Posts tagged ‘capitalismo’

7 Giugno, 2013

Polonia, Special Economic (leggi Exploitation) Zones

by gabriella

Wałbrzych

Gli sviluppi europei della globalizzazione – dumping sociale, sfruttamento intensivo del lavoro, cancellazione di qualunque diritto, riduzione in schiavitù – nello stralcio dell’intervista rilasciata da due attivisti del sindacato Inicjatywa Pracownicza in occasione della proiezione a Bologna del documentario «Special Exploitation Zones» e di un video dedicato alle condizioni di vita e di lavoro delle donne di Wałbrzych. La Polonia è l’unico stato membro dell’Unione Europea ad aver istituito delle Special Economic Zones (SEZ), zone di sfruttamento estremo dei lavoratori che permettono alle imprese multinazionali di estrarre enormi profitti connettendo i territori ai flussi transnazionali grazie a regimi fiscali particolari e lucrando sulle condizioni inumane di lavoro e di vita di operai spesso migranti.

Nell’estate del 2012 la fabbrica Chung Hong Electronics, situata in una di queste zone, è diventata l’arena di una rivendicazione collettiva e di uno sciopero – lo “sciopero delle madri”. La fabbrica è un subappalto di LG Electronic, che produce schede TV. Gli operai hanno rifiutato di far funzionare le macchine per quasi due settimane. Uno sciopero così prolungato non si verificava in Polonia dal 1989.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=2ygNHXqf9zo]

Quali erano le condizioni di lavoro alla Chung Hong?

I: I lavoratori della Chung Hong ricevono salari molto bassi, di solito il minimo, in Polonia sono 300 € netti, 400 € lordi. Più della metà di questo salario devi spenderlo per la casa, perciò per la vita ti rimangono attorno ai 150 €, anche meno, come se fosse nulla. Dall’altra parte sei costretto a fare gli straordinari, attorno alle 150 ore all’anno, ma chiaramente alcuni fanno molto di più e se la produzione procede ad alto ritmo i lavoratori devono lavorare 16 ore al giorno, 2 turni, se rifiutano possono anche essere licenziati. Si può vedere la precarizzazione della condizione lavorativa nel senso che le persone sono lasciate a casa dal lavoro e poi possono tornare ma solo a costo della flessibilizzazione delle loro condizioni, contratti a tempo determinato. Questa situazione l’abbiamo osservata alla FIAT. Quest’anno FIAT ha licenziato 1450 lavoratori e un mese fa circa 150 di loro hanno avuto la possibilità di essere reintegrati, ma come precari, con salari più bassi e contratti a tempo determinato.

read more »

9 Maggio, 2013

Daniele Balicco, Pietro Bianchi, Interpretazioni del capitalismo contemporaneo/ 2. David Harvey

by gabriella

david-harveyLa seconda voce dedicata alle interpretazioni del capitalismo contemporaneo da Balicco e Bianchi, pubblicata da Le parole e le cose. La prima, sul pensiero di Fredric Jameson, è accessibile qui. Di Harvey è disponibile Breve storia del neoliberismo.

Molto diversa rispetto a quella di Jameson – che resta, nella solo apparente bulimia teorica, un marxista occidentale standard – l’impostazione teorica di David Harvey. A dire il vero, il suo percorso intellettuale è così particolare da poter essere considerato quasi un unicum all’interno delle vicende del marxismo internazionale di fine secolo. Non soltanto perché il suo ambito disciplinare – la geografia – lo colloca in una posizione strutturalmente eterodossa rispetto alla tradizione marxista, ma anche per il relativo isolamento che caratterizzerà buona parte della sua vita intellettuale, fino all’indubbio successo degli ultimi anni.

Harvey compie la sua formazione all’Università di Cambridge; le sue prime ricerche di geografia storica riguardano la coltivazione del luppolo nel Kent del XIX Secolo. Anche il suo primo lavoro importante, Explanation in Geography8, pubblicato nel 1969, è relativamente tradizionale. Tuttavia già in questi primi anni di apprendistato si nota un bisogno positivista di dare respiro sistematico ad un disciplina, come la geografia, ancora chiusa in quello che Harvey definisce «eccezionalismo», ovvero la tendenza a concepire i propri oggetti di studio come una sequenza di casi particolari sprovvisti di una qualsivoglia legge universale9. La svolta, allo stesso tempo politica e accademica, avviene nel 1970 con il trasferimento negli Stati Uniti, alla Johns Hopkins University di Baltimora. Qui Harvey inizia a lavorare in un dipartimento interdisciplinare che amplia i suoi punti di riferimento teorici ben oltre i confini della geografia; incontra un milieu teorico già orientato verso tematiche radicali, il movimento contro la guerra del Vietnam e una città che può essere considerata un laboratorio di sviluppo urbano contemporaneo per le vertiginose ineguaglianze sociali che produce.

