Posts tagged ‘biopotere’

7 Dicembre, 2019

In Time

by gabriella

“è rubare se è già stato rubato?”

In Time presenta un futuro presente in cui la moneta è diventata il tempo. Gli uomini sono geneticamente programmati per raggiungere i venticinque anni di vita, dopo i quali dovranno lavorare (o rubare) per accumulare tempo di vita sul proprio orologio biologico dal quale prelevare per tutte le loro necessità: un caffè costa tre minuti di vita, una notte in una suite di lusso un anno.

In questo contesto, presentato come l’esito prossimo venturo di un capitalismo darwinista in cui sopravvive il più adatto, i poveri muoiono giovani, mentre i ricchi sono potenzialmente immortali.

Il protagonista, Will, è il figlio premuroso di una madre, apparentemente venticinquenne, che compie cinquant’anni quel giorno. La storia si sviluppa con l’incontro del protagonista con un uomo ricco che salverà dai ladri di tempo in un pub del quartiere degradato in cui vive.

A questo gesto generoso, di pura, gratuita umanità (uno dei meriti del film consiste appunto nel rammentarci che tutto ciò che è davvero umano è gratuito, cioè dono) l’uomo, stanco di vivere, risponderà riversando tutto il proprio capitale biologico sul timer del salvatore. Prima di andare all’appuntamento con sua madre, Will regala così una parte del suo secolo di vita a un amico e ad una bimba di strada, ma la tragedia incombe perché l’aumento improvviso dei prezzi di trasporto (che, come mostra il film, non è casuale, ma è parte della mortifera strategia di dominio dei ricchi) impedisce a sua madre, a corto di vita, di salire sull’autobus per incontrare il figlio che può darle del tempo. Quando non la vede scendere, Will capisce e le corre incontro, ma è troppo tardi.

E’ a questo punto che, solo al mondo e carico di vita, decide di recarsi nella Time Zone, il quartiere dei ricchi, dove darà inizio alla sua battaglia.

29 Luglio, 2016

Lelio De Michelis, L’ordoliberalismo

by gabriella

merkel-draghi-ordoliberismoUno stralcio de L’ordoliberalismo 2.0, articolo molto utile per introdurre alla storia, ai protagonisti e ai concetti chiave di una filosofia economica originale, distinta (ma intrecciata) da quella neoliberale di Mises, Hayek e Friedman. De Michelis parte dalla lettura foucaultiana del liberalismo (Nascita della biopolitica, 1978), illustrando in modo convincente la natura pedagogica dell’ideologia ordoliberale e il funzionamento dei suoi meccanismi totalizzanti. Dal Rasoio di Occam.

 

Di ordoliberalismo si parla spesso anche se – più spesso ancora – si usa il termine generico di neoliberismo per definire le politiche economiche di questi ultimi trent’anni, dimenticando la stretta connessione e convergenza (al di là di alcune pur importanti differenze) tra queste due ideologie – tra queste due biopolitiche. Mario Monti si autodefinisce ordoliberale. Draghi lo ha detto di se stesso e della Bce («La costituzione monetaria della Banca centrale europea è saldamente ancorata ai principi dell’ordoliberalismo»). Renzi lo è con il JobsAct (e Hollande con la sua legge sul lavoro) e con la preferenza per il governo delle élite (anche se non lo è quando nega il decentramento del potere). Lo è ovviamente la Germania di ieri e soprattutto di oggi e quindi l’Europa dell’austerità, del pareggio di bilancio, delle riforme strutturali – che sono strutturali e strutturanti (funzionali) per l’espansione incessante del capitalismo, ma de-strutturanti per la società, la democrazia e per i diritti civili, politici e sociali.

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17 Aprile, 2014

Antonio Volpe, Liberazionismo senza liberazione?

by gabriella

Michel Foucault (im Pariser SPIEGEL-Büro am 09.12.1977)  SPIEGEL Bild-ArchivPartendo dalla teoria del potere di Foucault, ma anche mobilitando Camus e la pedagogia delle catastrofi, Volpe si chiede se sia possibile scindere vita e biopotere, se sia cioè possibile superare definitivamente il dominio e l’oppressione umana e non umana. Tratto da Asinus novus.

 

Il doppio legame fra vita e potere

Ne La volontà di sapere, com’è noto, Foucault delinea una concezione inedita del potere fissando non solo un metodo e un campo d’indagine completamente divergenti da quelli proposti fino ad allora da una lunga tradizione filosofica, ma pure una nuova “ontologia”, una nuova concezione della realtà basata su uno scontro di forze organizzate strategicamente attraverso le pratiche e i saperi che attraversa capillarmente la vita degli individui. Oltre che reticolare e continuo, il potere in Foucault non è estorsivo, come per esempio nelle teorie marxiste, ma creativo e produttivo. Non è calato dall’alto, né è l’effetto delle sole strutture economiche, ma coinvolge sullo stesso piano strategie di disciplinamento multiple, che investono ogni sfera della vita. La stessa soggettivazione del singolo è l’effetto di un processo di assoggettamento attraverso pratiche e giochi di verità senza il quale non si darebbe soggetto alcuno.

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18 Gennaio, 2013

Gilles Deleuze, Désir et plaisir

by gabriella

Deleuze e Foucault

Il testo seguente riproduce la lettera che Gilles Deleuze scrisse a Michel Foucault nel 1977, dopo la pubblicazione foucaltiana de La volonté de savoir. Pubblicato inizialmente in “Le magazine littéraire”, n°325, octobre 1994, poi in G. Deleuze, Deux régimes de fous, Minuit, 2003.

