La società è, al tempo stesso, una somma di individui associati (o “socializzati”), e una somma di relazioni a causa delle quali gli individui diventano società.
Georg Simmel, Sociologia, 1908
La società è un’entità costituita da elementi materiali e immateriali, formata da un insieme di persone in rapporto tra loro, con un proprio sistema di vita, che tende a riprodursi e ad essere autonoma.
Un’entità in parte materiale, in parte immateriale
Una società è costituita di enti concreti, quali gli individui, il territorio e l’insieme dei beni posseduti dalla collettività. Tra questi ci sono gli strumenti tecnologici che, con le pratiche e i saperi atti a produrli, ne costituiscono la cosiddetta cultura materiale, espressione caratteristica di una società consistente nella capacità di costruirsi un arco per cacciare, una canoa, un’automobile, un libro.
La società è fatta inoltre di realtà impalpabili, quali i modelli di vita e le convinzioni circolanti nel loro complesso. Da questo punto di vista, essa è costituita e si alimenta di un mondo simbolico di segni e significati che è una realtà mentale condivisa dai suoi membri.
Il lato immateriale della società non è meno reale di quello materiale. Possiamo rendercene conto osservando che la cultura di una società ha vita propria e si impone alle persone, preesistendo agli individui che ne fanno parte e sopravvivendo loro.
Che il mondo simbolico della società s’imponga ai propri membri risulta evidente considerando la socializzazione, il processo attraverso cui gli individui acquisiscono le competenze tipiche della società a cui appartengono.
Il modo di rivolgersi a un parente o a un’autorità, di mangiare, di salutare, di trattare i bambini, ecc. non sono innati, ma fanno appunto parte del bagaglio culturale di un individuo in quanto membro di una società; si tratta infatti di competenze acquisite attraverso il processo di socializzazione a cui si è sottoposti dalla nascita. Ogni società socializza i nuovi nati al proprio sistema di vita, alle convinzioni e alle norme che la caratterizzano, lasciando agli individui una relativa autonomia nell’acquisizione di tali modelli.
Un insieme di persone in rapporto tra loro
Le società possono essere formate da un unico popolo, come certe società tradizionali nelle quali tutti i componenti hanno la stessa origine, la stessa identità culturale e sono identificati da loro stessi e dagli altri con lo stesso nome (società monoetniche) o, assai più frequentemente, da una mescolanza di popoli diversi più o meno amalgamati (società multietniche), come le moderne società occidentali, ma anche le società statali tradizionali, quelle medievali e antiche.
Che sia formata da un unico popolo o da più popoli, una società è fatta comunque da un insieme di persone in rapporto tra loro. Naturalmente, solo in una società molto piccola le persone possono formare realmente una rete di rapporti.
In una società popolosa non è possibile che ciascuno entri in rapporto con tutti gli altri, neppure con gli attuali mezzi di comunicazione. Tuttavia i membri di una società sono indirettamente in rapporto tra loro: ciascuno sa di far parte di un insieme che include gli altri e regola i propri comportamenti di conseguenza. Le persone sono anche potenzialmente in rapporto con gli altri, poiché possono incontrarsi ed essere coinvolti da un evento comune
Un proprio sistema di vita
Gli appartenenti a una società fanno riferimento nei loro comportamenti e nei rapporti reciproci a un complesso di modelli di vita e di convenzioni che costituiscono un sistema articolato e coerente.
Ad esempio, nelle società moderne si è affermata la convinzione che l’infanzia merita una speciale considerazione, una convinzione assente nelle società tradizionali nelle quali i bambini erano visti semplicemente come individui non ancora adulti. Di conseguenza, i genitori hanno cominciato a trattare diversamente i figli, circondandoli di attenzioni e di affetto molto più che in passato. La moderna considerazione per l’infanzia è legata all’individualismo, un tratto culturale per il quale ciascuno è unico, dotato d’interiorità, autonomo e importante. È legata anche alle convinzioni politiche, per cui ogni individuo, indipendentemente dall’età, è un cittadino portatore di diritti. E’ legata inoltre a tipiche abitudini di vita moderne, per le quali gli individui lavorano prevalentemente fuori casa, di modo che questa, da luogo di lavoro (produzione) è diventata esclusivamente un luogo di cura e di affetti (riproduzione).
Come emerge da questa esemplificazione, l’insieme dei modelli di vita e delle convinzioni circolanti formano un complesso organico, un sistema di vita, cioè la cultura di una società (il concetto di cultura è originariamente antropologico).
La società tende a riprodursi e ad essere autonoma
Ogni società tende a perpetuarsi nel tempo e nello spazio, dando luogo al fenomeno della riproduzione sociale – come osservato dai padri fondatori della sociologia, particolarmente da Marx.
Per continuare ad esistere una società deve assicurare innanzitutto un adeguato ricambio demografico, ciò che avviene grazie alle nascite e alle immigrazioni, ma soprattutto deve essere in grado di mantenere e riprodurre nel tempo uno specifico sistema di vita (riproduzione culturale).
Ciò avviene, come si è visto, attraverso la socializzazione che comprende, accanto all’educazione formale e intenzionale che ciascuno riceve in famiglia, a scuola e in altri contesti, ogni esperienza in cui l’individuo impara come si vive in quella società, come accade nei rapporti che intrattiene con gli altri nella vita quotidiana, quando legge un giornale, guarda la televisione o usa altri media.
Ogni società possiede meccanismi di salvaguardia del sistema di vita, che vincolano più o meno strettamente gli individui al rispetto delle convenzioni sociali e cercano di evitare che se ne discostino. Questa funzione è assicurata da istituzioni quali la famiglia, la scuola, il sistema giudiziario e l’amministrazione burocratica o la scuola, ma anche da meccanismi che intervengono negli scambi relazionali della quotidianità. In questo secondo caso, il controllo sociale è meno visibile e più efficace, perché le persone accettano tacitamente delle regole, dando per scontato che le cose stiano come stanno. Ad esempio, nessuno prova a contrattare il prezzo di un bene alla cassa del supermercato.
Nessuna società perpetua immutabilmente la propria cultura: le società si riproducono includendo cambiamenti più o meno significativi, più o meno velocemente. Oltre alle grandi trasformazioni, la modernizzazione e la globalizzazione, ogni giorno il sistema di vita cambia e si modifica impercettibilmente. Gli etnometodologi hanno messo in evidenza con finezza i piccoli cambiamenti che gli individui introduono negoziando con gli altri la forma da dare alle attività quotidiane, piccoli cambiamenti che si traducono in trasformazioni sociali.
L’evoluzione del concetto di società [studio storico per l’ultimo anno del Liceo di Scienze umane]
Fin dall’epoca romana il termine societas è stato usato per indicare un gruppo di individui, ]di pari dignità giuridica, che decidono di associarsi per perseguire finalità irrealizzabili dai singoli. Con la filosofia sociale e politica di Tommaso d’Aquino si diffonde la concezione della società come totalità organica, sistema di relazioni naturali il cui ordine è voluto e regolato da una entità sovra-umana. Gli individui non formano la società bensì ne sono «membri», parti di un tutto che preesiste loro. La società possiede e persegue un fine che trascende quelli individuali, e ad esso tutti devono subordinare la loro volontà. Il bene comune è indivisibile e la sua sovraordinazione rispetto all’individuo si manifesta in modo precipuo nello stato.
Questa concezione «olistica» della società è presente nella filosofia della storia di Hegel e in tutte le correnti del pensiero sociologico che vi si sono ispirate. In opposizione alla concezione della società come ordine naturale, regolato da forze trascendenti, nel corso del Sei-Settecento si sviluppa la concezione contrattualistica della ottenuto mediante la cessione a un terzo, che diventa così soggetto di autorità e di dominio, del diritto di usare la forza per perseguire i propri interessi. In questa nuova concezione, cui Hobbes tra i primi darà forma compiuta, sono gli individui a preesistere alla società, che si presenta quindi non come una totalità sovraordinata, bensì come un’associazione di singoli. Il diritto a usare la forza viene ceduto liberamente a un terzo sulla base di un calcolo razionale, evidente per la ragione di ciascuno, che addita in ciò il modo meno dannoso per introdurre ordine e sicurezza nei rapporti sociali, altrimenti perennemente esposti ai rischi della guerra di tutti contro tutti.
Durante il Settecento, il termine società prese ad essere usato per designare quel settore della popolazione che non era né nobiltà né clero. Era la popolazione dei produttori, gli abitanti dei «borghi» — donde i termini borghesi e borghesia — impegnati nelle attività economiche come artigiani e mercanti, fabbricanti e agricoltori. Data l’identificazione di questo settore della popolazione con la sfera della produzione e dei libero mercato, la parola società venne per tal via a significare l’insieme dell’economia, distinto da e contrapposto a coloro che ne consumavano i prodotti senza contribuirvi con il lavoro. Non altro è il significato di «società civile», espressione divenuta comune dopo la pubblicazione del saggio omonimo di Adam Ferguson (1767).
La divisione che Saint-Simon stabilisce tra «industriali» e «oziosi» è un altro modo di codificare l’opposizione tra la società e gli ordini tradizionali. Il suo segretario Auguste Comte sarà ancora più esplicito:
«Nel nostro linguaggio la ‘società’, la ‘società industriale’, la ‘industria’ sono termini esattamente sinonimi. Si deve quindi convenire che ogni uomo il quale produca in modo utile per la società è, per questo solo fatto, membro della società; che ogni uomo il quale non produca nulla è, per questo solo fatto, al di fuori della società e nemico della società» (Entreprise des intérets généreax de l’industrie ou société de l’opinion industrielle, 1817).
Poco più tardi, tuttavia, con lo sviluppo ed il consolidamento dello stato moderno, il termine società cominciò ad essere opposto, piuttosto che alla nobiltà e al clero, allo Stato, percepito dalla critica radicale come un’entità esterna che si sovrapponeva con la forza, a fini di dominio, al complesso autonomamente costituitosi ed operante dei rapporti sociali. Per il materialismo storico, erede e poi genitore esso stesso di importanti varianti della concezione organica od olistica o totalizzante della società, non ha senso parlare di società in generale — vizio che esso imputa alla sociologia «borghese» — ma soltanto di società storicamente determinate, collocantisi ad uno stadio definito di sviluppo lungo un asse che muovendo dalle società primitive, non-antagonistiche, dovrebbe culminare in una futura società ugualmente non-antagonistica, priva cioè di conflitto di classe e infine di politica. Al concetto generico di società, esso oppone, a tale scopo, quello di formazione economico-sociale, sistema concreto di rapporti sociali e ideologici, fondato su un modo di produzione, corrispondente a sua volta a un certo grado di sviluppo delle forze produttive.
Sullo scorcio dell’Ottocento, Ferdinand Tönnies trasferisce sul terreno dell’analisi sociologica una dicotomia che nel pensiero filosofico tedesco risale fino a Schleiermacher: la società come tipo emergente di relazioni sociali, distinto per opposizione dal tipo che l’ha storicamente preceduto: la comunità. Questa era la sede e il complesso delle relazioni familiari, affettive, naturali, orientate dalla tradizione, fondate sullo status; quella è il sistema delle relazioni artificiali, impersonali, mediate dal mercato, fondate sul contratto.
Per la sociologia evoluzionistica, di cui Herbert Spencer fu il massimo esponente, la società è un organismo, sottoposta a leggi naturali omologhe a quelle che regolano l’evoluzione della materia e delle specie animali. La versione evoluzionistica del concetto di società accentua la continuità dei nessi tra natura, organismi animali, società e cultura; la virtuale impossibilità o inopportunità di intervenire efficacemente in tali rapporti con interventi esterni, come quelli che compie lo stato nella sfera economica; l’ineluttabilità del graduale passaggio a forme più complesse di organizzazione sociale e culturale, derivanti dalla successione di processi di differenziazione e di integrazione in cui la società incorre a causa del suo stesso funzionamento.
Il funzionalismo ha elaborato una definizione di società come sistema di individui interagenti che presenta, al minimo, le seguenti caratteristiche; a) possiede tutte le istituzioni necessarie per far fronte ai cosiddetti imperativi funzionali senza l’apporto di altri sistemi; b) il sistema stesso è un fuoco di orientamento per l’azione degli individui che ne fanno parte; c) i membri del sistema sono reclutati prevalentemente tramite la riproduzione sessuale; d) occupa un territorio definito, non fruibile da parte di altri sistemi; e) dura più a lungo che non l’’esistenza dei singoli individui che lo compongono.
Il tentativo di riassumere e fissare in una breve formula i caratteri originali delle società sviluppatesi attraverso le rivoluzioni economiche e politiche dell’età moderna e contemporanea rispetto alle società precedenti ha prodotto una lunga serie di tipologie dicotomiche delle società umane. Le più note tracciano una linea divisoria e stabiliscono una sequenza storica fra: le società semplici e quelle complesse. Questa distinzione deriva dagli studi di antropologia ed ha trovato una prima sistemazione in Spencer e poi in Durkheim. Le società semplici sono composte da collettività omogenee, le società complesse sono formate da collettività fortemente differenziate, che riflettono una avanzata divisione del lavoro, e sono integrate a diversi livelli da apposite istituzioni. Seguono le opposizioni tra le società in cui predomina il senso del sacro e le società secolarizzate; le società rurali e quelle urbane; le società tradizionali e le società moderne a cui si sono aggiunte, più tardi le società globali.
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