read more »

24 Aprile, 2013

Noam Chomsky, Can civilisation survive really existing capitalism?

by gabriella

Traggo da Come Don Chisciotte, la traduzione del discorso tenuto da Noam Chomsky il 13 aprile 2013 al Collegio Universitario di Dublino in occasione del conferimento della UCD Ulysses Medal. Nell’evidenziare l’incompatibilità della democrazia e della stessa sopravvivenza del pianeta con il capitalismo reale (che lo studioso distingue da quello ideale, espressione delle teorie politiche ed economiche sorte nel XVI° secolo), Chomsky si sofferma sulla manipolazione dei pubblici in relazione ai grandi temi contemporanei (giustizia, cambiamento climatico), concludendo che è probabilmente per contenere la crescita della consapevolezza sociale che nel XXI secolo è stato demolito il sistema educativo nella maggior parte dei paesi capitalisti.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=_uuYjUxf6Uk]

Può la civiltà sopravvivere al capitalismo reale? [Si veda anche Le 10 leggi del potere].

Il capitalismo oggi esistente è radicalmente incompatibile con la democrazia.

Vi è il “capitalismo” e poi c’è il “capitalismo reale”.

Il termine “capitalismo” è comunemente usato riferendosi al sistema economico degli USA, che prevede considerevoli interventi dello Stato, i quali vanno dai sussidi per l’innovazione creativa alla politica assicurativa “too-big-to-fail” (troppo-grandi-per-fallire, ndr) del governo per le banche.

Il sistema è altamente monopolizzato e ciò limita ulteriormente la dipendenza dal mercato, in modo crescente: negli ultimi 20 anni la quota dei profitti delle 200 imprese più importanti è aumentata enormemente, riporta l’accademico Robert W. McChesney nel suo nuovo libro Digital disconnect.

In questo momento “capitalismo” è un termine comunemente usato per descrivere sistemi nei quali non ci sono capitalisti; per esempio il conglomerato-cooperativa Mondragón nella regione basca in Spagna, o le imprese-cooperative che si espandono nel nord dell’Ohio, spesso con il sostegno conservatore – entrambe esaminate in un’importante ricerca dell’accademico Gar Alperovitz.

read more »

2 Aprile, 2013

Eleonora de Conciliis, Destino e denaro

by gabriella

criminalita-organizzata

Da Kainós, una sociologia della criminalità organizzata di rara finezza volta ad indagare le trasformazioni delle forme di vita criminale nel tardo capitalismo.

1. Le riflessioni che seguono non vogliono essere squisitamente filosofiche, né vagamente sociologiche, e neppure provocatoriamente politiche, ma, in senso foucaultiano, genealogiche. È stato infatti Michel Foucault ad aver fornito, in Sorvegliare e punire (1975), la più acuta ricerca genealogica sull’origine della prigione moderna, ed è nella sua produzione degli anni settanta che possiamo trovare ancor oggi spunti fecondi per analizzare le forme di vita criminali, le ‘vite degli uomini infami’ che proliferano nell’epoca contemporanea1. Tuttavia, per ragioni non solo espositive2, mi servirò inizialmente di una nozione proveniente dalla sociologia di Pierre Bourdieu, applicandola con una certa disinvoltura metodologica al mondo della criminalità organizzata: la nozione di campo.3

Tra le numerose definizioni che Bourdieu ci ha lasciato del concetto di campo, ne ho scelta volutamente una coniata per il campo politico, in quanto risulta assai compatibile sia con l’analisi foucaultiana del nesso sistematico legalità-crimine (capace dunque di indicare l’intimo intreccio tra economia politica e mafia), sia con il funzionamento delle strutture ‘chiuse’ del potere pastorale, siano esse religiose, militari, politiche o para-politiche (ordini, sette, brigate e reparti di un esercito, partiti e ‘famiglie’ mafiose). Secondo il sociologo francese, il campo è infatti un

“microcosmo, ossia un piccolo mondo sociale relativamente autonomo nel mondo sociale più grande. […] Autonomo, secondo l’etimologia, vuol dire che ha una sua propria legge, un suo proprio nomos, che detiene al suo interno il principio e la regola del suo funzionamento. È un universo nel quale sono all’opera criteri di valutazione a lui propri e che non hanno valore nei microcosmi vicini. Un universo obbediente alle proprie leggi, che differiscono da quelle del mondo sociale ordinario. Chi [vi] entra deve operare una trasformazione, una conversione e, anche se quest’ultima non gli appare come tale, anche se egli non ne ha coscienza, gli è tacitamente imposta, in quanto un’eventuale trasgressione comporterebbe scandalo o esclusione”.4

read more »

