Posts tagged ‘Cechov’

22 Maggio, 2014

Anton Cechov, Il violino di Rotschild

by gabriella
Anton Cechov

Anton Cechov (1860- 1904)

Protagonista di questo racconto cechoviano sono il cinismo disperato di Jakov Ivànov – un uomo dalla miseria irredimibile guardata com’è con gli occhi calcolatori del borghese – e la sua conversione all’umanità, racchiusa nell’estremo dono del violino. La bellezza delle considerazioni finali lascia davvero incantati ma, oltre alla capacità di rappresentazione propria del grande narratore, colpisce in Cechov e negli altri autori russi del suo tempo, quel giudizio quasi metafisico su una condizione umana prodotta invece dalla diseguaglianza, come vedono chiaramente lo scrittore e i suoi personaggi. Questa dolente naturalizzazione del male – prima radice della sua perniciosa presenza nel mondo – era propria di un’epoca arrivata alle soglie della comprensione della natura storica delle esistenze individuali, conquistata a metà ottocento e sviluppata pienamente il secolo dopo. Oggi, suona familiare quello sguardo un po’ ottuso, impotente a comprendere, che quel tempo ci propone, anticipando drammaticamente il futuro.

La cittadina era piccola, peggio di un villaggio, e vi vivevano quasi soltanto dei vecchi, i quali morivano così raramente che era addirittura un dispetto. All’ospedale e alla prigione, di bare ne richiedevan pochissime. In una parola, gli affari eran cattivi.

Se Jakov Ivànov fosse stato fabbricante di bare nella città principale del governatorato, certamente avrebbe avuta una casa propria e l’avrebbero chiamato Jakov Matvèievic; qui in questa cittaduzza lo chiamavano semplicemente Jakov, e per di più i ragazzi di strada gli avevano dato, chissà perché, il soprannome di Bronza; ed egli viveva poveramente, come un semplice contadino, in una piccola casupola vecchia, nella quale c’era soltanto una camera, e in questa camera avevano posto lui, Marfa, la stufa, un letto matrimoniale, le bare, il banco da lavoro e tutto quel che occorre alla vita quotidiana.

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24 Febbraio, 2013

Anton Cechov, La malinconia

by gabriella

vetturino russo davanti al suo calesse  - 1880Uno straziante racconto di Anton Cechov, ripreso da Uomini e profeti.

A chi mai canterò la mia tristezza?…
Crepuscolo della sera. La grossa, umida neve tùrbina fiaccamente intorno ai fanali or ora accesi e si posa in uno strato sottile e morbido sui tetti, sul dorso dei cavalli, sulle spalle, sui berretti di pelo. Il vetturino Jona Potàpov è tutto bianco, come un fantasma. Si è curvato quanto è possibile curvarsi a un corpo vivo, siede a cassetta e non si muove. Se anche lo coprisse un cumulo di neve, egli non sentirebbe il bisogno di scuoterselo di dosso… Anche la sua cavallina è bianca e immobile. Per la sua immobilità e angolosità di forme e le sue gambe rigide come bastoni è, anche da vicino, simile a uno di quei cavallucci di pane che i fornai vendono per una copeca. Con tutta probabilità essa è immersa ne’ suoi pensieri. Chi, uomo o bestia, è stato strappato all’aratro, ai paesaggi noti e grigi, per esser gettato qui, in questo baratro, pieno di luci mostruose, di incessante frastuono e di uomini in corsa, non può non pensare.

Jona e la sua cavallina non si muovono da quel posto da un pezzo. Sono usciti dalla rimessa ancor prima del pranzo e quanto a clienti niente e poi niente. Ma ecco sulla città discendono le ombre della sera. Il pallore della luce dei fanali cede a un color vivo, e l’andirivieni della via si fa più rumoroso.
“ Vetturino, via Viborg!” ode Jona. “Vetturino!”.
Jona sussulta e attraverso le ciglia incollate di neve vede un militare in cappotto col cappuccio.
“ Via Viborg!” ripete il militare. “O che, dormi? Via Viborg!”.
In segno di assenso Jona tira le redini, e a questo atto dal dorso della cavalla e dalle sue spalle casca la neve a strati… Il militare si siede nella slitta. Il vetturino fa schioccare la lingua, allunga il collo come un cigno, si solleva e, più per abitudine che per necessità, agita la frusta. Anche la cavallina allunga il collo, piega le gambe ch’eran simili a bastoni e si mette in moto indecisa.
“ Dove vai, demonio?” grida una voce a Jona, appena si è mosso, dalla folla oscura che cammina davanti e dietro a lui. “Dove diavolo vai a finire? Tieni la destra!”
“ Tu non sai guidare! Tieni la destra!” dice irritato il militare.
Un cocchiere dalla cassetta d’una carrozza lo rimbrotta, un passante che attraversa la strada e che ha sfiorato con la spalla il muso della cavallina, lo guarda con rabbia e scuote dalle maniche la neve. Jona siede a cassetta come sugli aghi, spinge i gomiti dai lati e si guarda intorno, come asfissiato, quasi che non capisca dove si trovi e perché.
“ Come son tutti furfanti!” dice argutamente il militare. “Spiano l’occasione per scontrarsi apposta con te o cascare sotto il cavallo. Certo si sono messi d’accordo”.
Jona dà uno sguardo al passeggero e muove le labbra… Vuole evidentemente dire qualche cosa, ma dalla gola non esce niente altro che un mugolio.
“ Cosa?” domanda il militare.
Jona torce le labbra ad un sorriso, sforza la gola e dice rauco: “Un figlio, signore… mi è morto questa settimana.”

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