discorsi di citazioni di Jean Jaurès o Guy Moquet.
Oggi, il dibattito sul matrimonio gay rende manifesto il fatto che questo processo è arrivato a lambire il discorso filosofico, mettendo in discussione l’eredità critica lasciata dal pensiero francese del Novecento.
E il discorso va ben oltre i confini dell’antropologia e della psicoanalisi. Finora, a tutte quelle teorie che, nei più diversi campi del sapere, mettevano in crisi l’ordine di pensiero costituito (la concezione del soggetto, della storia, dell’ontologia, dell’uomo), si era reagito con la rimozione. Ora, invece, superato questo stadio, sembra cominciare, un processo di revisione: un “richiamo all’ordine” il cui cardine sarebbe costituito, come nota il sociologo Eric Fassin, da un’operazione di “inversione retorica”(8) dei concetti.
Di fronte a questo stato di cose, non si può non constatare la complessità del compito di chi non accetta questa riduzione della critica al servizio della conservazione. Da un lato, si impone il dovere di una “battaglia della memoria”; dall’altro, la necessità di riattivare una possibile “attitudine critica”, orientata verso nuovi orizzonti.
Note
(1) Si fa riferimento alla teoria radicale di Judith Butler. Una buona sintesi del suo pensiero politico si può trovare nell’articolo “Faire et défaire le genre”, consultabile all’indirizzo http://multitudes.samizdat.net/Faire-et-defaire-le-genre.
(2) Riprendiamo con quest’espressione la formula che intitola il libro dello storico Daniel Lindenberg, Le rappel à l’ordre. Enquête sur les nouveaux reactionnaires, Éditions du Seuil, Paris 2002. Pur nell’apprezzamento dell’approccio complessivo che caratterizza l’opera di Lindenberg, occorre tuttavia ricordare che essa resta, in molte sue parti, decisamente discutibile.
(4) Cfr. l’articolo «Deux mères= un père?» su Le Monde del 3 febbraio 2013, consultabile all’indirizzo: http://www.lemonde.fr/idees/article/2013/02/03/deux-meres-un-pere_1826278_3232.html.
(5) Cfr. l’intervento pubblicato nel blog Feministes en tous genres: http://feministesentousgenres.blogs.nouvelobs.com/archive/2012/11/23/francoise-heritier-la-famille-heterosexuee-est-tout-autant-u.html.
(6) Il testo del documento uscito su Le Monde è consultabile qui: http://www.lemonde.fr/idees/article/2012/11/08/touche-pas-a-pere-et-mere_1788107_3232.html.
(7) Il testo è consultabile all’indirizzo: http://www.causefreudienne.net/psychanalyse-et-politique/2013-01-13.
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