Posts tagged ‘autonomia scolastica’

2 Maggio, 2015

Marco Magni, Scioperiamo per la scuola pubblica

by gabriella

Il 5 maggio scioperano gli insegnanti di ogni appartenenza e opinione in nome della scuola pubblica e della libertà d’insegnamento.

Non è retorica dire che il mondo ci guarda. Lo sciopero degli insegnanti del 5 maggio avrà molti occhi sopra. E’ l’Inghilterra, per prima, ad aver imposto la sua “buona scuola”. Era l’anno 1988, governo Thatcher. Poi, il mondo anglosassone, Australia, Nuova Zelanda. Quindi, gli Stati Uniti e la Corea del Sud. La Grecia vi è stata costretta dai diktat della Troika. In Russia c’è stata la riforma degli esami di stato. In Messico, attualmente, sono in corso lotte contro la “buona scuola” in contemporanea con l’Italia. (C’è anche la Spagna, ma confesso di saperne pochissimo).

Ovunque, ciò che è avvenuto, secondo la felice formula del sociologo australiano Smyth, si è basato sull’idea di “centralizzare ma dando l’idea di star facendo il contrario”. La parola d’ordine al centro delle riforme scolastiche sempre l’”autonomia” della scuola, il contenuto effettivo la trasformazione del dirigente d’istituto in “manager” dagli ampi poteri (assumere, premiare, licenziare gli insegnanti, selezionare e reclutare gli allievi sulla base del loro rendimento), direttamente responsabile dei risultati della propria scuola di fronte al potere centrale. Uno scambio, mediante cui il dirigente d’istituto diviene il “re” della propria scuola, ma nello stesso tempo viene vincolato al ruolo di agente della realizzazione pratica degli obiettivi di politica scolastica stabiliti dal potere centrale. Nominalmente “re”, “prefetto” napoleonico nei fatti. Esattamente quel che dice la “Buona scuola” e che ha già fatto riempire, in questi giorni di vigilia, molte piazze, in Italia, anche oltre ogni attesa.

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1 Febbraio, 2012

Silvia di Fresco, Matteo Vescovi, L’arrestabile ascesa della scuola delle competenze. Alcune riflessioni sui cambiamenti in atto nel sistema scolastico italiano

by gabriella

Un’ottima ricognizione degli antefatti, delle mistificazioni e degli scopi inconfessabili di vent’anni di programmatico declino scolastico italiano. Bello anche il titolo che mi fa venire in mente la brechtiana “resistibile ascesa” di Hitler e la necessità che gli insegnanti italiani escano dal torpore inconsapevole che li ha avvinti e rifiutino di collaborare alla “soluzione finale”.

State pur tranquilli
ci saranno sempre
più poveri e più ricchi
ma tutti più imbecilli

G. Gaber, La razza in estinzione

1. Società della conoscenza/società del controllo di Silvia Di Fresco

Sulle pagine della rivista «L’ospite ingrato» dedicata al tema della conoscenza, Sergio Bologna1, dopo aver sottolineato l’inefficacia dell’attuale sistema formativo, concludeva il suo articolo chiedendosi quale possa essere il futuro degli studi umanistici in un contesto in cui il lavoro, e il suo linguaggio, sono altamente dominati dalla tecnologia.

Il problema ovviamente non riguarda solo l’Italia e non coinvolge solo aspetti interni alla didattica, ma riguarda il modello di società che saremo in grado di immaginare per risolvere i giganteschi problemi ecologici e sociali che il pianeta si trova ad affrontare. È quella che recentemente Martha Nussbaum ha definito come «crisi dei saperi socratici» [Internazionale, 870, pp. 36-42], cioè di quei saperi che sviluppano competenze non misurabili come la capacità di confrontarsi e mettersi in discussione, di assumere il punto di vista dell’altro, di produrre soluzioni innovative (e non esecutive) rispetto ai contesti in cui sorgono i nostri problemi.

Saperi che rappresentano le finalità di un’educazione rivolta alla costruzione di una comunità democratica, all’interno della quale l’insegnamento di materie letterarie e scientifiche va salvaguardato rispetto a un’educazione schiacciata sui saperi tecnici e specialistici. Sostiene la Nussbaum che tali insegnamenti hanno persino una finalità economicistica indiretta in quanto

l’innovazione richiede intelligenze flessibili, aperte, creative. La letteratura e le arti stimolano queste facoltà. Quando mancano, la cultura aziendale perde colpi in fretta2.

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