20 Marzo, 2013

Antiper, 2060

by gabriella

areaglobaleNel novembre scorso, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE – o OECD in inglese -) ha pubblicato una previsione di lungo termine [1] su quello che ritiene sarà l’andamento della distribuzione della ricchezza prodotta a livello globale da qui al 2060. Lo studio, ovviamente, non tiene conto di fattori ed eventi che oggi non possono essere previsti in termini quantitativi anche se sono piuttosto prevedibili in quanto a possibilità di accadere (come, ad esempio, una serie di crack finanziari, forse altrettanto e più virulenti di quello del 2008). Possiamo dunque dire che lo studio costituisce una stima ottimistica degli andamenti globali che si determineranno nei prossimi 50 anni e che la previsione formulata dall’OCSE di una crescita globale media del 3% all’anno deve essere significativamente corretta al ribasso (anche se al momento nessuno è in grado di quantificare l’entità di tale correzione [2].

Lo studio costituisce una proiezione statica, basata sulle linee di tendenza che si possono intravvedere a partire dai dati storici (passato e presente). Del resto, è difficile valutare fattori che non sappiamo se e come si verificheranno; prendiamo, solo per fare un esempio, l’innalzamento relativo dei costi di produzione (e dei salari, in particolare) che può avvenire nelle “economie emergenti” o in altri contesti per effetto dello sviluppo delle lotte dei lavoratori e l’impatto che questo può avere sulla scelta, nei prossimi anni, dei paesi verso cui indirizzare gli investimenti diretti esteri di capitale (diciamo, per semplificare, le delocalizzazioni). Già adesso sono in atto varie tendenze a spostarsi da paesi come la Cina verso paesi come il Vietnam [3] e altri o, addirittura, a riportare alcune produzioni in “paesi centrali” (come gli USA [4]).

read more »

14 Marzo, 2013

Oscar Oddi. Recensione a Luca Basso, Agire in comune

by gabriella

agire in comuneTraggo da Consecutio temporum. Hegeliana, marxiana, freudiana la bella recensione di Oscar Oddi ad Agire in comune, uno studio sull’ultimo Marx al cui approccio sono particolarmente vicina. Testo e recensione affrontano i temi cruciali dell’evoluzione del concetto di alienazione e delle forme di produzione capitalista, del rapporto individuo-comunità e uomo-macchina, nonché del passaggio dal concetto di proletariato a quello di classe operaia.

Il rinnovato interesse verso l’opera di Marx ha suscitato anche in Italia una nuova produzione di studi critici sul complesso itinerario del pensatore di Treviri, sorta prevalentemente in ambito accademico vista la riduzione ai minimi termini, non solo numerici, delle espressioni politiche e sociali che dovrebbero averlo come riferimento. All’interno di questo filone si colloca l’ultima fatica di Luca Basso “Agire in comune. Antropologia e politica nell’ultimo Marx”, Ombre Corte, Verona, 2012, pp. 247, € 20,00.

Con l’ausilio dei vari manoscritti che la nuova edizione critica delle opere di Marx e Engels (nota come Mega2) sta progressivamente mettendo a disposizione degli studiosi, Basso ripercorre alcuni snodi fondamentali del percorso marxiano tentando di proporne una lettura lontana dai tradizionali canoni. L’obiettivo prefisso è quello di tenere insieme l’oggettività dell’analisi del capitale e la politicità della soggettività di classe, rintracciando la loro relazione anche attraverso le instabilità che la caratterizzano. Per questo Basso intreccia la riflessione del Capitale con gli scritti storici e politici di Marx, così come respinge una lettura “logicista” del Capitale (si veda la scuola “logicista” tedesca, con Backhaus tra i principali esponenti, di cui è uscito in traduzione italiana, a cura di Riccardo Bellofiore e Tommaso Redolfi Riva, “Dialettica della forma di valore, Editori Riuniti, Roma, 2009, pp. 549), che insiste sul fatto che la riflessione marxiana non scaturisce da dati ricavabili empiricamente.

read more »

13 Marzo, 2013

Walter Benjamin, Capitalismo e religione

by gabriella

Benjamin

Due saggi, di Giorgio Agamben e Giorgio Fontana, sul frammento benjaminiano Capitalismo e religione.

Il capitalismo come religione è il titolo di uno dei più penetranti frammenti postumi di Benjamin.

Secondo Benjamin, il capitalismo non rappresenta soltanto, come in Weber, una secolarizzazione della fede protestante, ma è esso stesso essenzialmente un fenomeno religioso, che si sviluppa in modo parassitario a partire dal Cristianesimo. Come tale, come religione della modernità, esso è definito da tre caratteri:

1. è una religione cultuale, forse la più estrema e assoluta che sia mai esistita. Tutto in essa ha signigicato solo in riferimento al compimento di un culto, non rispetto a un dogma o a un’idea.

