L’introduzione di Castel a questo testo del 2003 dal sottotitolo Che significa esere protetti?, che è già un piccolo classico.
Si possono distinguere due grandi tipi di protezioni. Le protezioni civili garantiscono le libertà fondamentali e assicurano la sicurezza dei beni e delle persone nell’ambito di uno Stato di diritto. Le protezioni sociali «coprono» contro i principali rischi che sono in grado di provocare un degrado della condizione degli individui: rischi come la malattia, l’infortunio, la mancanza di denaro durante la vecchiaia, gli imprevisti dell’esistenza, che possono sfociare, al limite, nel declassamento sociale. Da questo doppio punto di vista, viviamo senza dubbio – perlomeno nei paesi sviluppati – nelle società più sicure finora mai esistite. Le comunità non ben pacificate, dilaniate da lotte intestine, dove la giustizia era sbrigativa e l’arbitrio permanente, sembrano, viste dall’Europa occidentale o dall’America del Nord, l’eredità di un lontano passato. Lo spettro della guerra, questa terribile portatrice di violenza, si è anch’esso allontanato: ormai si aggira e a volte imperversa ai confini del mondo civilizzato. Allo stesso modo, si è allontanata da noi quel tipo d’insicurezza sociale permanente che derivava dalla vulnerabilità delle condizioni di vita e condannava, un tempo, una gran parte del popolo a vivere «alla giornata», alla mercé del minimo incidente di percorso. Le nostre esistenze non si sviluppano più dalla nascita alla morte senza reti di sicurezza. Quella che correttamente chiamiamo «sicurezza sociale» è divenuta un diritto per la stragrande maggioranza della popolazione e ha dato origine a una moltitudine di istituzioni sanitarie e sociali che si fanno carico della salute, dell’educazione, delle incapacità connesse all’età, delle deficienze fisiche e mentali. A tal punto che si è potuto descrivere questo tipo di società come «società assicuranti», che assicurano, in qualche modo di diritto, la sicurezza dei loro membri.Tuttavia, in queste società circondate e attraversate da protezioni, le preoccupazioni relative alla sicurezza rimangono onnipresenti. Non possiamo certamente eludere il carattere inquietante di questa constatazione sostenendo che il sentimento di insicurezza non sia che un fantasma tipico dei benestanti, i quali avrebbero dimenticato sia il prezzo che veniva pagato in termini di sangue e di lacrime sia il livello di durezza e di crudeltà della vita di un tempo. Questo sentimento di insicurezza comporta tali effetti sociali e politici da entrare davvero a far parte della nostra realtà e da strutturare persino, in larga misura, la nostra esperienza sociale. Bisogna convenirne: mentre le forme piu pesanti della violenza e del degrado sociale sono state ampiamente stroncate, l’assillo della sicurezza è una preoccupazione popolare, nel senso forte del termine.
Come rendere conto di questo paradosso? Esso ci porta a ipotizzare che non bisognerebbe opporre insicurezza e protezioni come se appartenessero a due registri contrapposti dell’esperienza collettiva. L’insicurezza moderna non sarebbe l’assenza di protezioni, ma piuttosto il loro rovescio: la loro ombra, proiettata in un universo sociale che si è organizzato attorno a una richiesta senza fine di protezioni o attorno a una travolgente ricerca di sicurezza. Cosa significa essere protetti in tali condizioni? Non vuol dire radicarsi nella certezza di poter dominare perfettamente tutti i rischi dell’esistenza; vuol dire piuttosto vivere circondati da sistemi sicuritari che sono costruzioni complesse e fragili e che portano in se stessi il rischio di fallire nel loro compito e di deludere le aspettative che producono. L’insicurezza verrebbe cosi creata proprio dalla ricerca delle protezioni, per la buona ragione che il sentimento di insicurezza non è un dato immediato della coscienza. Esso, al contrario, è connesso a configurazioni storiche differenti, poiché la sicurezza e l’insicurezza sono rapporti relativi ai tipi di protezioni che una società assicura o non assicura in maniera adeguata. Oggi, in altri termini, essere protetti significa anche essere minacciati. La sfida da raccogliere consisterebbe allora nel comprendere meglio la configurazione specifica di queste relazioni ambigue tra protezione e insicurezza, oppure tra assicurazioni e rischi, nella società contemporanea.
Per convalidare questa ipotesi proporremo qui un percorso analitico. Il filo conduttore è la convinzione secondo cui le società moderne sono costruite sul terreno dell’insicurezza poiché sono società di individui che non riescono a trovare una garanzia di proiezione né in se stessi né nell’immediato entourage. Se vero che queste società si sono dedicate alla promozione dell’individuo, è altrettanto vero che esse promuovano anche la sua vulnerabilità proprio nel momento in cui lo valorizzano. Ne risulta che la ricerca delle protezioni appartiene in maniera sostanziale allo sviluppo di questo tipo di società. Ma questa ricerca assomiglia, per certi versi, agli sforzi impiegati per riempire una botte piena di fori – come quella delle Danaidi – che lascia sempre filtrare il pericolo. Il sentimento di insicurezza non è del tutto proporzionale ai pericoli reali che minacciarlo una popolazione. Esso è piuttosto l’effetto di un dislivello tra un’aspettativa socialmente costruita di protezioni e le capacità effettive, da parte di una determinavi società, di farle funzionare. L’insicurezza, insomma, è in larga misura il rovescio della medaglia di una società che garantisce la sicurezza.
Idealmente, bisognerebbe ridisegnare una storia della realizzazione di questi sistemi di protezione e delle loro trasformazioni che arrivi fino a oggi: e cioè fino al momento in cui la loro efficacia appare difettosa, sia a causa dell’aumentata complessità dei fischi che si ritiene debbano essere stroncati da tali sistemi, sia a causa dell’apparizione di nuovi rischi e di nuove forme di sensibilità ai rischi. Programma che non potrà, evidentemente, essere qui realizzato in modo esaustivo. Ci si accontenterà di tratteggiare questo percorso a partire dal momento in cui la problematica delle protezioni si ridefinisce attorno alla figura dell’individuo moderno, che vive l’esperienza della propria vulnerabilità. Ma si insisterà anche sulla differenza tra i due tipi di «copertura» che tentano di eliminare l’insicurezza. Vi è una problematica delle protezioni civili e giuridiche, che rinvia alla costituzione di uno Stato di diritto e agli ostacoli affrontati per radicarle il più vicino possibile alle esigenze espresse dagli individui nella loro vita quotidiana. E vi è una problematica delle protezioni sociali, che rinvia alla costruzione di uno Stato sociale e alle difficoltà che esso incontra per poter assicurare l’insieme degli individui contro i principali rischi sociali. La questione dell’insicurezza contemporanea potrà chiarirsi, speriamo, se si coglie la natura degli ostacoli frapposti alla realizzazione di un programma di sicurezza totale – ostacoli presenti in ciascuno di questi due assi della problematica delle protezioni – e inoltre se si prende coscienza dell’impossibilità di fare in modo che questi due ordini di protezioni coincidano completamente.
Si sarà allora in grado, forse, di comprendere perché proprio l’economia delle protezioni produce una frustrazione sicuritaria, la cui esistenza appartiene in maniera sostanziale alle società che si costruiscono attorno alla ricerca della sicurezza. E questo per due ragioni. In primo luogo perché i programmi di protezione, non potendo mai essere realizzati pienamente, producono delusione e perfino risentimento. In secondo luogo perché un loro successo, anche relativo, dominando certi rischi ne fa emergere di nuovi. E quel che accade oggi con l’eccezionale esplosione di questa nozione di rischio. Una tale esasperazione della sensibilità verso i rischi mostra assai bene che la sicurezza non è mai data, e neppure conquistata, poiché l’aspirazione ad essere protetti si sposta come un cursore e pone nuove esigenze, man mano che i suoi obiettivi precedenti stanno per essere raggiunti. Cosi, riflettere sulle protezioni civili e sulle protezioni sociali significa anche, necessariamente, interrogarsi sulla proliferazione contemporanea di un’avversione al rischio, la quale fa si che l’individuo contemporaneo non possa mai sentirsi totalmente al sicuro. In effetti, chi ci proteggerà – a parte Dio o la morte – se per essere del tutto tranquilli bisogna poter dominare completamente tutti gli eventi imprevedibili della vita?
Questa presa di coscienza della dimensione propriamente infinita dell’aspirazione alla sicurezza, cosi come emerge nelle nostre società, non deve tuttavia portarci a rimettere in discussione la legittimità della ricerca di protezioni. Al contrario, tale presa di coscienza è la tappa critica necessaria che occorre attraversare, al fine di individuare il percorso oggi necessario per far fronte alle insicurezze nella maniera più realistica: si tratta di combattere i fattori di dissociazione sociale che sono all’origine sia dell’insicurezza civile sia di quella sociale. Cosi facendo, non troveremo la garanzia di essere liberati da tutti i pericoli, ma potremmo conquistare l’opportunità di abitare un mondo meno ingiusto e più umano.
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