di Matteo Marini: http://espresso.repubblica.it/multimedia/fotogalleria/31065931
Soldati, veterani, uomini, ragazzi. Avvolti in una coperta pesante come l’eredità che si caricano sulle spalle, di una guerra che per loro non è mai terminata: non importa che sia stato il fronte europeo del secondo conflitto mondiale, le foreste del Vietnam o il deserto iracheno. In ‘Many wars’ lo sguardo della fotografa statunitense Suzanne Opton indugia sulle figure fragili degli ex combattenti, ricoverati alla clinica medica per veterani nel Vermont, affetti da disturbi da stress post-traumatico. Le cicatrici che la guerra ha lasciato su di loro sono evidenti nei loro sguardi. Anche nella postura ostinatamente fiera delle spalle e del busto, oppure accartocciati su loro stessi. Come pupazzi rimasti schiaccati, ora rotti e logori. Le serie di immagini ‘Many Wars’ e ‘Soldier’ sono raccolte in un volume edito da Decode a ottobre 2011. In ‘Soldier‘ Opton coglie la fragilità dell’uomo e del soldato, attraverso i ritratti di giovani militari tornati dal fronte iracheno e afghano. Anche loro ripresi in una posa peculiare: la testa reclinata, appoggiata come su un letto e lo sguardo perso nel vuoto.
In uno sguardo simile si era specchiato anche Steve McCurry fotografando la sedicenne Sharbat Gula in un campo profughi vicino a Peshawar, nel 1984.
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