A

Une des thèses essentielles de Surveiller et Punir concernait les dispositifs de pouvoir. Elle me semblait essentielle à trois égards:

1/ en elle-même et par rapport au «gauchisme»: profonde nouveauté politique de cette conception du pouvoir, par opposition à toute théorie de l’État.
2/ Par rapport à Michel, puisqu’elle lui permettait de dépasser la dualité des formations discursives et des formations non-discursives, qui subsistait dans Archéologie du savoir, et d’expliquer comment les deux types de formations se distribuaient ou s’articulaient segment par segment (sans se réduire l’un à l’autre ni se ressembler… etc.). Il ne s’agissait pas de supprimer la distinction, mais de trouver une raison de leurs rapports.
3/ Pour une conséquence précise: les dispositifs de pouvoir ne procédaient ni par répression ni par idéologie. Donc rupture avec une alternative que tout le monde avait plus ou moins acceptée. Au lieu de répression ou idéologie, Surveiller et Punir formait un concept de normalisation, et de disciplines.

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13 Febbraio, 2012

Gabriele Miniagio, Adversus pedagogistas

by gabriella

Purtroppo gergale (detto tra filosofi: ogni tanto leggiamo anche il giornale) ma bello, l’articolo di Miniagio esamina la struttura del dispositivo disciplinare noto come “scuola delle competenze”. I meno pazienti saltino pure il primo paragrafo per godersi, dal secondo, una storia della scuola italiana veramente sapiente.

Qualcosa di profondo è accaduto nella scuola italiana. A partire dalla riforma Berlinguer, attraverso una serie di politiche protrattesi per un quindicennio, essa è mutata non solo nella sua veste esteriore, ma anche e soprattutto nel suo principio ispiratore, dunque nel suo rapporto con la società e la cultura. L’ideale della paideia, prima gentiliano e crociano, poi marxista, ha ceduto lentamente ma inesorabilmente il passo ad un pedagogismo scientista, che chiama in causa come proprio referente una mente naturalizzata, totalmente spossessata di un senso dell’agire che non sia l’operare macchinico: il compito del percorso didattico diviene quello di implementare in essa competenze e abilità operative per risolvere problemi dati, al di là di ogni definizione della realtà umana in termini esistenziali o storico-politici1.
Ci sforzeremo di mostrare come questa pedagogia tecnico-operazionale abbia origine nella concezione di una soggettività naturalizzata, teorizzata dagli indirizzi più radicali della filosofia della mente, e come entrambe chiamino in causa un processo di produzione di vita soggettiva che, nella società di massa tardo capitalistica, le sottrae il senso di sé e del mondo; il prodotto di tale processo è qualcosa che potremmo chiamare indifferentemente un quasi bios o un quasi soggetto.

Emergerà infatti, nell’ultima parte di questo lavoro, che il dispositivo “pedagogia delle competenze – naturalizzazione del soggetto” non è affatto neutrale: il carattere tecnico-operazionale, l’ossessione quantitativa della docimologia, l’esigenza di un portfolio di competenze certificato, la ricerca di una valutazione oggettiva dei risultati dell’apprendimento sono elementi a cui le forme di reclutamento e le procedure dei nuovi lavori cognitivi danno l’origine e il fine, l’alpha e l’omega. Ma la relazione non finisce qui, perché quel dispositivo non solo addomestica e disciplina di fatto all’assetto produttivo del capitalismo cognitivo, ma anche e soprattutto perché esso delinea la soggettività macchinica e priva di mondo come un modello complessivo, rispetto a cui il referente dell’azione educativa è disciplinato fin dall’inizio a rispecchiarsi e adeguarsi.

In altri termini il dispositivo “pedagogia delle competenze – soggettività naturalizzata” addomestica non solo ad una serie di pratiche, ma anche ad un senso globale, rilanciando e potenziando i processi di soggettivazione che occorrono nella società tardo capitalistica, con l’intento di produrre macchine da problem solving per cui non è mai in gioco l’esistenza, l’agire e l’orizzonte del possibile.

L’analisi che condurremo esplorerà perciò i nessi sussistenti fra questi tre elementi: pedagogismo delle competenze, naturalizzazione della soggettività, processi di soggettivazione tardocapitalistici.

A questo punto si potrebbe chiedere: perché centrare l’attenzione sull’Italia? La risposta è semplice: perché in Italia la società di massa e i processi di produzione soggettiva che essa realizza non incontrano quell’anticorpo che negli altri paesi europei è ancora in opera e che consiste in una modernizzazione politica e civile, la quale ha accompagnato, quando non preceduto, la modernizzazione in senso economico-produttivo. L’impressione è però che l’efficacia di questo anticorpo sia fragile un po’ ovunque e che l’Italia sia solo l’avanguardia di un processo di degrado della democrazia, della società e della cultura che riguarda tutti i paesi a capitalismo avanzato.
Ma andiamo con ordine e cerchiamo di dipanare gli elementi in gioco, che sono tanti e tutti intrecciati fra loro. Dobbiamo porci una serie di domande.

1) Che cosa è successo nella scuola italiana?
2) Che rapporto c’è fra quanto è accaduto nella scuola e il caso Italia in quanto tale?
3) In che senso i cambiamenti intervenuti hanno origine da quella soggettività naturalizzata, teorizzata da alcune correnti della filosofia della mente?
4) Perché la pedagogia delle competenze e la naturalizzazione della soggettività rientrano in un più generale processo di produzione di vita soggettiva povera, che riguarda la società tardo capitalistica nel suo complesso?

Esamineremo le questioni una per una.

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