2. Questo culto è permanente, è “la celebrazione di un culto sans trêve et sans merci”. Non è possibile, qui, distinguere tra giorni di festa e giorni lavorativi, ma vi è un unico, ininterrotto giorno di festa, in cui il lavoro coincide con la celebrazione del culto.

3. Il culto capitalista non è diretto alla redenzione o all’espiazione di una colpa, ma alla colpa stessa.

read more »

5 Marzo, 2013

Nique la police, Demotic turn. Il declino della società del lavoro e il potere mediatico pastorale di Grillo

by gabriella

labour-isnt-working-poster-for-the-conservatives-from-the-1979-general-electionE’ uscito ieri su SenzaSoste un nuovo saggio capolavoro di nique-la-police, dedicato all’analisi della società del post-lavoro e delle nuove tecnologie politiche della comunicazione post-ideologica che oggi trovano nel successo elettorale del M5S il punto massimo della propria visibilità.

La critica non ha strappato i fiori immaginari dalla catena perché l’uomo continui a trascinarla
spoglia e triste, ma perché la getti via e colga il fiore vivo .

Marx, Critica della filosofia hegeliana del diritto

Wasteland

Le rivoluzioni conservatrici vincono quando interpretano verità progressiste. Durante la campagna elettorale del 1979, il partito conservatore di Margareth Thatcher letteralmente sfondò nei ceti popolari con un manifesto destinato a fare epoca del marketing politico. E’ quello che riproduciamo come immagine dell’articolo e significava, con un semplice quanto abile gioco di parole, che il Labour (il partito del lavoro) non produceva posti di lavoro. La rivoluzione conservatrice di Margareth Thachter, la cui importanza per la formazione della globalizzazione che conosciamo non è seconda al reaganismo a lei contemporaneo,  emergeva trovando consenso di massa. Interpretando una verità già conosciuta alle miriadi e differenti  scuole di pensiero progressiste, di sinistra e comuniste dell’epoca. Ovvero che i partiti del lavoro, nelle diverse coniugazioni, non erano più in grado di produrre occupazione. Si trattava dell’assunzione, da destra, del  fatto che in occidente si imponeva il corso storico, frutto di una lenta degradazione del saggio di profitto come dell’evoluzione tecnologica, del declino della società del lavoro. Intesa soprattuto come una società dove il lavoro mette a produzione capitalistica, e quindi a valore, l’intera popolazione.

read more »

6 Dicembre, 2012

Luigi Ferrajoli, Ma l’economia è democratica?

by gabriella

FerrajoliIn questa bella riflessione su economia e democrazia, Ferrajoli esamina da costituzionalista cause e rimedi del collasso dello stato di diritto e dell’economia sociale di mercato. Ne emerge la drammatica contraddizione che evidenzia, da un lato, la crisi della democrazia costituzionale e l’impotenza della politica a renderla esecutiva e, dall’altro, la sua impossibile (alla luce delle ragioni acutamente delineate dal giurista) soluzione consistente nella risposta politica e nella ricostituzionalizzazione del diritto.

Alla luce di questa impasse, ciò che resta in ombra nell’analisi di Ferrajoli (peraltro uno dei miei costituzionalisti preferiti) sembra dunque la crisi dello stesso costituzionalismo, cioè l’incapacità degli strumenti di analisi del diritto di uscire dall’orizzonte del “dover essere” e di misurarsi con la “realtà effettuale” – come direbbe Machiavelli – della società liberale matura. Una realtà, cioè che, dal punto di vista scientifico (cioè conoscitivo), può essere pensata solo in prospettiva pluridisciplinare e che, da quello politico, può indicare risposte solo quando si misura con la razionalità di tutti gli attori, prima tra tutte quella dei mercati.

Emergono così diverse questioni: se l’economia non è democratica, possono, i mercati, comportarsi come dovrebbero? Può il diritto addomesticare gli animal spirits? E può tanto (come il giurista dice necessario) la politica dei partiti sistemici ai quali Ferrajoli si rivolge nelle conclusioni, dimenticando di aver denunciato, giusto due righe sopra, la loro debolezza, la loro lontananza dalla società, la loro corruzione? Uscire dalla crisi è impossibile se non si pensa la crisi di un paradigma.

 

 

1. La crisi, i mercati e il rapporto tra economia e politica

Io credo che il tema di questo intervento – il rapporto tra economia e politica e la dipendenza della seconda dalla prima – sia il tema di fondo del nostro tempo: un tema che è tutt’uno con il tema della crisi della sfera pubblica, del ruolo e ancor prima della natura della politica e perciò, in ultima analisi con il tema, al tempo stesso teorico e politico, della crisi della democrazia, non solo in Italia ma in Europa e più in generale a livello globale.

read more »


%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: