Ieri la polizia berlinese ha sgomberato il Tacheles, il centro sociale più grande d’Europa, per oltre vent’anni officina creativa e Galleria d’arte moderna frequentate da giovani e artisti di tutto il mondo. Era già chiuso dal 22 marzo scorso, dopo l’intimazione dei nuovi proprietari, una banca, che nel 2008 aveva acquistato i locali occupati per farne un centro commerciale.
Nel 1990, un collettivo di artisti aveva occupato lo stabile di Oranienburger Strasse che ospitava un vecchio magazzino in demolizione e vi avevano creato un’officina, una mostra permanente, un pub, un cinema e uno spazio di performance artistiche che era divenuto il ritrovo dalla scena underground mondiale.
Lo avevo visitato due anni fa, in occasione di un viaggio a Berlino organizzato per una classe. La sua collocazione centrale, poco lontano dal Pergamon Museum, lo aveva messo sull’itinerario “convenzionale” (chiese, musei) che con le altre tre colleghe avevamo deciso di percorrere nella parte di pomeriggio che ci restava dopo la visita al Pergamon. Lungo la strada due colleghe si erano fermate per fare degli acquisti proprio nei pressi del suo mimetico ingresso: all’esterno il magazzino abbandonato era rimasto esattamente tale. Riconosciutolo dopo qualche attimo, spiegai alla giovane collega che era rimasta con me che entravo a visitare il “centro sociale” e lei si offrì di aspettare le altre insegnanti senza capire bene cosa dovessi visitare. L’aneddoto vuole che la giovane collega abbia riferito alle altre che «ero andata al centro commerciale ..», scambio su cui la malcapitata non smise di essere presa in giro per tutto il viaggio. « ci sembrava strano..» –dissero poi ridendo le colleghe.All’interno, le scale di ferro e cemento conservavano la stessa polvere industriale che dovevano aver avuto all’origine. Una luce rossa, proveniente dall’unica lampadina che illuminava i piani a due a due, permetteva appena di distinguere i gradini (eravamo alla fine di febbraio ed era già sera). Su piccoli pianerottoli, a destra e a sinistra comparivano porte che bisognava aprire per sapere che c’era dietro. All’ultimo piano (forse il quinto o il sesto) c’era l’unico spazio illuminato: una galleria-mostra dove si potevano acquistare le copie digitali delle creazioni per le quali il Tacheles – tra gli altri centri sociali berlinesi – andava famoso. Alla cassa, un giovane poliglotta si intratteneva empatizzando con visitatori di tutto il mondo, in uno splendido inglese inframmezzato dall’esperanto che creava li per lì, mentre il mio sguardo posato sui poster coglieva a sprazzi il filo che legava le creazioni di questi artisti di strada al dada ammirato il giorno prima alla Neue Nationalgalerie.
Certo, perché l’arte di questo posto fondeva la trasfigurazione delle avanguardie novecentesche con le immagini ossessive del bombardamento di Berlino e quelle di una rinascita non immemore, critica e intelligente.
Per questo la sua chiusura è un oltraggio
Le immagini soprastanti sono digitalizzazioni di alcune delle stampe che ho preso al Tacheles. La prima è poco più grande di un foglio A4, la seconda (divisa nei frammenti 001 e 002) è circa 85×26.
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