Inno dell’indipendentismo sardo, venne composto all’indomani dei moti rivoluzionari del 1794 da Francesco Ignazio Mannu, nobiluomo di Ozieri e magistrato a Cagliari, con il titolo Su patriottu sardu a sos feudatarios.
Il testo originale, articolato in 47 ottave logudoresi, ben 375 versi totali, è un vero canto d’amore per la propria terra e fiera rivendicazione d’identità, ma anche circostanziato decalogo della lotta per la libertà contro la secolare oppressione dei proprietari terrieri che sfruttavano avidamente l’isola con la complicità del regime sabaudo.
La versione italiana sotto riportata testimonia quanto il brano si sia preservato attuale, ad onta dell’età, e universale, nonostante il peculiare contesto storico, sociale, geografico e letterario. Uguale istanza repressa sembra esprimere la danza dal passo cadenzato dei Mamuthones di Mamoiada, figuranti di un arcaico carnevale pagano, la schiena curva sotto il peso dei campanacci, il volto coperto dalla lignea maschera totemica, guidati come gregge d’armenti dagli Issohadores.
Eppure dal loro grave portamento traspare riflesso l’ancestrale orgoglio, forse perchè la dignità di un popolo, al contrario dell’infamia dei suoi governanti indigeni o stranieri, non si misura con il metro della storia scritta con il sangue dei vinti, né si logora con il passare del tempo [tratto dal canale youtube di FreeNeverSaid].
Eseguito come cantos a tenore dai Tazenda [in coda la traduzione italiana]
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Procurad’e moderare,
Barones, sa tirannia,
Chi si no, pro vide mia,
orrades a pe’ in terra!
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