Freud, Il disagio della civiltà (1930), trad. it Milano, Newton, 2010.
La vita, quale ci è imposta, è troppo pesante per noi, ci causa troppi dolori, delusioni, compiti impossibili da assolvere. Per sopportarla non possiamo fare a meno di lenitivi (impossibile farcela senza costruzioni ausiliarie, ci ha detto Theodore Fontane).
Di tali lenitivi esistono forse tre specie: potenti distrazioni, che ci fanno disdegnare la nostra miseria, soddisfazioni sostitutive, che la riducono, sostanze inebrianti che ci rendono insensibili ad essa. Qualcosa di questo genere è indispensabile. Sulle distrazioni punta Voltaire quando consiglia, concludendo il suo Candide, di coltivare il proprio giardino; una tale distrazione è anche l’attività scientifica. Le soddisfazioni sostitutive, come quelle che offre l’arte, sono illusioni che confliggono con la realtà, ma non per questo sono meno efficaci psichicamente, grazie al ruolo che la fantasia svolge nella vita psichica […]. p. 98.
Ci domanderemo […] che cosa gli uomini lascino scorgere attraverso il loro comportamento, come scopo e intento della loro vita. Sbagliare la risposta è quasi impossibile: vogliono la felicità, vogliono essere felici e rimanerlo. Questa aspirazione ha due facce: un fine positivo e uno negativo, da un lato vuole l’assenza di dolore e malessere, dall’altro la fruizione di forti sentimenti di piacere […].
È, come si vede, semplicemente il programma del principio del piacere che pone lo scopo della vita. Questo principio domina fin dall’inizio il funzionamento dell’apparato psichico, eppure il suo programma fa a pugni con tutto il mondo […] Soprattutto esso non è realizzabile, tutto l’ordine dell’universo gli si oppone, si può dire che il disegno di rendere l’uomo felice non fa parte del piano della “creazione”.
Quella che nel senso più stretto si chiama felicità scaturisce dalla soddisfazione per lo più subitanea di bisogni fortemente compressi e, per sua natura, è possibile solo come fenomeno episodico […] noi siamo fatti in modo da poter godere intensamente solo nel contrasto, solo pochissimo invece dello stato. Le nostre possibilità di felicità sono quindi limitate già dalla nostra costituzione. p. 99.Come la soddisfazione delle pulsioni è felicità, così il mondo esterno diventa causa di gravi sofferenze quando ci fa stentare e si rifiuta di saziare i nostri bisogni. Agendo su questi moti pulsionali si può dunque sperare di limitarsi in parte della sofferenza. Questo tipo di difesa dal dolore non ha più a che fare con l’apparato sensoriale: esso cerca di controllare le fonti interne dei bisogni. In maniera estrema ciò accade quando le pulsioni vengono mortificate, come insegna la saggezza orientale e come pratica nella sua prassi lo yoga. Se la cosa riesce, si è rinunciato con ciò, indubbiamente, anche a ogni altra attività (si è sacrificata la vita) e d’altra parte si è ottenuta, ancora una volta, solo la felicità della tranquillità […]. Ciò che allora domina sono le istanze psichiche superiori che si sono sottomesse al principio di realtà. p. 102.
[…] si può aggiungere il caso interessante in cui la felicità della vita viene ricercata prevalentemente nel godimento della bellezza, dovunque questa si presenti ai nostri sensi e al nostro giudizio, della bellezza delle forme e dei gesti umani, degli oggetti naturali e dei paesaggi, delle creazioni artistiche e finanche scientifiche.
Questo atteggiamnerto estetico nei confronti dello scopo della vita offre scarsa protezione contro la minaccia del dolore, ma può costituirne un grande risarcimento […]. L’utilità della bellezza non brilla alla luce del sole, la sua necessità individuale non è facile da individuare e tuttavia la civiltà non potrebbe farne a meno». p. 106.
Commenti recenti