Stefano Rodotà, Una costituzione per Internet

by gabriella
Stefano Rodotà

Stefano Rodotà

Stefano Rodotà è morto oggi. Lo ricordo come l’unico garante per la privacy che abbiamo avuto e uno dei pochi capaci di pensare in modo adeguato il diritto di e a Internet.

In attesa di uno spazio alternativo commerce-free, la libertà di chi naviga su Internet ha bisogno di protezione. Tratto da Micromega.

Perché si è tornati a discutere intensamente di nuove regole per Internet, addirittura di una sua “costituzione”? La spiegazione si trova nel congiungersi di una serie di fattori tecnologici, politici e istituzionali, che hanno modificato un contesto considerato ormai stabile, spingendo più d’uno a sottolineare che siamo di fronte a una possibile svolta storica.

Era sembrato che si fosse consolidata una impostazione che lasciava poco spazio ai diritti. Dalla brutale affermazione del 1999 di Scott McNealy

— «Avete zero privacy. Rassegnatevi» —

fino alla sbrigativa conclusione di Mark Zuckerberg sulla fine della privacy come “regola sociale”, era emersa una linea caratterizzata dal congiungersi di due elementi: l’irresistibilità tecnologica e la preminenza della logica economica.

Da una parte, infatti, si sottolineava come le innovazioni tecnologiche e le nuove pratiche sociali avessero reso sempre più difficile la tutela della sfera privata e dello spazio pubblico, legittimando raccolte di dati sempre più imponenti, soprattutto con la giustificazione della sicurezza; dall’altra, l’affermata “morte della privacy” diveniva l’argomento per affermare che i dati personali erano ormai divenuti proprietà assoluta di chi li aveva raccolti. Gli interessi della sicurezza e del mercato occupavano sempre di più l’orizzonte di Internet.

Queste certezze sono state sfidate dalla forza delle cose. Il cosiddetto Datagate, le rivelazioni di Edward Snowden sulle schedature planetarie operate dalla National Security Agency, ha determinato una reazione diffusa, mettendo in discussione la legittimità di una sorveglianza di massa che non viola soltanto i diritti individuali, ma spinge verso una società del controllo. In questa stessa direzione si è mossa la Corte di Giustizia dell’Unione europea che, con una sentenza dell’8 aprile, ha cancellato una direttiva Ue sulla conservazione dei dati personali che, giustificata appunto con esigenze di sicurezza, violava la Carta europea dei diritti fondamentali sulla tutela dei dati personali. E poche settimane dopo, il 13 maggio, sempre la Corte di Giustizia ha pronunciato una sentenza, riguardante Google, nella quale si legge che i diritti fondamentali riconosciuti dagli articoli 7 e 8 della Carta, che sono norme vincolanti,

«prevalgono sull’interesse economico degli operatori dei motori di ricerca».

L’impostazione finora seguita appare capovolta. I diritti fondamentali, sacrificati in nome degli interessi della sicurezza e dell’economia, assumono valore prioritario, e così viene indicata una precisa gerarchia da rispettare quando si opera un bilanciamento tra quei diritti e interessi di altra natura. Viene così definito uno spazio costituzionale, riconoscendo alla Carta dei diritti fondamentali il ruolo che le compete, avendo lo stesso valore giuridico dei trattati. E questo cambio di passo è stato registrato dalla nuova Commissione europea, che ha attribuito al suo primo vicepresidente, Frans Timmermans, una esplicita competenza per l’attuazione della Carta.

Tim Berners Lee

È questo il contesto mutato che spiega l’attenzione rinnovata per un Internet Bill of Rights. Il “padre” della Rete, Tim Berners-Lee, sta lavorando proprio intorno a una Magna Carta per Internet. E una commissione istituita dalla Presidente della Camera dei deputati ha elaborato una Dichiarazione dei diritti di Internet [qui sarei poco fiduciosa, considerate le opinioni espresse dalla nostra a suo tempo, NDR], per la quale è aperta una consultazione, e che ha una caratteristica che la differenzia da tutte le altre iniziative in materia (il Berkman Center di Harvard ne aveva contate 87): siamo di fronte a un testo nato in una sede istituzionale e che, proprio per questa sua natura, sta destando grande interesse al di là dei nostri confini.

Uno spazio costituzionale, dunque, si è aperto. Come riempirlo? Qui la partita si fa difficile e chiama in causa in primo luogo l’Unione europea, che da due anni discute un regolamento che vuole rinnovare la disciplina sulla tutela dei dati personali. Riusciranno le istituzioni europee a liberarsi da timidezze e pressioni e ad approdare a un regolamento pienamente coerente con i principi e i diritti che esse stesse hanno messo al centro dell’attenzione? La questione è essenziale, perché l’innovazione costituzionale è destinata ad incontrarsi sempre più direttamente con le incessanti innovazioni rese possibili dalla tecnologia.

Ci si interroga intorno agli effetti dei “Big Data”, espressione che non descrive soltanto la crescita quantitativa delle informazioni raccolte, ma nuove modalità della loro gestione, con effetti nelle più diverse dimensioni della vita sociale. Se non si vuole che qui si riproducano, persino ingigantiti, i rischi di concentrazioni incontrollabili di potere, di controlli sempre più capillari e diffusi, è indispensabile disporre dell’attrezzatura istituzionale necessaria che ribadisca la necessità che i Big Data vengano utilizzati in un ambiente che non perde il suo fondamento nelle libertà e nei diritti.

Questa consapevolezza deve farsi sempre più acuta quando si considera il passaggio, ormai in atto, verso l’”Internet delle cose”, che nasce dal fatto che un numero sempre più ampio di cose viene costruito in modo da poter comunicare e ricevere informazioni. Gli esempi si moltiplicano, sono tratti dalla vita quotidiana, dalla possibilità che il frigorifero venga connesso con il supermercato per segnalare la necessità di rifornirmi di ciò che si sta esaurendo. Il mondo materiale viene connesso a Internet. Una possibilità che può essere estesa alle persone e ai loro corpi, tanto che si parla di un Internet “di ogni cosa”, per annunciare l’avvento di una società che si presenta come una rete globale integrata.

Questa descrizione sommaria rinvia a una situazione nella quale i dati, per il modo in cui sono raccolti e possono essere utilizzati, consegnano sempre di più le persone alla concreta possibilità che la loro identità sia costruita da altri. E il vero problema nasce dal fatto che le informazioni raccolte servono non solo a costruire profili che rendono la persona sempre più trasparente e vulnerabile, ma vengono affidate ad algoritmi, trattate con tecniche probabilistiche che costruiscono una identità “al futuro”, ipotetica e persino distorcente, che tuttavia può divenire strumento di conoscenza e valutazione. Di fronte a questa espropriazione, solo il riferimento forte ai diritti indica la via per restituire a ciascuno la sovranità su se stesso.

Si compone così il quadro costituzionale definito dall’intreccio tra dimensione delle regole e dimensione dell’innovazione e che richiede massima attenzione ai principi di riferimento. Lo ha compreso Obama sottolineando l’importanza della neutralità della Rete, riferimento indispensabile per garantire l’eguaglianza e la “generatività” della Rete, cioè la sua capacità di innovazione, altrimenti sequestrata dai soggetti maggiori con evidenti distorsioni delle stesse dinamiche economiche. E nel suo intervento si coglie un riferimento al fatto che soggetti come Google svolgono ormai una funzione di servizio pubblico, che esige un nuovo quadro istituzionale.

A queste dinamiche si torna ad opporre l’affermazione che vuole la Rete come luogo di una libertà “naturale”, messa in pericolo da qualsiasi regola. Ma la realtà è lontanissima da questa rappresentazione. La Rete è tutt’altro che uno spazio vuoto di diritto. È l’oggetto del desiderio d’ogni potere totalitario che impone norme volte a limitare l’accesso, a introdurre discriminazioni e censure, dalla Cina alla Turchia, all’Ungheria. Ma soprattutto la Rete è ferreamente disciplinata dai grandi soggetti transnazionali che la governano, gli “Over the Top”, che con i loro “terms of service”, le condizioni contrattuali, definiscono in maniera unilaterale e incontrollabile la condizione di tutti coloro che stanno in Rete, incidono sulla conoscenza, sull’idea stessa di lavoro. Il governo non solo dei tre miliardi di persone già presenti su Internet, ma dell’intero spazio planetario da esso creato, deve essere ricondotto a una logica costituzionale che comincia ad essere costruita.

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