La realtà e il suo specchio
Il Seicento è un’età di forti contraddizioni: è il secolo della Rivoluzione scientifica e della caccia alle streghe, delle teorie politiche innovative di Thomas Hobbes e John Locke e della Guerra dei Trent’Anni, delle arti barocche e della censura religiosa. Nessun secolo quanto il XVII si presta altrettanto bene a testare lo schema interpretativo dell’epoca contrassegnata dalla ‘crisi delle certezze’ che poi si dispiega in tutta la sua ampiezza per descrivere il Novecento.
Di questa situazione di transizione, di questa impotenza dell’individuo di fronte a qualcosa che eccede le capacità di comprensione o le possibilità di azione la massima espressione è il dubbio.
Il dilemma di Amleto
Amleto è un personaggio già moderno, come del resto altre grandi figure shakespeariane. La modernità del suo carattere si coglie in molti aspetti. Per esempio, la rivelazione da parte dello spettro di suo padre (freudianamente Amleto pure lui) delle modalità dell’avvelenamento subito e l’affidamento di una missione di “sacra vendetta” non vengono recepite con entusiastico vigore dal giovane principe. Amleto tituba, tentenna, lo spettro deve apparire una seconda volta per spronare il principe di Danimarca a compiere il gesto riparatore, l’atto che restituisca al mondo un equilibrio arcaico, barbaro, basato sul ripagare ferocia con ferocia. L’accettazione di questo compito, rimettere in sesto un mondo ‘fuor di quadro’, implica però dover affrontare la più drammatica tra le alternative: “essere o non essere”, cioè agire – e morire o essere comunque dannati – o non agire e sopravvivere disattendendo la voce dello spettro? Non si tratta di un dilemma del quale si conosca già la risposta: dalla terra dei morti nessuno è mai tornato per dirci se e quale sia la pena per l’anima peccatrice.
Tuttavia, l’opzione medievale (il timore della punizione divina) è comunque scartata. Ma l’azione, in seguito, si svolge in modo obliquo, attraverso giochi di potere e manipolazione: Amleto che si finge pazzo – e Ofelia ne è la tragica vittima –, che organizza la messinscena della recita degli attori con la riproposizione del delitto subito dal padre, non obbedisce in forme dirette, virili, all’imperativo di vendetta come avrebbe fatto, al suo posto, un altro eroe tragico, Oreste per esempio. Egli tenta fino all’ultimo di indurre nel colpevole un pentimento o un gesto che lo liberi dal peso di dover scegliere, ma Amleto sceglie di agire solo quando qualcuno ha già deciso per lui, ferendolo con una spada avvelenata. A quel punto, la tragedia in un istante si conclude con un’ecatombe degna di un film di Quentin Tarantino. Poi arriva Fortebraccio, pronuncia qualche parola, sipario.
Cartesio, il dubbio metodico
Il dubbio di Cartesio percorre tutta un’altra strada. È il dubbio ‘barocco’: non è un vero e proprio dubbio, poiché il punto di arrivo è già noto in partenza per il filosofo, non è l’alternativa tra conoscere e non conoscere, c’è solo lo spettacolo del dilemma. Cartesio, sia nel Discorso sul Metodo (1637) sia in quello delle Meditazioni metafisiche (1641), si serve dell’espediente retorico del “dubbio metodico”. Esso è, apparentemente, iperbolico, perché finge di giungere alle estreme conseguenze: la totale negazione della presenza di un fondamento reale della conoscenza. In realtà, Cartesio sa benissimo a quale esito voglia condurre il lettore e l’introduzione drammaturgicamente forte del personaggio del deus deceptor, il dieu trompeur, il dio ingannatore – chiamato anche genio maligno (malin génie) – non è altro che un colpo di scena che serve a far trattenere il fiato, a produrre il rullo di tamburi che accompagna la rivelazione del Cogito ergo sum e, con esso, l’apparizione dell’appiglio solido su cui fondare la conoscenza. Infatti, Cartesio avrebbe potuto cogliere la vertigine del dubbio estremo già quando dice che i sensi sono inaffidabili e che la vita che viviamo potrebbe essere quella di un sogno. La percezione fallace metterebbe, comunque, il soggetto di fronte a quella incertezza ontologica che autorizzerebbe a riconoscere nel momento del dubbio più profondo la certezza di essere una cosa dubitante. Percipio ergo sum, però, non è affatto il punto di arrivo che Cartesio si era preposto di usare come fondamento della realtà. Cartesio non è Locke. Con la magia del teatro, di un teatro filosofico, Cartesio conquista il lettore al suo gioco di prestigio.
La rappresentazione cartesiana del dubbio, per altro, trova consonanze nell’opera teatrale simbolo del barocco seicentesco spagnolo: La vita è sogno (1635) di Pedro Calderón de la Barca. Qui il personaggio di Sigismondo riconosce proprio nel confondersi della realtà e del sogno (dovuta all’inganno del narcotico) che l’essenza stessa della realtà non ha più sostanza del sogno e dunque non vale la pena infliggere ai simili dolore e sofferenza. E così torniamo a Shakespeare: “Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni” (La Tempesta, IV, I, 156).
Blaise Pascal, uomo di fede e ragione
In Pascal, invece, troviamo la straordinaria convivenza di due certezze che il Seicento riteneva fortemente in competizione: le certezze della scienza e quelle della fede. Il Seicento si era inaugurato, in fondo, proprio con un autodafé, il rogo per eresia di Giordano Bruno, il 17 febbraio 1600. Galileo era stato condannato dal Sant’Uffizio e Descartes, per cautela, aveva riposto nel cassetto i propri trattati sul mondo e sull’uomo per non incorrere nelle ire dell’Inquisizione. Pascal, al contrario, fa convivere in sé lo scienziato, che dimostra la presenza del vuoto in natura – teatralizzando il tutto con l’esperimento del 22 settembre 1648 sul Puy de Dôme – confutando pressoché definitivamente l’impianto della fisica aristotelica, e l’uomo religioso che a un certo punto dedica la sua esistenza a riflettere sulla fede e sulla salvezza. Pascal, uomo di fede e di ragione, è consapevole che non si possa dimostrare l’esistenza di Dio come si dimostra la presenza del vuoto in natura e per questo non inscena l’ennesimo tentativo di provare logicamente Dio, ma, utilizzando il calcolo delle probabilità da lui inventato, espone il famoso argomento del pari, la scommessa sull’esistenza di Dio. Conviene puntare sull’esistenza di Dio – afferma Pascal – non perché sappiamo con certezza che esiste, ma perché se esiste guadagniamo la posta intera (l’eternità) con una piccola puntata (questa esistenza).
Bibliografia
Risorse Treccani
Risorse Web
- > Il progetto Internet Encyclopedia of Philosophy (IEP, in inglese): Cartesio
- > Il progetto Internet Encyclopedia of Philosophy (IEP, in inglese): Pascal
- > Amleto, atto III, scena I, Laurence Olivier nel film del 1948
- > Amleto, atto III, scena I, Kenneth Branagh nel film del 1996
- > I monologhi di Segismondo in La vida es sueño (versione televisiva TVE anni ’60 attore Julio Nuñez)
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