E’ un’idea di Karl Polanyi che per i sistemi di mercato il fascismo resta un’alternativa sempre possibile (La grande trasformazione, Torino, Einaudi, 1974, p. 299). Lo stralcio seguente dell’intervista concessa da Slavoj Žižek ad Antonio Gnoli sull’allontanamento del capitalismo dalla democrazia, me l’ha fatta tornare in mente.
Una dittatura può essere un sistema necessario per un periodo transitorio. […] Personalmente preferisco un dittatore liberale ad un governo democratico non liberale. La mia impressione personale – e questo vale per il Sud America – è che in Cile, per esempio, si assisterà ad una transizione da un governo dittatoriale ad un governo liberale.
Friedrich von Hayek
La mano invisibile del mercato non funzionerà mai senza un pugno invisibile. McDonald’s non può prosperare senza McDonnell Douglas e i suoi F-15. E il pugno invisibile che mantiene il mondo sicuro permettendo alle tecnologie della Silicon Valley di prosperare si chiama US Army, Air Force, Navy e Marine Corps.
Thomas L. Friedman, “A Manifesto for the Fast World“. New York Times. March 28, 1999.
Gnoli: Lei sostiene che sia stata recisa ogni connessione fra democrazia e capitalismo. Com’è accaduto? E cosa sostituisce oggi quel legame?
Žižek: Sì, nella mia interpretazione questo accade soprattutto in Cina, anche se non solo lì. Qualche tempo fa il mio amico Peter Sloterdijk mi confessò che, dovendo immaginare in onore di chi si costruiranno statue fra un secolo, la sua risposta sarebbe Lee Kwan Yew, per oltre trent’anni Primo ministro di Singapore. E stato lui a inventare quella pratica di grande successo che poeticamente potremmo chiamare «capitalismo asiatico»: un modello economico ancora più dinamico e produttivo del nostro ma che può fare a meno della democrazia, anzi funziona meglio senza democrazia. Deng Xiaoping visitò Singapore quando Lee stava introducendo le riforme e si convinse che quel modello andava applicato alla Cina.
Gnoli: La Cina, insomma, è il sorprendente laboratorio nel quale si progetta il nostro futuro?
Žižek: Diciamo che ci sono alcuni elementi che vanno in quella direzione. Se un nuovo modello si afferma e condiziona mondi culturalmente lontani, non si può non valutarne la forza di penetrazione. Sia Sloterdijk che io pensiamo che la scissione tra democrazia e capitalismo si stia lentamente espandendo. Se ne osservano elementi in Russia e, sebbene sarebbe chiaramente folle sostenere che l’Italia sia già uscita dalla democrazia, vedo anche qui tendenze non tanto alla sua sospensione formale, quanto alla sua neutralizzazione: si tende a rendere la democrazia irrilevante. Il punto è fare in modo che la gente accetti che i meccanismi democratici non siano davvero importanti, che esprimano un rituale completamente vuoto.
Del resto vedo aspetti di questo processo anche negli Usa. Quando esplose la crisi finanziaria, fu messo in discussione il primo grande intervento pubblico da, mi sembra, 700 miliardi di dollari. Alla prima votazione – Bush era ancora Presidente – il Congresso votò contro con due terzi dei suffragi. Cosa accadde? L’élite politica di entrambe le parti – Bush, Obama, McCain eccetera – si rivolse al Congresso più o meno con questi toni: «Ascoltate, non abbiamo tempo per questi giochetti democratici, questa roba bisogna approvarla e basta»; una settimana dopo, il Congresso rivotò ribaltando totalmente la sua precedente decisione. Non è dunque questione di individui pazzi o autoritari: no, c’è qualcosa nel capitalismo contemporaneo che spinge in questa direzione.
Gnoli: Si può dire che, rispetto al passato, la situazione si sia enormemente complicata. La famosa «globalizzazione» ha dilatato problemi che tradizionalmente trovavano una soluzione nell’ambito degli Stati-Nazione. Oggi non è più così. Con quali effetti per la democrazia?
Žižek: Credo che i meccanismi democratici non siano più sufficienti ad affrontare il tipo di conflitti che si prospettano all’orizzonte (sull’ecologia, le grandi migrazioni, le rivolte locali, ma anche altri relativi al funzionamento intrinseco del capitalismo: dalla proprietà intellettuale alla crisi finanziaria). Sembrano richiedere un «governo di esperti» molto decisionista, che si esprima su quel che occorre fare, e lo metta rapidamente in atto senza tanti salamelecchi. Ma è un esito molto triste: se finora, nonostante tutto, c’era un buon argomento a favore del capitalismo, ovvero che prima o poi, magari dopo qualche decennio di dittatura come in Sud Corea o in Cile, l’avvento del capitalismo avanzato avrebbe poi implicato la democrazia – ecco, tutto questo non accade più. Ed è un fenomeno davvero nuovo, un’epoca nuova, direi. Ma il punto, si badi bene, non è criticare la democrazia in sé; bisogna comprendere come la democrazia si stia autodistruggendo, ed è importante sottolinearne l’aspetto strutturale: non si tratta delle decisioni di singoli pessimi leader, della loro brama di potere o simili: è il sistema stesso che non può più riprodursi in modo autenticamente democratico.
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