Stralcio da Senzasoste alcuni passi del ritratto di Nelson Mandela, icona di un Sudafrica liberato dall’apartheid, ma non ancora dalla diseguaglianza di cui quel razzismo era giustificazione.
Unitevi! Mobilitatevi! Lottate! Tra l’incudine delle azioni di massa e il martello della lotta armata dobbiamo annientare l’apartheid!
Nelson Mandela, 1980
Il carisma di Mandela, sopravvissuto a 27 anni di carcere nel Sudafrica dell‘apartheid, è stato sicuramente quello del liberatore. Quello di una figura, costruita da un popolo, che deve indicare un percorso di uscita dalla minorità e dalla schiavitù. Per tre quarti di esistenza la biografia politica di Mandela è stata questo.
Poi ci sono stati gli anni ’90, la fine dell’apartheid e il suffragio universale. Ma anche gli anni dell’ingresso a pieno titolo del Sudafrica nel mercato globale, dopo la fine delle sanzioni legate all’apartheid, grazie a quella corposa zona che sta tra diamanti, oro e finanza, ben presente negli affari dello stato africano. Mandela ha innegabilmente accettato e favorito questo processo e il suo partito, l’African National Congress, è diventato un organo di potere, tra ripetuti scandali di nepotismo e corruzione. Con condizioni di lavoro nelle miniere che restano inaccettabili. Come è inaccettabile la disparità sociale ancora presente, come 20 anni fa, in Sudafrica.
L’altro quarto di vita di Mandela, alla cui morte una delle figlie era al cinema con gli eredi al trono di Inghilterra, è stato quello di icona pop del capitalismo globale. Ma non si è trattato di quello che George Jackson, un grandissimo rivoluzionario nero, definiva un “negro bianco”. Ovvero un nero addomesticato dalle leggi del capitalismo dei bianchi. Si è trattato di un liberatore che ha accettato il capitalismo globale quasi fosse ineluttabile. Le cui scelte di politica estera sono scivolate verso un solido nazionalismo sudafricano.
La lotta di Mandela e la solidarietà delle commesse di Dublino, ricordate dal TG1
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